All’inizio dello scorso dicembre
Tullio De Mauro scriveva “ …è difficile liberare gli schiavi che si credono
liberi.”. Lo diceva a conclusione di un ragionamento sull’istruzione pubblica
nel quale ricordava anche la celebre affermazione dell’enciclopedista Condorcet
secondo cui senza di essa (l’istruzione pubblica generalizzata) persisterà
sempre la distinzione in due classi: quella di chi ragiona e quella di chi
crede nelle opinioni altrui. Questo “quasi testamento” del grande intellettuale
scomparso da poco riprende d’altra parte riflessioni che risalgono ad almeno
due decenni fa. Alberto Burgio ed altri studiosi scrivendo nel 1994 delle
“Nuove Servitù” che si venivano affermando nel mondo produttivo, evidenziavano
come quegli inediti “servi” più si sentivano padroni, più affermavano in realtà
la loro condizione servile.
Se ci fate caso il web è pieno di
articoli e prese di posizione che segnalano il pericolo della dittatura del
mondo della virtualità e dei social che sembrano allargare gli spazi di libertà
e comunicazione ma che in realtà li limitano e recludono le persone in una
vastissima riserva indiana che, anche se ampia, resta pur sempre tale…
Annamaria Testa, nota esperta di
comunicazione, dice giustamente che i social sono diventati il mondo in cui
viviamo e che la “manutenzione del sé virtuale” si avvia a diventare un impegno
a tempo pieno. Ed aggiunge anche, in un altro lucido intervento, che siamo
ormai collocati in una specie di tempo della “post verità” e che, per salvarsi,
occorre uscire da questa bolla di virtualità ritornando nella complessità del
reale; cosa che significa anche assumersi responsabilità e “riconnettersi” con
il “vero”.
Ciò che è sconsolante è che ormai
gli appelli sono diventati quasi una parte stessa della rappresentazione che è
in scena da un decennio almeno: viene quasi da dire che, in un certo senso,
fanno comodo. Si sa che alle dittature che tali sono ma che non vogliono
apparire, piace avere opposizioni tutto sommato inoffensive. È un po’ come dire
“lasciamoli abbaiare alla luna, visto che il potere è saldamente in mano
nostra…”
D’altra parte cosa possiamo mai
dire oggi se Feuerbach nel 1841 scriveva che “… il nostro tempo…preferisce
l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà,
l’apparenza all’essere…”.
Potremmo forse smetterla di
credere alla falsa democrazia del web. Non si arrabbino gli amici
pentastellati, ma è proprio avvilente pensare di cambiare le cose con un “clic”
sui bugiardini stilati dal Grande Capo…..Si potrebbe poi smetterla di passare
il proprio tempo con gli occhi chini su uno smartphone (con gli annessi rischi
per la propria ed altrui incolumità) alla ricerca di “like” e “amicizie”
evanescenti per fare cose più utili e concrete; in famiglia si potrebbe magari
parlare, leggere ed ascoltare musica, spegnendo TV e telefonini; si potrebbe
poi battagliare all’interno delle proprie organizzazioni, dei propri luoghi di
lavoro e di studio, delle associazioni in cui si milita ecc.. per ritornare a
parlare e confrontarsi, per ripristinare meccanismi di decisione democratica;
si potrebbero anche boicottare tutte quelle orribili emanazioni commerciali,
economiche, pseudo-culturali e di intrattenimento che fanno sì, come diceva Guy
Debord, che la merce diventi mondo ed il mondo merce…
Insomma: meno proclami, più
esempi concreti e coerenza personale, meno bamboleggiamento…
Lo dobbiamo anche a chi ha
combattuto per un’Italia ed un mondo diversi. Non ci saranno riusciti fino in
fondo ma sicuramente non volevano un pianeta con sempre più finti uomini liberi
e pochi veri padroni.
Per approfondire: Internazionale
del 21 dicembre 2016, articolo di Annamaria Testa, esperta di comunicazione, I
social network sono diventati “il modo in cui esistiamo”?
http://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2016/12/21/social-network