A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

lunedì 21 dicembre 2015

La Costa d'Avorio con gli occhi di un cooperante fiorentino

di Alessandro Rabbiosi

Sono ormai tanti anni che mi sono volontariamente esiliato nel continente africano, prima in Algeria e da ormai 12 anni in Costa d’Avorio.
Il mio ormai paese d’adozione è una delle tante ex colonie francesi dell’Africa Occidentale, un bel quadrilatero quasi quadrato puro messo proprio sul Golfo di Guinea abitato da oltre 60 etnie (tra le quali gli ivoriani ci aggiungono, tra il serio e il faceto, pure quella dei “libanesi”) ha sempre, o quasi, rappresentato un bell’esempio di integrazione; inoltre sui circa 22 milioni di abitanti un quarto esatto sono inoltre stranieri, in maggioranza provenienti dal Burkina Faso e attirati, negli anni ’60, dalla politica di valorizzazione della terra messa in pratica dal presidente dell’indipendenza, Felix Houphet Boigny. Un esempio di “accentratore da non mettere in discussione illuminato” uomo piccolo di statura ma dal cervello fino, forse anche per l’origine paysanne, cioè contadina. Uomo pio (artefice della Basilica di Yamossoukro, copia di San Pietro a Roma) e ambizioso, è stato per un trentennio il politico di riferimento della regione alternando saggezza e disponibilità a un’applicazione ferocemente machiavellica degli interessi superiori di Stato e del paese tutore, la Francia. Un po’ populista quasi di sinistra ma assai moderato se non peggio, a lui si deve quello che negli anni ’70 e primi ’80 venne definito il miracolo ivoriano tanto che gli economisti “inventarono” il termine “paese in via di sviluppo” per inserire quegli stati che stavano avanzando con successo sulla strada dell’exploit economico (tipo per esempio la Corea), la morte del presidentissimo, nel 1993, fu un trauma nazionale tanto che mia moglie, che allora aveva 18 anni, mi racconta che quando fu dato l’annuncio ebbe un attacco di panico pensando che il giorno successivo non sarebbe sorto il sole...come spesso accade per i lunghi regni le successioni sono sempre complicate e fanno emergere tutto cio’ che non andava che era celato dietro l’apparente solidità di un sistema. La crisi economica che flagello’ il paese per il crollo della redditività di certe monoculture sulle quali aveva fino allora costruito la sua fortuna (cacao – primo produttore al mondo - e caffè in primis) fece il resto e cosi’ divampo’ pure la crisis socio politica. Non sto adesso ad addentrarmi troppo nei dettagli, ma in quegli anni, per cercare di giustificare le gravi difficoltà economiche, si comincio’ a cercare il capro espiatorio, e quale migliore capro espiatorio del 25% di stranieri, anche se ormai nati nel paese e di seconda generazione? Il tutto si tradusse, politicamente, con l’introduzione dello scellerato principio identitario salviniano dell’Ivorità (prima gli ivoriani poi gli altri) solo che, in un paese talmente mescolato dove pure i presunti ivoriani duri e puri portano patronimici che sono diffusissimi pure in Burkina, Ghana, Guinea, Mali o Liberia, questa follia ha prodotto l’instabilità generale che è passata di colpo di stato a ribellione per poi avere il finale tipico di una guerra civile, dalle perdite umane pesanti ma non catastrofiche, anche se solo per un pelo, grazie alla proverbiale bonomia unita a un po’ di fanfaronaggine verbale che difficilmente si traduce in pratica delle popolazioni locali, ma che comunque ha marcato in maniera pesante le idee e gli animi delle persone. Questo un po’ il sintetico, anche troppo, quadro della situazione appena precedente all’attualità. Attualità fatta di un boom macroeconomico (come spesso accade dopo le grandi crisi) che pero’ non ha ancora irrorato dei suoi benefici effetti la maggioranza della popolazione, specie quella meno attrezzata per istruzione, cultura e basi economiche di partenza.

In questo paese ci sono arrivato nel 2003, un anno dopo la divisione del paese in due zone di controllo una detta lealista al centro sud e l’altra, della ribellione al centro nord. Ho quindi condiviso e sofferto le stesse situazioni, paure, speranze, delusioni della gente, mi sono sposato con una professoressa di francese ivoriana e ho avuto una figlia, nata proprio qua. Quindi è un paese che, nonostante i problemi e le movimentate vicende dell’ultimo ventennio, mi è entrato profondamente nel cuore e che sento mio. Al tempo stesso sono comunque sempre rimasto e sempre lo saro’ attaccato alla mia madrepatria che, per me, è soprattutto Firenze; pero’ grazie a questo ho potuto crearmi un salutare isolamento dalla deprimente evoluzione della Politica italiana adesso più che mai in preda a sussulti premortem che riescono a dare una statura etica e di competenza gigantesca ai tanto vituperati politici anni 70 del nostro paese. Quindi non ho veramente voluto approfondire l’analisi sul sistema Italia anche se, ovviamente, certi segnali e certe considerazioni arrivano e le ho fatte pure da questa distanza. Il mio non è qualunquismo, direi soprattutto stanchezza, e anche, coinvolgimento assoluto in quella che è stata ed è la mia vita da emigrato di lusso in un paese dell’etichettato terzo mondo; un paese che ha vissuto la sua bella e tragica crisi politico - sociale ma non è argomento di oggi. Una cosa che ha invece attirato la mia attenzione, alla luce anche della sensibilità del tema adesso in Italia, è l’evoluzione dell’atteggiamento dell’africano verso l’Europa e viceversa: non posso tirar fuori una legge e nemmeno una tendenza, trattasi di sensazioni che si originano dal vissuto quotidiano e che, forniscono interessanti punti di discussione. Innanzi tutto vedo sempre più africani che vivono in Europa rientrare al paese per investire quello che non potrebbero investire da noi visti gli ostacoli, i pregiudizi e le solenni panzane messe a giro sul loro conto. Ma la cosa più interessante è che non son solo « africani europei » arrivano numerosi ma, sempre più, europei in carne ed ossa e tantissimi italiani !!!! Nessuno di loro per fare il missionario o l’operatore della cooperazione (occupazioni un tempo in voga) e nemmeno il manager di qualche multinazionale…macchè…semplici risparmiatori o imprenditori che, strozzati dalle nostre parti, vedono in Africa un’occasione di investimento redditizi. Tolti alcuni che sono manifestamente i manutengoli di qualche clan camorristico mafioso che ha bisogno di lavaggi monetari, il grosso sono persone anche volenterose e capaci nel loro mestiere. Il problema è che, spesso, vi arrivano culturalmente disarmati oppure troppo europeisticamente condizionati e quindi la fregatura o il tracollo sono sempre dietro l’angolo, dando spesso l’idea di un ingenuo avventurismo e non di razionali operazioni economiche pianificate col rigore tipico di certi nostri piccoli e capaci imprenditori. Prima di tutto fare attenzione al partner o alla persona di « fiducia » che accompagna queste imprese: spesso i nostri eroi (specie gli italiani) non parlano NIENTE della lingua ufficiale del paese dove intendono cimentarsi (in questo caso il francese) e cio’ gli espone alla necessità di avvalersi di qualcuno e in questo caso le trappole sono innumerevoli. Non fidandosi di connazionali che da tempo stanno sul posto (per motivi d’orgoglio o timore di fare la figura del pollo da spennare) i nostri baldi intraprendenti si affidano a persone di assoluta fiducia, magari conosciute in Italia e che si propongono bene e con saper fare - il famoso savoir faire -magari vantando amicizie importanti o parentele altolocate con i potenti di turno…eh si…purtroppo quasi tutti qui hanno qualcuno della famiglia che sta nelle minuscole ma al tempo stesso larghissime cerchia del potere, ognuno ha amicizie importanti - millantate o meno - e da tutto questo scaturiscono e si ingigantiscono gli equivoci e le trappole perchè sono si africani ma l’anello al naso è da un pezzo che è stato nobilitato dalla moda del piercing. Leggo dichiarazioni ad effetto di certi « intolleranti » nostrani del tipo « l’Africa intera non può stare in Italia », tutte stolide boutades: si giudicano alcuni episodi e si tiran fuori leggi universali senza alcuna attinenza alla realtà. Il nostro paese non è più l’Eldorado di un tempo e, invece, sempre più sono investitori italici che cercano soluzioni altrove presso coloro che vorrebbero cacciare. Vi è tanto controsenso in tutto ciò. Inoltre vi è l’aspetto demografico: noi siamo a crescita zero, tra qualche anno gli over 50 saranno la maggioranza della popolazione, altrove, nel mondo diciamo adesso sofferente, la crescita demografica è tra il 3 e il 4. La popolazione fa come l’acqua, occupa gli spazi e alla fine l’osmosi delle popolazioni diventerà un fenomeno naturale indipendente e invulnerabile davanti alle piazzate sciovinetnonazionalistiche. Del resto quando una civiltà deve ricorrere a barriere e azioni di forza virulenta per sperare di « tutelarsi » è già fottuta da un bel pezzo. In definitiva, la cosa che dovrebbe far riflettere è che in questo mondo ci sarebbe anche lo spazio per le competenze e le ambizioni di tutti, basterebbe un po’ più di umiltà e di intelligenza, nonchè onestà, negli approcci al quotidiano sia individuale che collettivo. Trattiamoci meglio e con maggiore sincerità, riconosciamo pure le aspirazioni legittime dell’altro, in questo caso l’africano, usciamo dal nostro egocentrismo senza rinunciare al nostro modo di essere ma rimanendo aperti senza pregiudizi e vedrete che molte cose cambieranno. I sempre maggiori consensi che riuniscono le idee diciamo « alla Salvini » sono una realtà che non va snobbata ma che mostra chiaramente come il nostro bagaglio culturale che ha radici nell’antica Grecia, nell’impero romano che si è elevato nel Rinascimento, poi con l’Umanesimo e l’Illuminismo, l’evoluzione della Politica, la democrazia, le lotte per i DIRITTI, ecc. ecc. sta svanendo davanti ai colpi di panza di argomenti duri e crudi che però, ahimè, sono non solo ingiusti e cattivi (diciamo che ce ne possiamo anche fregarcene delle implicazioni morali), ma restano assolutamente ANTISTORICI, vanno contro l’evoluzione demografico storica dell’Umanità e quindi dannosi e pure tristemente patetici. Questa corsa brancaleonesca all’Africa seppur ancora non massiccia o certamente non ben analizzata è un altro campanello d’allarme che suona.

COSTA D’AVORIO
(fonte wikipedia con modifiche del redattore)



Popolazione :
circa 22 milioni d’abitanti dei quali ¼ stranieri (i dati ufficiali del recente censimento del 2014 non sono stati ancora pubblicati) – (Fonte io stesso dai dati ufficiosi sul censimento che sono riuscito ad ottenere – NdR)
Etnie
La popolazione odierna della Costa d'Avorio appartiene a 62 gruppi etnici, raggruppabili in cinque grandi ceppi accomunati da caratteristiche socio-culturali o etno-linguistiche: Akan, i Gur o Voltaici (come i Senufo), Kru, Mandé del Nord e Mandé del Sud.
Gli Akan sono il gruppo etnico maggiore (42,1% della popolazione) e si trovano prevalentemente nelle regioni orientali e centrali dello stato.
I gruppi principali, per quanto riguarda le regioni settentrionali, sono i Mandé del Nord (16,5% della popolazione) ed i Voltaici (17,6%). Anche se questi gruppi etnici sono originari del Nord, molte persone che vi appartengono vivono oggi nelle regioni meridionali della nazione; ad esempio, circa il 23% dei Mandé del Nord vive ad Abidjan.
Nelle regioni occidentali la popolazione si divide tra i gruppi etnici dei Kru (12,7%) e dei Mandé del Sud (10%). Dagli anni quaranta, agli autoctoni del paese si aggiunsero i lavoratori provenienti dal Burkina Faso, che si installarono nelle piantagioni di caffè e di cacao. Anche dopo l'abolizione del lavoro forzato la Costa d'Avorio continuò ad attrarre ondate di migranti dai paesi limitrofi. Félix Houphouët-Boigny favorì questo flusso introducendo la legge di libera proprietà della terra, con lo slogan "the land belongs to those that develop it".
Oggi gli stranieri ammontano a circa il 25% della popolazione ivoriana e appartengono principalmente al gruppo etnico dei Voltaici e dei Mandé del Nord. Di questi, circa il 50% è nato nel paese. Nel paese si riscontra anche la presenza di cittadini di origine francese e libanese.
Di fondamentale importanza, sempre nel merito della differenziazione etnica all'interno della Costa d'Avorio, il concetto di Ivorité. Coniato nel corso della metà degli anni novanta, esso segna una linea di demarcazione fra i cittadini che appartengono alla tradizione socio-culturale nazionale e coloro che vi sono estranei. Suo promotore fu Henri Konan Bédié, leader del Partito Democratico della Costa d'Avorio, che per mezzo di un gruppo di lavoro di intellettuali indigeni riuscì a sviluppare questo sistema di identificazione, delineando così le caratteristiche proprie -secondo questo pensiero- del popolo ivoriano. Questo provocò la guerra civile e il colpo di Stato del 2000, con la divisione tra Nord musulmano e Sud cristiano.
Lingue
La lingua ufficiale della Costa d'Avorio è il francese che è parlato da circa il 70% della popolazione,[4] mentre per il restante 30% la lingua baulé, dioula e agni sono le più diffuse.
Religioni
La religione tradizionale è l'animismo, ancora diffusa in circa il 10% della popolazione. Oggi le religioni più diffuse sono il Cristianesimo (45,4%, in maggioranza cattolici) e l'Islam (38,6%). Una parte della popolazione (5%) non si considera seguace di alcuna religione (ad esempio il sottoscritto – NdR).