di Alessandro Rabbiosi
Sono ormai tanti anni che mi sono volontariamente esiliato nel continente
africano, prima in Algeria e da ormai 12 anni in Costa d’Avorio.
Il mio ormai paese d’adozione è una delle tante ex colonie francesi
dell’Africa Occidentale, un bel quadrilatero quasi quadrato puro messo proprio
sul Golfo di Guinea abitato da oltre 60 etnie (tra le quali gli ivoriani ci
aggiungono, tra il serio e il faceto, pure quella dei “libanesi”) ha sempre, o
quasi, rappresentato un bell’esempio di integrazione; inoltre sui circa 22
milioni di abitanti un quarto esatto sono inoltre stranieri, in maggioranza
provenienti dal Burkina Faso e attirati, negli anni ’60, dalla politica di
valorizzazione della terra messa in pratica dal presidente dell’indipendenza,
Felix Houphet Boigny. Un esempio di “accentratore da non mettere in
discussione illuminato” uomo piccolo di statura ma dal cervello fino, forse
anche per l’origine paysanne, cioè contadina. Uomo pio (artefice della Basilica
di Yamossoukro, copia di San Pietro a Roma) e ambizioso, è stato per un
trentennio il politico di riferimento della regione alternando saggezza e
disponibilità a un’applicazione ferocemente machiavellica degli interessi
superiori di Stato e del paese tutore, la Francia. Un po’ populista quasi di
sinistra ma assai moderato se non peggio, a lui si deve quello che negli anni
’70 e primi ’80 venne definito il miracolo ivoriano tanto che gli economisti
“inventarono” il termine “paese in via di sviluppo” per inserire quegli stati
che stavano avanzando con successo sulla strada dell’exploit economico (tipo
per esempio la Corea), la morte del presidentissimo, nel 1993, fu un trauma
nazionale tanto che mia moglie, che allora aveva 18 anni, mi racconta che
quando fu dato l’annuncio ebbe un attacco di panico pensando che il giorno
successivo non sarebbe sorto il sole...come spesso accade per i lunghi regni le
successioni sono sempre complicate e fanno emergere tutto cio’ che non andava
che era celato dietro l’apparente solidità di un sistema. La crisi economica che
flagello’ il paese per il crollo della redditività di certe monoculture sulle
quali aveva fino allora costruito la sua fortuna (cacao – primo produttore al
mondo - e caffè in primis) fece il resto e cosi’ divampo’ pure la crisis socio
politica. Non sto adesso ad addentrarmi troppo nei dettagli, ma in quegli anni,
per cercare di giustificare le gravi difficoltà economiche, si comincio’ a
cercare il capro espiatorio, e quale migliore capro espiatorio del 25% di
stranieri, anche se ormai nati nel paese e di seconda generazione? Il tutto si
tradusse, politicamente, con l’introduzione dello scellerato principio
identitario salviniano dell’Ivorità (prima gli ivoriani poi gli altri) solo
che, in un paese talmente mescolato dove pure i presunti ivoriani duri e puri
portano patronimici che sono diffusissimi pure in Burkina, Ghana, Guinea, Mali
o Liberia, questa follia ha prodotto l’instabilità generale che è passata di
colpo di stato a ribellione per poi avere il finale tipico di una guerra civile,
dalle perdite umane pesanti ma non catastrofiche, anche se solo per un pelo,
grazie alla proverbiale bonomia unita a un po’ di fanfaronaggine verbale che
difficilmente si traduce in pratica delle popolazioni locali, ma che comunque
ha marcato in maniera pesante le idee e gli animi delle persone. Questo un po’
il sintetico, anche troppo, quadro della situazione appena precedente
all’attualità. Attualità fatta di un boom macroeconomico (come spesso accade
dopo le grandi crisi) che pero’ non ha ancora irrorato dei suoi benefici
effetti la maggioranza della popolazione, specie quella meno attrezzata per
istruzione, cultura e basi economiche di partenza.
In questo paese ci sono arrivato nel 2003, un anno dopo la divisione del
paese in due zone di controllo una detta lealista al centro sud e l’altra,
della ribellione al centro nord. Ho quindi condiviso e sofferto le stesse
situazioni, paure, speranze, delusioni della gente, mi sono sposato con una
professoressa di francese ivoriana e ho avuto una figlia, nata proprio qua. Quindi
è un paese che, nonostante i problemi e le movimentate vicende dell’ultimo
ventennio, mi è entrato profondamente nel cuore e che sento mio. Al tempo
stesso sono comunque sempre rimasto e sempre lo saro’ attaccato alla mia
madrepatria che, per me, è soprattutto Firenze; pero’ grazie a questo ho potuto
crearmi un salutare isolamento dalla deprimente evoluzione della Politica
italiana adesso più che mai in preda a sussulti premortem che riescono a dare
una statura etica e di competenza gigantesca ai tanto vituperati politici anni
70 del nostro paese. Quindi non ho veramente voluto approfondire l’analisi sul
sistema Italia anche se, ovviamente, certi segnali e certe considerazioni
arrivano e le ho fatte pure da questa distanza. Il mio non è qualunquismo, direi
soprattutto stanchezza, e anche, coinvolgimento assoluto in quella
che è stata ed è la mia vita da emigrato di lusso in un paese dell’etichettato
terzo mondo; un paese che ha vissuto la sua bella e tragica crisi politico -
sociale ma non è argomento di oggi. Una cosa che ha invece attirato la mia
attenzione, alla luce anche della sensibilità del tema adesso in Italia, è
l’evoluzione dell’atteggiamento dell’africano verso l’Europa e viceversa: non
posso tirar fuori una legge e nemmeno una tendenza, trattasi di sensazioni che
si originano dal vissuto quotidiano e che, forniscono interessanti punti di
discussione. Innanzi tutto vedo sempre più africani che vivono in Europa
rientrare al paese per investire quello che non potrebbero investire da noi
visti gli ostacoli, i pregiudizi e le solenni panzane messe a giro sul loro
conto. Ma la cosa più interessante è che non son solo « africani europei »
arrivano numerosi ma, sempre più, europei in carne ed ossa e tantissimi
italiani !!!! Nessuno di loro per fare il missionario o l’operatore della
cooperazione (occupazioni un tempo in voga) e nemmeno il manager di qualche
multinazionale…macchè…semplici risparmiatori o imprenditori che, strozzati
dalle nostre parti, vedono in Africa un’occasione di investimento redditizi. Tolti
alcuni che sono manifestamente i manutengoli di qualche clan camorristico
mafioso che ha bisogno di lavaggi monetari, il grosso sono persone anche
volenterose e capaci nel loro mestiere. Il problema è che, spesso, vi arrivano
culturalmente disarmati oppure troppo europeisticamente condizionati e quindi
la fregatura o il tracollo sono sempre dietro l’angolo, dando spesso l’idea di
un ingenuo avventurismo e non di razionali operazioni economiche pianificate
col rigore tipico di certi nostri piccoli e capaci imprenditori. Prima di tutto
fare attenzione al partner o alla persona di « fiducia » che accompagna queste
imprese: spesso i nostri eroi (specie gli italiani) non parlano NIENTE della
lingua ufficiale del paese dove intendono cimentarsi (in questo caso il
francese) e cio’ gli espone alla necessità di avvalersi di qualcuno e in questo
caso le trappole sono innumerevoli. Non fidandosi di connazionali che da tempo
stanno sul posto (per motivi d’orgoglio o timore di fare la figura del pollo da
spennare) i nostri baldi intraprendenti si affidano a persone di assoluta
fiducia, magari conosciute in Italia e che si propongono bene e con saper fare
- il famoso savoir faire -magari vantando amicizie importanti o parentele
altolocate con i potenti di turno…eh si…purtroppo quasi tutti qui hanno
qualcuno della famiglia che sta nelle minuscole ma al tempo stesso larghissime
cerchia del potere, ognuno ha amicizie importanti - millantate o meno - e da
tutto questo scaturiscono e si ingigantiscono gli equivoci e le trappole perchè
sono si africani ma l’anello al naso è da un pezzo che è stato nobilitato dalla
moda del piercing. Leggo dichiarazioni ad effetto di certi « intolleranti »
nostrani del tipo « l’Africa intera non può stare in Italia », tutte stolide
boutades: si giudicano alcuni episodi e si tiran fuori leggi universali senza
alcuna attinenza alla realtà. Il nostro paese non è più l’Eldorado di un tempo
e, invece, sempre più sono investitori italici che cercano soluzioni altrove presso
coloro che vorrebbero cacciare. Vi è tanto controsenso in tutto ciò. Inoltre vi
è l’aspetto demografico: noi siamo a crescita zero, tra qualche anno gli over
50 saranno la maggioranza della popolazione, altrove, nel mondo diciamo adesso
sofferente, la crescita demografica è tra il 3 e il 4. L a popolazione fa come
l’acqua, occupa gli spazi e alla fine l’osmosi delle popolazioni diventerà un
fenomeno naturale indipendente e invulnerabile davanti alle piazzate sciovinetnonazionalistiche. Del resto
quando una civiltà deve ricorrere a barriere e azioni di forza virulenta per
sperare di « tutelarsi » è già fottuta da un bel pezzo. In definitiva, la cosa
che dovrebbe far riflettere è che in questo mondo ci sarebbe anche lo spazio
per le competenze e le ambizioni di tutti, basterebbe un po’ più di umiltà e di
intelligenza, nonchè onestà, negli approcci al quotidiano sia individuale che
collettivo. Trattiamoci meglio e con maggiore sincerità, riconosciamo pure le
aspirazioni legittime dell’altro, in questo caso l’africano, usciamo dal nostro
egocentrismo senza rinunciare al nostro modo di essere ma rimanendo aperti
senza pregiudizi e vedrete che molte cose cambieranno. I sempre maggiori
consensi che riuniscono le idee diciamo « alla Salvini » sono una realtà che
non va snobbata ma che mostra chiaramente come il nostro bagaglio culturale che
ha radici nell’antica Grecia, nell’impero romano che si è elevato nel
Rinascimento, poi con l’Umanesimo e l’Illuminismo, l’evoluzione della Politica,
la democrazia, le lotte per i DIRITTI, ecc. ecc. sta svanendo davanti ai colpi
di panza di argomenti duri e crudi che però, ahimè, sono non solo ingiusti e
cattivi (diciamo che ce ne possiamo anche fregarcene delle implicazioni morali),
ma restano assolutamente ANTISTORICI, vanno contro l’evoluzione demografico
storica dell’Umanità e quindi dannosi e pure tristemente patetici. Questa corsa
brancaleonesca all’Africa seppur ancora non massiccia o certamente non ben
analizzata è un altro campanello d’allarme che suona.
COSTA D’AVORIO
(fonte wikipedia con modifiche del redattore)
Popolazione :
circa 22 milioni d’abitanti dei
quali ¼ stranieri (i dati ufficiali del recente censimento del 2014 non sono
stati ancora pubblicati) – (Fonte io
stesso dai dati ufficiosi sul censimento che sono riuscito ad ottenere – NdR)
Etnie
La popolazione odierna della Costa d'Avorio appartiene a 62 gruppi etnici,
raggruppabili in cinque grandi ceppi accomunati da caratteristiche
socio-culturali o etno-linguistiche: Akan,
i Gur o Voltaici (come i Senufo), Kru,
Mandé
del Nord e Mandé
del Sud.
Gli Akan sono il gruppo etnico maggiore (42,1% della popolazione) e si trovano prevalentemente nelle regioni orientali e centrali dello stato.
Gli Akan sono il gruppo etnico maggiore (42,1% della popolazione) e si trovano prevalentemente nelle regioni orientali e centrali dello stato.
I gruppi principali, per quanto riguarda le regioni settentrionali, sono i Mandé
del Nord (16,5% della popolazione) ed i Voltaici
(17,6%). Anche se questi gruppi etnici sono originari del Nord, molte persone
che vi appartengono vivono oggi nelle regioni meridionali della nazione; ad
esempio, circa il 23% dei Mandé
del Nord vive ad Abidjan.
Nelle regioni occidentali la popolazione si divide tra i gruppi etnici dei Kru
(12,7%) e dei Mandé
del Sud (10%). Dagli anni quaranta, agli autoctoni del paese si
aggiunsero i lavoratori provenienti dal Burkina Faso, che si installarono nelle
piantagioni di caffè e di cacao. Anche dopo l'abolizione del lavoro forzato la
Costa d'Avorio continuò ad attrarre ondate di migranti dai paesi limitrofi. Félix
Houphouët-Boigny favorì questo flusso introducendo la legge di
libera proprietà della terra, con lo slogan "the land belongs to those
that develop it".
Oggi gli stranieri ammontano a circa il 25% della popolazione ivoriana e
appartengono principalmente al gruppo etnico dei Voltaici
e dei Mandé
del Nord. Di questi, circa il 50% è nato nel paese. Nel paese si
riscontra anche la presenza di cittadini di origine francese e libanese.
Di fondamentale importanza, sempre nel merito della differenziazione etnica
all'interno della Costa d'Avorio, il concetto di Ivorité. Coniato nel
corso della metà degli anni novanta, esso
segna una linea di demarcazione fra i cittadini che appartengono alla
tradizione socio-culturale nazionale e coloro che vi sono estranei. Suo
promotore fu Henri Konan Bédié, leader del Partito Democratico della Costa
d'Avorio, che per mezzo di un gruppo di lavoro di intellettuali indigeni riuscì
a sviluppare questo sistema di identificazione, delineando così le caratteristiche
proprie -secondo questo pensiero- del popolo ivoriano. Questo provocò la guerra
civile e il colpo di Stato del 2000, con la divisione tra Nord musulmano e Sud
cristiano.
Lingue
La lingua ufficiale della Costa d'Avorio è il francese che è parlato da circa il 70%
della popolazione,[4] mentre per il restante 30% la lingua baulé, dioula e agni sono le più
diffuse.
Religioni
La religione tradizionale è l'animismo, ancora diffusa in circa il 10%
della popolazione. Oggi le religioni più diffuse sono il Cristianesimo (45,4%, in maggioranza cattolici) e l'Islam
(38,6%). Una parte della popolazione (5%) non si considera seguace di alcuna
religione (ad esempio il sottoscritto –
NdR).