A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

lunedì 21 dicembre 2015

La Costa d'Avorio con gli occhi di un cooperante fiorentino

di Alessandro Rabbiosi

Sono ormai tanti anni che mi sono volontariamente esiliato nel continente africano, prima in Algeria e da ormai 12 anni in Costa d’Avorio.
Il mio ormai paese d’adozione è una delle tante ex colonie francesi dell’Africa Occidentale, un bel quadrilatero quasi quadrato puro messo proprio sul Golfo di Guinea abitato da oltre 60 etnie (tra le quali gli ivoriani ci aggiungono, tra il serio e il faceto, pure quella dei “libanesi”) ha sempre, o quasi, rappresentato un bell’esempio di integrazione; inoltre sui circa 22 milioni di abitanti un quarto esatto sono inoltre stranieri, in maggioranza provenienti dal Burkina Faso e attirati, negli anni ’60, dalla politica di valorizzazione della terra messa in pratica dal presidente dell’indipendenza, Felix Houphet Boigny. Un esempio di “accentratore da non mettere in discussione illuminato” uomo piccolo di statura ma dal cervello fino, forse anche per l’origine paysanne, cioè contadina. Uomo pio (artefice della Basilica di Yamossoukro, copia di San Pietro a Roma) e ambizioso, è stato per un trentennio il politico di riferimento della regione alternando saggezza e disponibilità a un’applicazione ferocemente machiavellica degli interessi superiori di Stato e del paese tutore, la Francia. Un po’ populista quasi di sinistra ma assai moderato se non peggio, a lui si deve quello che negli anni ’70 e primi ’80 venne definito il miracolo ivoriano tanto che gli economisti “inventarono” il termine “paese in via di sviluppo” per inserire quegli stati che stavano avanzando con successo sulla strada dell’exploit economico (tipo per esempio la Corea), la morte del presidentissimo, nel 1993, fu un trauma nazionale tanto che mia moglie, che allora aveva 18 anni, mi racconta che quando fu dato l’annuncio ebbe un attacco di panico pensando che il giorno successivo non sarebbe sorto il sole...come spesso accade per i lunghi regni le successioni sono sempre complicate e fanno emergere tutto cio’ che non andava che era celato dietro l’apparente solidità di un sistema. La crisi economica che flagello’ il paese per il crollo della redditività di certe monoculture sulle quali aveva fino allora costruito la sua fortuna (cacao – primo produttore al mondo - e caffè in primis) fece il resto e cosi’ divampo’ pure la crisis socio politica. Non sto adesso ad addentrarmi troppo nei dettagli, ma in quegli anni, per cercare di giustificare le gravi difficoltà economiche, si comincio’ a cercare il capro espiatorio, e quale migliore capro espiatorio del 25% di stranieri, anche se ormai nati nel paese e di seconda generazione? Il tutto si tradusse, politicamente, con l’introduzione dello scellerato principio identitario salviniano dell’Ivorità (prima gli ivoriani poi gli altri) solo che, in un paese talmente mescolato dove pure i presunti ivoriani duri e puri portano patronimici che sono diffusissimi pure in Burkina, Ghana, Guinea, Mali o Liberia, questa follia ha prodotto l’instabilità generale che è passata di colpo di stato a ribellione per poi avere il finale tipico di una guerra civile, dalle perdite umane pesanti ma non catastrofiche, anche se solo per un pelo, grazie alla proverbiale bonomia unita a un po’ di fanfaronaggine verbale che difficilmente si traduce in pratica delle popolazioni locali, ma che comunque ha marcato in maniera pesante le idee e gli animi delle persone. Questo un po’ il sintetico, anche troppo, quadro della situazione appena precedente all’attualità. Attualità fatta di un boom macroeconomico (come spesso accade dopo le grandi crisi) che pero’ non ha ancora irrorato dei suoi benefici effetti la maggioranza della popolazione, specie quella meno attrezzata per istruzione, cultura e basi economiche di partenza.

In questo paese ci sono arrivato nel 2003, un anno dopo la divisione del paese in due zone di controllo una detta lealista al centro sud e l’altra, della ribellione al centro nord. Ho quindi condiviso e sofferto le stesse situazioni, paure, speranze, delusioni della gente, mi sono sposato con una professoressa di francese ivoriana e ho avuto una figlia, nata proprio qua. Quindi è un paese che, nonostante i problemi e le movimentate vicende dell’ultimo ventennio, mi è entrato profondamente nel cuore e che sento mio. Al tempo stesso sono comunque sempre rimasto e sempre lo saro’ attaccato alla mia madrepatria che, per me, è soprattutto Firenze; pero’ grazie a questo ho potuto crearmi un salutare isolamento dalla deprimente evoluzione della Politica italiana adesso più che mai in preda a sussulti premortem che riescono a dare una statura etica e di competenza gigantesca ai tanto vituperati politici anni 70 del nostro paese. Quindi non ho veramente voluto approfondire l’analisi sul sistema Italia anche se, ovviamente, certi segnali e certe considerazioni arrivano e le ho fatte pure da questa distanza. Il mio non è qualunquismo, direi soprattutto stanchezza, e anche, coinvolgimento assoluto in quella che è stata ed è la mia vita da emigrato di lusso in un paese dell’etichettato terzo mondo; un paese che ha vissuto la sua bella e tragica crisi politico - sociale ma non è argomento di oggi. Una cosa che ha invece attirato la mia attenzione, alla luce anche della sensibilità del tema adesso in Italia, è l’evoluzione dell’atteggiamento dell’africano verso l’Europa e viceversa: non posso tirar fuori una legge e nemmeno una tendenza, trattasi di sensazioni che si originano dal vissuto quotidiano e che, forniscono interessanti punti di discussione. Innanzi tutto vedo sempre più africani che vivono in Europa rientrare al paese per investire quello che non potrebbero investire da noi visti gli ostacoli, i pregiudizi e le solenni panzane messe a giro sul loro conto. Ma la cosa più interessante è che non son solo « africani europei » arrivano numerosi ma, sempre più, europei in carne ed ossa e tantissimi italiani !!!! Nessuno di loro per fare il missionario o l’operatore della cooperazione (occupazioni un tempo in voga) e nemmeno il manager di qualche multinazionale…macchè…semplici risparmiatori o imprenditori che, strozzati dalle nostre parti, vedono in Africa un’occasione di investimento redditizi. Tolti alcuni che sono manifestamente i manutengoli di qualche clan camorristico mafioso che ha bisogno di lavaggi monetari, il grosso sono persone anche volenterose e capaci nel loro mestiere. Il problema è che, spesso, vi arrivano culturalmente disarmati oppure troppo europeisticamente condizionati e quindi la fregatura o il tracollo sono sempre dietro l’angolo, dando spesso l’idea di un ingenuo avventurismo e non di razionali operazioni economiche pianificate col rigore tipico di certi nostri piccoli e capaci imprenditori. Prima di tutto fare attenzione al partner o alla persona di « fiducia » che accompagna queste imprese: spesso i nostri eroi (specie gli italiani) non parlano NIENTE della lingua ufficiale del paese dove intendono cimentarsi (in questo caso il francese) e cio’ gli espone alla necessità di avvalersi di qualcuno e in questo caso le trappole sono innumerevoli. Non fidandosi di connazionali che da tempo stanno sul posto (per motivi d’orgoglio o timore di fare la figura del pollo da spennare) i nostri baldi intraprendenti si affidano a persone di assoluta fiducia, magari conosciute in Italia e che si propongono bene e con saper fare - il famoso savoir faire -magari vantando amicizie importanti o parentele altolocate con i potenti di turno…eh si…purtroppo quasi tutti qui hanno qualcuno della famiglia che sta nelle minuscole ma al tempo stesso larghissime cerchia del potere, ognuno ha amicizie importanti - millantate o meno - e da tutto questo scaturiscono e si ingigantiscono gli equivoci e le trappole perchè sono si africani ma l’anello al naso è da un pezzo che è stato nobilitato dalla moda del piercing. Leggo dichiarazioni ad effetto di certi « intolleranti » nostrani del tipo « l’Africa intera non può stare in Italia », tutte stolide boutades: si giudicano alcuni episodi e si tiran fuori leggi universali senza alcuna attinenza alla realtà. Il nostro paese non è più l’Eldorado di un tempo e, invece, sempre più sono investitori italici che cercano soluzioni altrove presso coloro che vorrebbero cacciare. Vi è tanto controsenso in tutto ciò. Inoltre vi è l’aspetto demografico: noi siamo a crescita zero, tra qualche anno gli over 50 saranno la maggioranza della popolazione, altrove, nel mondo diciamo adesso sofferente, la crescita demografica è tra il 3 e il 4. La popolazione fa come l’acqua, occupa gli spazi e alla fine l’osmosi delle popolazioni diventerà un fenomeno naturale indipendente e invulnerabile davanti alle piazzate sciovinetnonazionalistiche. Del resto quando una civiltà deve ricorrere a barriere e azioni di forza virulenta per sperare di « tutelarsi » è già fottuta da un bel pezzo. In definitiva, la cosa che dovrebbe far riflettere è che in questo mondo ci sarebbe anche lo spazio per le competenze e le ambizioni di tutti, basterebbe un po’ più di umiltà e di intelligenza, nonchè onestà, negli approcci al quotidiano sia individuale che collettivo. Trattiamoci meglio e con maggiore sincerità, riconosciamo pure le aspirazioni legittime dell’altro, in questo caso l’africano, usciamo dal nostro egocentrismo senza rinunciare al nostro modo di essere ma rimanendo aperti senza pregiudizi e vedrete che molte cose cambieranno. I sempre maggiori consensi che riuniscono le idee diciamo « alla Salvini » sono una realtà che non va snobbata ma che mostra chiaramente come il nostro bagaglio culturale che ha radici nell’antica Grecia, nell’impero romano che si è elevato nel Rinascimento, poi con l’Umanesimo e l’Illuminismo, l’evoluzione della Politica, la democrazia, le lotte per i DIRITTI, ecc. ecc. sta svanendo davanti ai colpi di panza di argomenti duri e crudi che però, ahimè, sono non solo ingiusti e cattivi (diciamo che ce ne possiamo anche fregarcene delle implicazioni morali), ma restano assolutamente ANTISTORICI, vanno contro l’evoluzione demografico storica dell’Umanità e quindi dannosi e pure tristemente patetici. Questa corsa brancaleonesca all’Africa seppur ancora non massiccia o certamente non ben analizzata è un altro campanello d’allarme che suona.

COSTA D’AVORIO
(fonte wikipedia con modifiche del redattore)



Popolazione :
circa 22 milioni d’abitanti dei quali ¼ stranieri (i dati ufficiali del recente censimento del 2014 non sono stati ancora pubblicati) – (Fonte io stesso dai dati ufficiosi sul censimento che sono riuscito ad ottenere – NdR)
Etnie
La popolazione odierna della Costa d'Avorio appartiene a 62 gruppi etnici, raggruppabili in cinque grandi ceppi accomunati da caratteristiche socio-culturali o etno-linguistiche: Akan, i Gur o Voltaici (come i Senufo), Kru, Mandé del Nord e Mandé del Sud.
Gli Akan sono il gruppo etnico maggiore (42,1% della popolazione) e si trovano prevalentemente nelle regioni orientali e centrali dello stato.
I gruppi principali, per quanto riguarda le regioni settentrionali, sono i Mandé del Nord (16,5% della popolazione) ed i Voltaici (17,6%). Anche se questi gruppi etnici sono originari del Nord, molte persone che vi appartengono vivono oggi nelle regioni meridionali della nazione; ad esempio, circa il 23% dei Mandé del Nord vive ad Abidjan.
Nelle regioni occidentali la popolazione si divide tra i gruppi etnici dei Kru (12,7%) e dei Mandé del Sud (10%). Dagli anni quaranta, agli autoctoni del paese si aggiunsero i lavoratori provenienti dal Burkina Faso, che si installarono nelle piantagioni di caffè e di cacao. Anche dopo l'abolizione del lavoro forzato la Costa d'Avorio continuò ad attrarre ondate di migranti dai paesi limitrofi. Félix Houphouët-Boigny favorì questo flusso introducendo la legge di libera proprietà della terra, con lo slogan "the land belongs to those that develop it".
Oggi gli stranieri ammontano a circa il 25% della popolazione ivoriana e appartengono principalmente al gruppo etnico dei Voltaici e dei Mandé del Nord. Di questi, circa il 50% è nato nel paese. Nel paese si riscontra anche la presenza di cittadini di origine francese e libanese.
Di fondamentale importanza, sempre nel merito della differenziazione etnica all'interno della Costa d'Avorio, il concetto di Ivorité. Coniato nel corso della metà degli anni novanta, esso segna una linea di demarcazione fra i cittadini che appartengono alla tradizione socio-culturale nazionale e coloro che vi sono estranei. Suo promotore fu Henri Konan Bédié, leader del Partito Democratico della Costa d'Avorio, che per mezzo di un gruppo di lavoro di intellettuali indigeni riuscì a sviluppare questo sistema di identificazione, delineando così le caratteristiche proprie -secondo questo pensiero- del popolo ivoriano. Questo provocò la guerra civile e il colpo di Stato del 2000, con la divisione tra Nord musulmano e Sud cristiano.
Lingue
La lingua ufficiale della Costa d'Avorio è il francese che è parlato da circa il 70% della popolazione,[4] mentre per il restante 30% la lingua baulé, dioula e agni sono le più diffuse.
Religioni
La religione tradizionale è l'animismo, ancora diffusa in circa il 10% della popolazione. Oggi le religioni più diffuse sono il Cristianesimo (45,4%, in maggioranza cattolici) e l'Islam (38,6%). Una parte della popolazione (5%) non si considera seguace di alcuna religione (ad esempio il sottoscritto – NdR).


lunedì 9 novembre 2015

SREBRENICA 1995 – 2015 THE SEARCH FOR JUSTICE IV Antonio Cassese Lecture. 19 and 20 November 2015 Polo delle Scienze Sociali via delle Pandette – Florence

Nel luglio di vent’anni fa il genocidio di Srebrenica. Nel corso della guerra in Bosnia ed Erzegovina, le forze serbo-bosniache attaccarono l'enclave di Srebrenica, dichiarata "zona protetta" dalle Nazioni Unite e dove migliaia di musulmani bosniaci avevano trovato rifugio. Furono uccisi circa 8.000 uomini e ragazzi bosniaco-musulmani e gettati in fosse comuni. Migliaia di donne – molte delle quali vittime a violenza sessuale - e bambini furono deportati in altre zone del paese.
A questa tragica pagina della storia recente è legata anche la figura di Antonio Cassese (ordinario di Diritto internazionale presso l’Università di Firenze dal 1975 al 2008), che nel luglio del 1995 era presidente del Tribunale penale internazionale per l’ex-Iugoslavia, all’epoca da poco costituito.
E in ricordo di Antonio Cassese l’Università di Firenze ha organizzato un convegno internazionale dal titolo “A vent’anni da Srebrenica, la ricerca della giustizia” che si svolgerà al Polo di Scienze Sociali (via delle Pandette) giovedì 19 (ore 16, Edificio D6 – aula 018) e venerdì 20 novembre (ore 10, Edificio D15 – aula 005).
L’appuntamento, promosso da Micaela Frulli e Luisa Vierucci del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Ateneo fiorentino, in collaborazione con Amnesty International-Italia, e il contributo della Regione Toscana, si aprirà il primo giorno con l’intervento di uno dei sopravvissuti al genocidio, Nedzad Advic, componente dell’Associazione Madri di Srebrenica, e di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International-Italia.
Il giorno successivo, introdotto dai saluti del rettore Luigi Dei, del direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche Patrizia Giunti e della vicepresidente della Regione Toscana Monica Barnisono previsti gli interventi di alcuni tra i massimi esperti europei di diritto internazionale, tra cui Pierre Marie Dupuy dell’Università di Ginevra e Michelle Jarvisprincipal legal officer della Procura del Tribunale penale internazionale per l’ex-Iugoslavia. 
Alla Conferenza è affiancata una mostra fotografica di Carlo Martini "Srebrenica 1995-2015"
Gli eventi di Srebrenica sono stati definiti come “la peggiore atrocità commessa in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale”. Da allora, numerosi tribunali interni e internazionali si sono pronunciati sui crimini commessi sia sotto il profilo della responsabilità penale che civile, ma le madri di Srebrenica continuano a reclamare giustizia.

martedì 21 luglio 2015

Srebrenica 1995-2015: l’importanza di trasmettere la memoria del genocidio, di definirlo tale e di continuare a cercare di dare giustizia alle vittime

di Micaela Frulli (*)

For the dead and the living, we must bear witness
Elie Wiesel

L’11 luglio scorso, al Memoriale di Potočari, sono state commemorate le vittime della strage di Srebrenica, di cui ricorre il ventesimo anniversario. Nel luglio del 1995, nel corso della guerra in Bosnia ed Erzegovina, le forze serbo-bosniache attaccarono l'enclave di Srebrenica, dichiarata "zona protetta" dalle Nazioni Unite con la risoluzione 819 e posta sotto la protezione dei Caschi blu dell’ONU (UNPROFOR), zona dove migliaia di musulmani bosniaci avevano trovato rifugio.
Il cimitero-memoriale di Srebrenica-Potočari, in Bosnia.
Dopo la presa di Srebrenica, le forze dell’esercito serbo-bosniaco separarono gli uomini ed i giovani bosniaco-musulmani dal resto della popolazione e nel corso di 5 giorni tra l'11 ed il 17  luglio 1995 ne uccisero circa 8.000: 8.372 secondo le stime ufficiali. Migliaia di donne e bambine (25.000-30.000 persone) furono invece deportate in altre zone del Paese, molte di loro stuprate e sottoposte a violenze di vario genere.
Il massacro fu perpetrato dalle truppe dell’esercito della cosiddetta Republika Srpska, guidate dal generale Ratko Mladić, al momento sotto processo di fronte al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia (TPIJ), con sede all’Aja. L’allora Presidente della Republika Srpska era il famigerato Radovan Karadžić, anch’egli attualmente sotto processo di fronte al TPIJ. Sotto processo per il massacro di Srebrenica era anche l’ex Presidente serbo Slobodan Milošević al momento della sua morte avvenuta all’Aja nel 2006.

lunedì 8 giugno 2015

L'inserimento delle tramvie nei Centri storici e il "caso Firenze"

di Arnaldo Melloni

Dopo l'innegabile e crescente successo della linea 1, dal maggio 2014 sono partiti e paiono procedere con speditezza i lavori per la realizzazione delle linee 2  e 3 del sistema tramviario fiorentino: tra qualche polemica ed il prevedibile (ed in larga parte inevitabile) peggioramento della mobilità cittadina, sono attualmente aperti cantieri in via Gordigiani, via Buonsignori, via di Novoli, viale Guidoni, viale Luder, viale Strozzi, via dello Statuto, via Tavanti, viale Morgagni. Mentre si preannunciano ulteriori prolungamenti della rete verso i quartieri occidentali della città ed i Comuni contermini. Una "cura da cavallo" che l'attuale Amministrazione comunale sembra impegnata a condurre nel migliore dei modi, dopo la negativa paralisi subita dal progetto nel periodo 2009-2014.
Schema del sistema tramviario fiorentino:
in rosso la linea 1 (attiva), in verde la linea 2 ed in azzurro la linea 3 (entrambe in costruzione).
In questo contesto rimane del tutto aperta una questione sostanziale: come servire adeguatamente il Centro storico di Firenze e raggiungere i quartieri orientali della città? Negli anni scorsi erano state vagliate diverse opzioni, in larga parte inserite nello strumento strategico di pianificazione territoriale del Comune (il Piano strutturale, approvato nel 2011), dopo il discutibile accantonamento (2009-2010) del già progettato percorso in superficie che avrebbe dovuto collegare la stazione di Santa Maria Novella con piazza San Marco e piazza della Libertà, passando per piazza San Giovanni: il cuore della città.

venerdì 29 maggio 2015

A proposito di Bent di Martin Sherman: la rimozione della persecuzione nazista ai danni degli omosessuali e le sfide attuali contro l'omofobia

di Micaela Frulli (*)

Se mi si chiede di dire perché l’amavo,
sento che questo non si può esprimere che rispondendo:
“perché era lui, perché ero io”
Michel de Montaigne

Il 17 maggio, in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, la "Compagnia cervelli in tempesta" di Quarrata ha messo in scena Bent, di Martin Sherman, per la regia di Lorenzo Tarocchi. Lo spettacolo è stato rappresentato nella suggestiva cornice di Villa La Magia, messa a disposizione dal Comune di Quarrata che ha voluto patrocinare l’iniziativa e a cui va il grande merito di aver così sottolineato l’importanza di questa giornata.
La locandina della pièce Bent,
rappresentata a Quarrata il 15/16/17 maggio 2015.
Bent (il titolo si riferisce al termine slang utilizzato in alcuni Paesi europei per definire gli omosessuali) è stato scritto per il teatro nel 1979, ma finora rappresentato pochissimo in Italia. È un testo lucido e coraggioso e assai coraggiosa è la scelta di metterlo in scena per fare luce su questa pagina di storia quasi rimossa e per indurre a riflettere sul confronto tra memoria e attualità.
Attraverso la storia di Max, la pièce ci racconta il passaggio dalla Berlino di inizio anni ’30, dove l’omosessualità era tollerata, al clima di persecuzione di confronti dei gay successivo alla “Notte dei lunghi coltelli”. Max è costretto a fuggire e a nascondersi con il suo convivente Rudy, ballerino di cabaret. La fuga si conclude tragicamente sul treno per Dachau, dove Max rinnega la sua omosessualità, prende a calci l’amante Rudy, che viene poi ucciso, e possiede una ragazza morta per non ammettere di essere gay. Nel campo di concentramento Max, che ha finto di essere ebreo ed è stato bollato con la stella gialla, incontra Horst, che è marchiato con il triangolo rosa, simbolo riservato agli omosessuali, e tra i due cresce una storia d’amore delicata, improbabile, disperata. La relazione con Horst, internato per aver firmato il manifesto per la legalizzazione dell’omosessualità, porta Max ad accettare completamente la propria identità e a divenirne fiero.

lunedì 18 maggio 2015

Il sistema elettorale del Regno Unito e l'Italicum: intervista ad Antonio Floridia

Nelle scorse settimane il dibattito sui meccanismi elettorali ed i loro effetti si è fortemente ravvivato, sia in seguito all’approvazione in via definitiva - tra le polemiche - della legge di riforma per l’elezione della Camera dei Deputati (Italicum, 4 maggio), sia per il successivo esito delle elezioni per il rinnovo della Camera dei Comuni nel Regno Unito (7 maggio). Non pochi commentatori, a partire dall’attuale Presidente del Consiglio, non hanno mancato di sottolineare come nel Regno Unito si sia definita “la sera delle elezioni” nuova maggioranza conservatrice per la formazione del Governo, pur con il favore di solo il 36,9% dei voti. «In Italia con l'Italicum con il 36% dei voti si va al ballottaggio. Quanta superficialità e studiata disinformazione c'è stata nel dibattito sulla legge elettorale», si è affrettato a commentare Matteo Renzi. Concetto ripreso in un ampio articolo del prof. Roberto D’Alimonte, uno degli esperti di flussi e sistemi elettorali che ha collaborato alla definizione dell’Italicum.
2 aprile 2015: dibattito televisivo tra i leader dei principali partiti in vista delle elezioni nel Regno Unito.
Da sinistra: Natalie Bennett (
Green Party), Nick Clegg (Liberal Democrat), Nigel Farage (UKIP),
Ed Miliband (
Labour), Leanne Wood (Plaid Cymru),
Nicola Sturgeon (SNP), David Cameron (Conservative, Premier uscente).
Per capire qualcosa in più su somiglianze e differenze tra i due sistemi abbiamo rivolto alcune domande ad Antonio Floridia, attualmente Presidente della Società italiana studi elettorali (SISE).

lunedì 20 aprile 2015

L' ex-centrale termica di Novoli e l'Urban Center di Firenze

di John Stammer

Firenze, anni '60: la vasta area dello stabilimento Fiat a Novoli.
Nella circonferenza rossa è indicata la centrale termica, allora in esercizio.
La ciminiera si staglia ancora alta sull'orizzonte per chi si affaccia sulla via di Novoli dal ponte di San Donato. É l'elemento che caratterizza ancora, nonostante i grandi interventi in corso, il complesso dell'area ex-Fiat a Novoli. L'edificio della ex-centrale termica della fabbrica di aeroplani sta lì ad attendere il suo destino, mentre intorno ad essa si affannano le attività della contemporaneità, con la tranquillità di chi sa che da essa non si potrà prescindere per mantenere "l'anima" del luogo.
Un edificio molto singolare quello della ex-centrale termica. Sia dal punto di vista strutturale sia dal punto di vista dell'uso previsto.

martedì 14 aprile 2015

Perché l’Italia non può più aspettare ad introdurre il reato di tortura nel codice penale

di Micaela Frulli (*)

“S’è fatto tardi, molto presto”
Dr Seuss

L’indignazione è (quasi) generale di fronte alla recentissima condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani (CEDU) per violazione dell'articolo 3 della Convenzione che recita: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
La condanna è giusta, ineccepibile, purtroppo largamente prevedibile. Oltre ad essere motivo di sdegno essa può e deve rappresentare l’occasione giusta per riflettere sulla necessità di adeguare il nostro ordinamento agli obblighi internazionali che abbiamo assunto da tempo. La sentenza di Strasburgo ha dato impulso alla ripresa dei lavori parlamentari e nei giorni successivi alla condanna, la Camera ha ripreso la discussione del disegno di legge e lo ha adottato con lievi modifiche rinviandolo nuovamente al Senato (9 aprile 2015).
Strasburgo: la "Grand Chambre" della Corte europea dei diritti umani (CEDU).


giovedì 2 aprile 2015

Credenti e non credenti nella società globale. Intervista a Vannino Chiti

di Simone Siliani

L'attualità degli ultimi mesi ha prepotentemente posto all'attenzione mondiale gli sconvolgimenti in corso nel mondo islamico, dopo quella che appare oggi la breve parentesi di speranza delle Primavere arabe. Sconvolgimenti di cui l'Europa e l'Italia non possono disinteressarsi, non foss'altro perché quelle tensioni non sono "confinabili", come purtroppo dimostrano gli eventi di questi primi mesi del 2015, a partire dalla strage della redazione di Charlie Hebdo.
L'Europa, tuttavia, stenta a muoversi come un soggetto politico unitario, pervasa com'è dai populismi e dalle tensioni economiche e sociali che hanno seguito la crisi finanziaria del 2008.
In questo contesto le forze europee di sinistra sono chiamate a misurarsi con l'Islam e più in generale con le religioni, nell'ottica del dialogo, per costruire società improntate ai valori della democrazia, della civiltà, della solidarietà, dei diritti dei popoli e della persona.
Di tutto questo Simone Siliani ha discusso, per Ciclostilato in proprio, con Vannino Chiti, avendo come spunto il suo ultimo libro “Tra terra e cielo. Credenti e non credenti nella società globale”, pubblicato nell'aprile del 2014, un anno dopo l'ascesa del cardinale Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro.

mercoledì 11 marzo 2015

Selma, la strada per la libertà

di Cristina Pucci

David Oyelowo, che impersona Martin Luther King, in una scena del film
"Selma, la strada per la libertà" (2014).
Martin Luther King e il suo eroismo, la sua fede, la sua lucida e pacifica battaglia per porre fine alla persecuzione dei neri nel Sud degli States e per ottenere il voto; ma anche la sua incerta e sofferente umanità, il tormento per i suoi dubbi e per il peso dei sacrifici imposti alla sua famiglia e a tanti altri combattenti come lui. Il personaggio è di sicuro interesse e grandiosità e, forse, è stato anche troppo poco narrato e rappresentato: ecco quindi finalmente “Selma”, film diretto da Ava DuVernay, prima regista afroamericana candidata a un Golden Globe, prodotto da Oprah Winfrey, altra donna nera che mai, malgrado ricchezza e successo enormi, ha dimenticato i secoli di ingiurie ai neri americani e che sempre coglie occasioni per abbracciare la loro causa e mantenere vivo il ricordo di “che lacrime grondi e di che sangue”.
Il film racconta un evento fondamentale nella storia dei movimenti antisegregazione, la marcia che vide migliaia di neri e non solo, percorrere a passo lento ed inesorabile gli 80 chilometri che vanno da Selma a Montgomery, nel bel mezzo dell' Alabama, cuore oscuro di quel Sud tradizionalmente ed orrendamente razzista ed assassino. Siamo nel marzo del 1965 - pensate, non in pieno ottocento -, è Governatore quel George Wallace, fascista violento e crudele, cui, anni dopo, qualcuno sparò rendendolo paraplegico ed io dico, anche se non si dovrebbe, che a me non dispiacque per nulla. La successiva sofferenza sperimentata pare lo abbia indotto a chiedere perdono ai neri da lui perseguitati.

martedì 24 febbraio 2015

Il disarmo chimico della Siria

di Alessandro Pascolini (*)

Il 18 agosto 2014 l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) ha annunciato la completa distruzione delle armi chimiche della Repubblica Araba Siriana (RAS). Nel tragico panorama del 2014, segnato dall’aggravarsi delle relazioni internazionali in tutti i settori e dal divampare o acutizzarsi di conflitti armati in troppi paesi, il disarmo chimico della Siria rimane l’unica nota positiva.
Questo risultato non era assolutamente scontato, vista l’ambizione e complessità del programma, la sanguinosa guerra civile in corso nel paese e le tensioni fra USA e Russia. Il merito del disarmo chimico della Siria in tempi estremamente rapidi va al continuo impegno della comunità internazionale e alla tenacia e competenza dell’OPCW e del segretariato generale dell’ONU, in particolare di Sigrid Kaag, coordinatore speciale della commissione costituita allo scopo.
Specificità del disarmo chimico siriano
Il disarmo chimico della RAS è avvenuto in seguito alla sua adesione alla Convenzione sulle armi chimiche (CWC) il 14 settembre 2013 in un momento di massima tensione internazionale a causa dell’accertato impiego di armi chimiche nel paese.
L’accessione della RAS alla CWC è dovuta all’accordo fra Russia e USA, che ha fissato eccezionali modalità per il piano di disarmo e ha quindi richiesto due passaggi formali: il recepimento da parte del Consiglio esecutivo (EC) dell’OPCW e la conferma del Consiglio di sicurezza (UNSC) dell’ONU (entrambi il 27 settembre).

mercoledì 18 febbraio 2015

Sergio Mattarella, un politico coraggioso per superare la "Seconda Repubblica". Intervista a Giuseppe Matulli

Giuseppe Matulli, politico di esperienza, è stato un importante esponente della Democrazia Cristiana (DC) ed in particolare della corrente di sinistra. Con l'esaurirsi dell'esperienza democristiana, ha partecipato alla fondazione del Partito Popolare Italiano (PPI) e successivamente della Margherita. Nel corso di questa esperienza ha avuto modo di conoscere e collaborare con il neo-Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ciclostilato in proprio ha rivolto a Matulli alcune domande su quelle esperienze e su Mattarella.

Ciclostilato in proprio: quando ed in quale contesto politico ha conosciuto Sergio Mattarella?
Piersanti Mattarella, a destra, con il Presidente della
Repubblica Sandro Pertini.
Matulli: non sembri retorica dire che la prima conoscenza con Sergio Mattarella, sia pure senza un incontro concreto, avvenne nel gennaio 1980 quando con la delegazione della Regione Toscana partecipai a Palermo ai funerali del fratello Piersanti, Presidente della Regione Sicilia, ucciso dalla mafia [6 gennaio 1980, ndr]. Ovviamente non conoscevo personalmente né Piersanti né Sergio, ma sono convinto che, per più motivi, per parlare di Sergio Mattarella e del mio rapporto con lui debba partire dall'assassinio del fratello. E’ infatti Piersanti che segna, per ovvi motivi di età, il rinnovarsi della tradizione politica della famiglia del padre Bernardo Mattarella, autorevole parlamentare che, in collegamento con Luigi Sturzo in esilio, aveva fondato la DC nella Sicilia appena liberata e aveva condotto, in Sicilia, la battaglia per la repubblica nel referendum del 1946. Piersanti era, nel dibattito interno alla DC, un convinto esponente del gruppo di Aldo Moro, quel gruppo di politici ed intellettuali cattolici che furono presi particolarmente di mira dalle Brigate Rosse (oltre allo stesso Moro, Vittorio Bachelet, Roberto Ruffilli. Con Piersanti la mafia precedette le BR). Dunque la tradizione familiare aveva caratteri definiti da battaglie coraggiose. Ma c'è un altro motivo per cui vale il funerale di Piersanti come simbolico incontro con Sergio (pur - ripeto - non conoscendolo allora e non incontrandolo in quella occasione), ed è che troppi elementi e troppe testimonianze confermano che l'impegno politico di Sergio nasce come il dovere di non interrompere l'azione di Piersanti, di riscattare l'impegno politico del fratello annullato dalla violenza mafiosa, con il proprio impegno. Lo stile di Sergio conferma questo dato anagrafico, la sobrietà dei suoi comportamenti ha sempre dimostrato la libertà che nasce da una motivazione superiore e tuttavia tutta politica, perché altamente e nobilmente politico era l'impegno di Piersanti (come del resto della sua tradizione familiare).

sabato 31 gennaio 2015

Le tramvie degli altri: uno sguardo all'Europa

di Mauro Bonciani (*)

Firenze, linea 1 del sistema tramviario: un convoglio "Sirio"
presso la fermata "Porta al Prato/Leopolda".
Il 14 febbraio 2010 A Firenze veniva ufficialmente avviato il servizio lungo la linea 1 della tramvia, che collega la stazione ferroviaria di Santa Maria Novella con il vicino comune di Scandicci. Mentre si sta sviluppando il dibattito su come completare la rete tramviaria, a circa cinque anni da quell'evento che ha cambiato in positivo la mobilità e gli stili di vita di tanta parte dei cittadini dell'area fiorentina, ed a pochi mesi dall'avvio dei lavori per la realizzazione delle linee 2 e 3, abbiamo chiesto a Mauro Bonciani di trarre qualche riflessione di sintesi da una una serie di articoli che aveva realizzato per il Corriere fiorentino tra il 2008 e il 2011. Vi si analizzava la situazione della mobilità in alcune città europee che hanno scelto da tempo la tramvia come una delle principali infrastrutture. Un'interessante carrellata di situazioni ed impressioni, utile per andare al di là delle consuete - ma spesso un po' provinciali - polemiche che si sviluppano in riva d'Arno. E per meglio apprezzare vantaggi e limiti di una fondamentale scelta di innovazione per la vivibilità di Firenze.

venerdì 23 gennaio 2015

Firenze e l'architettura: la città tra paura e speranza

di Mario Primicerio

18 dicembre scorso, nel saloncino dell'ex carcere delle Murate, è stato presentato l'interessante volume "Dentro Firenze. Architetture, architetti, progetti e percorsi del tempo presente", in cui sono raccolti buona parte dagli articoli a firma John Stammer, apparsi tra il 2013 ed il 2014 sulla rivista on-line "Cultura Commestibile", dedicati agli edifici ed agli interventi che hanno caratterizzato la recente vita urbanistica di Firenze.
Alla presentazione, trasmessa in diretta dall'emittente Controradio e seguita da un pubblico folto e attento, sono intervenuti Sara Nocentini, Assessore alla Cultura della Regione Toscana; Elisabetta Meucci, Assessore all’Urbanistica del Comune di Firenze; Mario Primicerio, professore emerito dell'Università di Firenze e Sindaco di Firenze tra il 1995 ed il 1999; Silvia Viviani, Presidente dell'Istituto Nazionale di Urbanistica; Aldo Frangioni, redattore di Cultura Commestibile; Guido Murolo, Presidente della Fondazione Architetti di Firenze.
Grande modello della Città di Firenze (particolare) - scala 1:1000
realizzazione Aleph - laboratorio di architettura.
Per l'intensità delle parole di Mario Primicerio ne riportiamo l'intervento, denso di riflessioni sulla città e sul significato di alcune scelte urbanistiche operate a Firenze dell'ultimo ventennio, non tutte portate a compimento seppur ancora attuali.

mercoledì 14 gennaio 2015

La nuova legge elettorale toscana del 2014

di Carlo Fusaro (*)

1. La Toscana ha una tradizione di soluzioni istituzionali di una certa originalità e di qualche pregio, nel panorama non molto entusiasmante della legislazione regionale. Mi riferisco in particolare allo Statuto del 2004, alla legge elettorale di quello stesso anno, alla legge sul procedimento elettorale (praticamente è l’unica Regione a gestirlo in prima persona e non tramite le prefetture), alla prima legislazione italiana che disciplinasse primarie pubblicistiche, alla legislazione in materia di enti locali per promuovere unioni e fusioni, alla legislazione sulla partecipazione.

2. La Legge regionale n. 25 del 2004 fu di per sé una buona legge elettorale: il premio era eventuale e flessibile e dipendeva dai voti conseguiti; erano previsti uno o due candidati regionali – destinati ad essere eletti per primi (di genere necessariamente diverso), mentre non erano previste le preferenze; i candidati venivano eletti nell’ordine con cui erano messi in lista e le liste erano corte, con la sola eccezione di quella della circoscrizione provinciale di Firenze; accanto al premio, per le liste collegate al candidato Presidente vincente, v’era anche una precisa garanzia per le minoranze che in nessun caso potevano ottenere meno del 35% dei seggi; infine era prevista la obbligatoria presentazione di almeno sei liste circoscrizionali, ad evitare liste localistiche. Contestualmente era stata varata la legge sulle primarie sia per i candidati Presidenti sia per la composizione delle liste provinciali, con cauzione che non veniva restituita in caso di mancata osservanza (da parte della lista) dell’esito della primaria (come accadde in effetti nel 2005 ai Democratici di Sinistra, anche se l’ordine dettato dalla primaria fu alterato al solo scopo di accomodare alleati aggiuntivi non previsti e candidati donne).