A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

mercoledì 30 novembre 2016

Referendum del 4/12 - da "Internazionale" on line. Scheda riepilogativa

 Pubblichiamo una scheda riepilogativa - curata dal settimanale "Internazionale" - che in dieci punti affronta efficacemente le tematiche del referendum costituzionale con le posizione del "sì" e del "no". Buon voto


Il 4 dicembre 2016, dalle 7 alle 23, gli italiani andranno a votare al referendum per approvare o respingere la riforma della carta costituzionale promossa dal governo.
La riforma è chiamata anche “legge Boschi”, dal nome della ministra per le riforme costituzionali Maria Elena Boschi, che ha firmato la proposta di riforma insieme al presidente del consiglio. La legge implica modifiche importanti all’assetto delle istituzioni – come il superamento del bicameralismo perfetto e la riforma del titolo V – ed è stata approvata tre volte da camera e senato (due volte con lo stesso testo) e ora sarà sottoposta alla volontà popolare, su richiesta di cittadini e parlamentari, come previsto dall’articolo 138 della costituzione
Nel referendum costituzionale (a differenza di quello abrogativo) non è previsto un quorum: la validità della consultazione, cioè, non dipende da quante persone voteranno. Il risultato sarà valido qualunque sia la partecipazione al voto. 
Il procedimento di approvazione della legge è cominciato nell’aprile del 2014 con un testo che nel corso della discussione in aula è stato modificato sia dalla camera sia dal senato. La riforma riguarda più di un terzo degli articoli della costituzione (47 su 135) ed è la più vasta dal 1948, quando la costituzione italiana è entrata in vigore. 
1. Cosa chiede il quesito referendario?
Il quesito referendario che sarà stampato sulle schede elettorali dice: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della costituzione?”. 
La posizione del no Il testo del quesito referendario è stato criticato perché secondo alcuni sarebbe implicitamente favorevole all’approvazione della riforma (al fronte del sì). Per questo il 5 ottobre alcuni partiti (Sinistra italiana e Movimento 5 stelle) hanno presentato un ricorso al tribunale amministrativo del Lazio accusando chi ha scritto il quesito di aver “fatto uno spot pubblicitario per il governo”. Secondo chi ha presentato il ricorso, il quesito avrebbe dovuto indicare tutti gli articoli che saranno modificati dalla riforma, senza tralasciare temi come la riforma dell’elezione del presidente della repubblica. Inoltre la scheda “riporta impropriamente anche una presunta finalità della legge: il cosiddetto contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni”, di cui non si parla nelle norme revisionate e che potrebbe “semmai essere una conseguenza, neppure certa e comunque irrisoria”, delle modifiche. Nel ricorso si chiede di ritirare il decreto del presidente della repubblica con cui si annuncia il referendum. 
La posizione del sì Per rispondere alle critiche sul quesito, il presidente della repubblica e il governo hanno ricordato che “il quesito è stato valutato e ammesso” dalla corte di cassazione e “riproduce il titolo della legge quale approvato dal parlamento”. 
2. Quali sono le principali modifiche introdotte dalla riforma?
I cambiamenti sostanziali introdotti dalla riforma riguardano: il superamento del bicameralismo perfetto o paritario, il numero dei senatori, i loro compiti e il modo in cui sono eletti, l’attribuzione esclusivamente alla camera dei deputati del compito di esprimere la fiducia nei confronti del governo, l’attribuzione dell’attività legislativa quasi interamente alla camera, cambiamenti nella procedura di elezione del presidente della repubblica, modifiche ai rapporti tra stato e regioni delineati dal titolo V, in particolare per le competenze legislative, l’eliminazione del riferimento alle province, l’abolizione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), alcune modifiche nella modalità di presentazione delle leggi d’iniziativa popolare e dei referendum abrogativi. 
La posizione del no La riforma è vasta e caotica e ha l’effetto di indebolire alcuni poteri di garanzia, come quello del senato, a favore di un rafforzamento del potere esecutivo. Un rischio che si aggrava se si considera il legame tra la legge elettorale Italicum e la riforma costituzionale, che amplifica la concentrazione del potere nella figura del capo del governo e indebolisce l’autonomia delle istituzioni di garanzia. Inoltre, l’attuale parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale (legge Calderoli) non sarebbe legittimato a portare a termine una riforma così profonda del sistema istituzionale. 
La posizione del sì Gran parte della costituzione non sarà modificata. In particolare, non sono in discussione i princìpi fondamentali (articoli 1-12) né la prima parte della costituzione sui diritti e i doveri dei cittadini (articoli 13-54). Le modifiche riguardano solo la seconda parte della costituzione, che disciplina gli assetti istituzionali e che anche secondo chi fece parte dell’assemblea costituente (1946-1948) avrebbe potuto essere in parte ripensata. I cambiamenti porteranno a una maggiore governabilità e a una razionalizzazione dei costi della macchina dello stato. 
3. Che cos’è il bicameralismo perfetto, e come cambia?
Il bicameralismo perfetto è un sistema parlamentare in cui due camere hanno gli stessi poteri. Nel sistema italiano tutte le leggi, sia ordinarie sia costituzionali, devono essere approvate dalla camera dei deputati e dal senato. Anche la fiducia al governo deve essere concessa sia dai deputati sia dai senatori. Con la riforma, invece, la camera dei deputati diventa l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto e l’unica assemblea che dovrà accordare la fiducia al governo, approvare le leggi di bilancio e nella stragrande maggioranza dei casi le leggi ordinarie. I rami del parlamento restano due (camera dei deputati e senato della repubblica), ma avranno funzioni diverse. 
La posizione del no Concedendo solo alla camera dei deputati la possibilità di votare la fiducia si elimina il controllo del senato sul governo senza inserire altri contrappesi democratici al potere esecutivo. Inoltre, poiché le leggi proposte dal governo avranno una corsia preferenziale per essere esaminate più rapidamente, c’è il rischio che aumenti eccessivamente il potere del presidente del consiglio. 
La posizione del sì Il governo sarà più stabile perché non dovrà chiedere il voto di fiducia a entrambe le camere, l’approvazione delle leggi sarà più rapida e i costi di gestione delle istituzioni diminuiranno. 
4. Che poteri avrà il nuovo senato?
I senatori parteciperanno, come oggi, all’elezione del presidente della repubblica, dei componenti del consiglio superiore della magistratura e dei giudici della corte costituzionale. Ma la funzione principale del senato sarà quella di raccordo tra lo stato, le regioni e i comuni, una funzione svolta oggi dalla Conferenza stato-regioni. Al senato sarà attribuita anche la [nuova] funzione di valutare le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni. 
Solo per alcuni tipi di legge servirà l’approvazione di entrambi i rami del parlamento: le leggi costituzionali, le leggi sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione delle politiche europee, le leggi sull’elezione del senato e quelle che incidono direttamente sull’ordinamento di regioni, comuni e città metropolitane. Per tutte le altre leggi, la funzione legislativa spetterà solo alla camera. I disegni di legge all’esame della camera saranno comunque trasmessi al senato, che avrà la possibilità di proporre delle modifiche, ma solo [se] entro dieci giorni e su richiesta di almeno un terzo dei senatori. Le modifiche dovranno essere approvate dalla maggioranza dei senatori. 
La posizione del no Con la riforma si crea un numero ancora indefinito di procedure legislative alternative (secondo alcuni sette, secondo altri nove, secondo altri ancora dieci o undici) che creeranno confusione e conflitti tra i due rami del parlamento. Inoltre, visto che la riforma rinvia a una futura legge ordinaria che regolerà il sistema di elezione dei senatori e il funzionamento del senato, è impossibile farsi un’idea concreta di come funzionerà il nuovo senato. 
La posizione del sì L’approvazione delle leggi sarà più rapida, la maggior parte delle leggi potrà entrare in vigore undici giorni dopo essere stata approvata dalla camera. Il senato rappresenterà di più le autonomie territoriali e farà da raccordo tra le regioni e lo stato. 
5. Da chi sarà formato il nuovo senato?
Il senato diventa un organo rappresentativo delle autonomie regionali composto da cento senatori (invece dei 315 attuali), che non saranno eletti direttamente dai cittadini, ma dai consigli regionali e dal presidente della repubblica. I consigli regionali sceglieranno 95 senatori, nominando con metodo proporzionale 21 sindaci (uno per regione, escluso il Trentino-Alto Adige che ne nominerà due) e 74 consiglieri regionali (minimo due per regione, in proporzione alla popolazione e ai voti ottenuti dai partiti). Questi senatori resteranno in carica per la durata del consiglio regionale che li avrà eletti. 
Il presidente della repubblica nominerà cinque senatori, che rimarranno in carica sette anni. La carica di senatore a vita rimarrà solo per gli ex presidenti della repubblica. I cinque senatori a vita attuali (Giorgio Napolitano, Mario Monti, Carlo Rubbia, Renzo Piano ed Elena Cattaneo) resteranno in carica ma non saranno sostituiti. I senatori non saranno più pagati dal senato, ma percepiranno solo lo stipendio da amministratori locali. 
La posizione del no I senatori non lavoreranno a tempo pieno in senato perché nel resto del tempo dovranno svolgere il loro lavoro nelle istituzioni di appartenenza. 
La posizione del sì L’incarico da consigliere regionale non è così impegnativo da impedire il lavoro in senato. Inoltre si risparmierà sui costi del senato perché i consiglieri regionali e sindaci hanno già un compenso. I senatori nominati dal presidente della repubblica non percepiranno indennità. 
6. Come saranno scelti i senatori?
Ogni consiglio regionale dovrà eleggere un senatore tra i sindaci dei comuni della regione: ci saranno quindi 21 senatori-sindaci. Gli altri senatori saranno eletti dai consigli regionali tra i loro componenti con metodo proporzionale “in conformità alle scelte espresse dagli elettori” in occasione del rinnovo del consiglio regionale. A ciascuna regione spetterà un numero di seggi in proporzione alla popolazione, secondo l’ultimo censimento generale, ma con un minimo di due. A ciascuna delle province autonome di Trento e Bolzano spettano due senatori. 
Una legge elettorale per il senato, che sarà adottata dopo l’entrata in vigore della riforma e dovrà essere approvata sia dalla camera sia dal senato, spiegherà in dettaglio come si sceglieranno i senatori. Il contenuto di questa legge è ancora da definire. In occasione della prima formazione del senato, i componenti saranno nominati dai consigli regionali in carica. I senatori non saranno rinnovati contemporaneamente, ma saranno rinnovati in corrispondenza con le elezioni dei singoli consigli regionali. La durata del mandato dei senatori coinciderà con quella dei consigli regionali che li hanno eletti. Per diventare senatori non sarà più necessario aver compiuto quarant’anni. Il nuovo senato andrà a regime quando tutti i consigli regionali saranno stati rinnovati (nel 2022). 
La posizione del no I criteri di selezione dei senatori non sono trasparenti e si rinuncia alla loro elezione a suffragio universale, danneggiando il rapporto diretto con gli elettori. 
La posizione del sì Saranno più rappresentate le autonomie regionali. 
6. Come cambierà l’elezione del presidente della repubblica?
All’elezione del presidente della repubblica non parteciperanno più i delegati regionali, ma solo le camere in seduta comune. Sarà necessaria la maggioranza dei due terzi dei parlamentari fino al quarto scrutinio, poi basteranno i tre quinti. Dal settimo scrutinio servirà la maggioranza dei tre quinti dei votanti (oggi è necessario ottenere i due terzi dei voti di camera, senato e delegati regionali in seduta congiunta fino al terzo scrutinio; dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dell’assemblea). 
La posizione del no La riduzione a cento dei senatori porta uno squilibrio tra le due camere, quella eletta con l’Italicum e quella invece scelta nei consigli regionali, con il rischio che l’elezione del capo dello stato finisca nella sfera d’influenza del governo e del presidente del consiglio. Con l’introduzione di una maggioranza qualificata al settimo scrutinio che tiene conto del numero dei votanti e non di tutti i parlamentari, c’è il rischio che il capo dello stato sia eletto da un piccolo gruppo di parlamentari. 
La posizione del sì Il presidente della repubblica mantiene i suoi poteri e il suo ruolo di garanzia. Il quorum per l’elezione è più alto rispetto alla procedura attuale, non scende sotto ai tre quinti dei votanti e di solito all’elezione del presidente della repubblica partecipa il 98 per cento degli aventi diritto, in questo caso quindi votanti e aventi diritto spesso coincidono. Inoltre neanche la forza politica che otterrà il premio di maggioranza alla camera garantito dal sistema elettorale (340 seggi) potrà eleggere da sola il presidente della repubblica (per il quale si può stimare che serviranno 425-435 voti). 
7. Di cosa tratta il titolo V e come cambierà?
Il titolo V della seconda parte della costituzione è dedicato agli enti territoriali: comuni, province, città metropolitane e regioni. 
Nel 2001 è stato riformato da un governo di centrosinistra con una legge che ha introdotto alcune correzioni federaliste alla costituzione. Quella legge elenca le materie di competenza esclusiva dello stato e le materie di competenza sia dello stato sia delle regioni, quindi stabilisce che su tutte le materie non elencate la competenza spetta alle regioni. Ma la norma non ha fatto chiarezza su alcuni temi e ci sono stati molti ricorsi alla corte costituzionale per conflitti di competenza tra stato e regioni. 
La principale modifica proposta dalla legge Boschi è la revisione delle competenze legislative di stato e regioni, la soppressione della cosiddetta competenza concorrente, cioè della sovrapposizione di competenze tra stato e regioni, e l’introduzione di una “clausola di supremazia”, cioè del principio per cui, nei casi d’interesse nazionale, le decisioni dello stato prevalgono su quelle delle regioni. La riforma prevede anche l’abolizione delle province. 
8. Quali materie torneranno di competenza esclusiva dello stato? Cosa cambierà nella pratica?
Le materie che saranno di competenza esclusiva dello stato sono una ventina. Tra queste: la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionali dell’energia; le infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e le relative norme di sicurezza; i porti e gli aeroporti civili di interesse nazionale e internazionale; il commercio con l’estero; l’adozione di disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali, per la sicurezza alimentare e il turismo; la tutela e sicurezza sul lavoro, le politiche attive del lavoro, l’ambiente e l’ecosistema; il sistema nazionale e il coordinamento della protezione civile; il coordinamento dell’uso delle tecnologie digitali nell’amministrazione statale, regionale e locale; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; l’adozione delle norme sui procedimenti amministrativi per assicurarne l’uniformità sul territorio nazionale. 
La posizione del no Anche il testo della riforma lascia spazio a interpretazioni diverse sulle competenze di stato e regioni, quindi continueranno a esserci ricorsi alla corte costituzionale. Il problema si pone in particolare per le materie in cui la riforma prevede che lo stato stabilirà disposizioni generali e comuni, mentre l’attuazione spetterà alle regioni. 
La posizione del sì Aumentando le competenze esclusive dello stato, il rischio di contenziosi diminuirà. Tanto più che la cosiddetta clausola di supremazia consentirà, su questioni specifiche, di far prevalere lo stato sulle regioni. 
9. Cos’è il Cnel e perché con la riforma viene abolito?
Il Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) si occupa delle leggi sull’economia e sul lavoro. Ha il compito di fornire dei pareri su questi temi al governo e al parlamento, ma può anche proporre delle leggi. È uno degli “organi di rilievo costituzionale”, cioè un organo previsto dalla costituzione, ma non essenziale al funzionamento dello stato. Per questo può essere abolito da una riforma. La legge Boschi prevede la sua soppressione perché ritiene che i costi del Cnel siano ingiustificati. 
10. Qual è il rapporto di questa riforma con la legge elettorale Italicum?
Il referendum non riguarda la legge elettorale Italicum, che è in vigore dal 1 luglio 2016. Ma l’Italicum è stato pensato in previsione della riforma costituzionale, per questo regola solo l’elezione dei deputati. 
Molti sostengono che l’Italicum e la riforma costituzionale messi insieme attribuiscono poteri molto forti al governo e al presidente del consiglio. E la riforma rafforza la legge elettorale, perché attribuisce solo alla camera dei deputati la possibilità di accordare la fiducia al governo. 
È in corso un dibattito sull’opportunità di modificare l’Italicum, che attribuisce un ampio premio di maggioranza (340 seggi su 630) alla lista che ottiene almeno il 40 per cento dei voti al primo turno o vince al secondo turno. 
La posizione del no La combinazione di Italicum e riforma costituzionale rafforza eccessivamente l’esecutivo e indebolisce le funzioni di indirizzo politico del parlamento. 


La posizione del sì Le due riforme garantiranno maggiore governabilità e un meccanismo di approvazione delle leggi più snello. La riforma costituzionale garantirà questo effetto con qualsiasi legge elettorale. 

lunedì 21 novembre 2016

Referendum. Articolo di Luciano Violante da "Huffington Post" - Le ragioni del sì -

Questa nota intende esporre le ragioni del Sì nel referendum costituzionale. Si divide in tre brevi parti. La prima è una premessa tendente a spiegare le ragioni per le quali questa è una scelta importante tanto per chi vota Sì quanto per chi vota No. Nella seconda parte si indicano i contenuti essenziali della riforma e si risponde alle principali obiezioni. Nella terza si indicano brevemente le ragioni storiche per le quali il sistema disegnato dalla Costituzione è improntato al principio di non decisione. 
Una premessa
Il referendum non è il giudizio universale, ma non è una scelta banale
Il referendum non è il giudizio universale e sono sbagliate le previsioni catastrofiche dei sostenitori dell'una o dell'altra alternativa in caso di vittoria degli avversari. Tuttavia non si tratta di un banale adempimento. Il voto deciderà il futuro del nostro sistema politico: se confermare l'assetto del 1948, che peraltro era stato criticato anche da autorevoli costituenti, come Calamandrei e Dossetti, o scegliere per il cambiamento.
Poiché non ogni cambiamento è di per sé migliorativo, occorre guardare i contenuti della riforma, se essi, al di là delle imperfezioni tecniche, segnano davvero un miglioramento. È in discussione il futuro del Parlamento, del Governo, delle Regioni e di alcuni moderni diritti di partecipazione dei cittadini. L'instabilità, dodici governi negli ultimi venti anni, verrà finalmente superata? Cesserà il dominio del Governo sul Parlamento con la sequenza decreti legge-maxiemendamenti-fiducia? Le grandi infrastrutture strategiche saranno finalmente decise a livello centrale? Si potranno riattivare forme di partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche?
La riforma risponde positivamente a questi interrogativi. Poiché una delle grandi difficoltà delle democrazie occidentali è costituita dalla estraneità dei cittadini alla politica, dovrebbe essere particolarmente sottolineata quella parte della riforma che riconosce il diritto dei cittadini al referendum propositivo e a vedere prese in esame entro un determinato termine le proposte di legge di iniziativa popolare, che oggi finiscono in un cestino. Si tratta di novità che, insieme ad una nuova legge elettorale che non sacrifichi la rappresentanza dei cittadini, potrebbe riattivare il circuito virtuoso tra società e politica.
Due importanti personalità, l'ex presidente del Consiglio Massimo D'Alema e l'ex presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, entrambi contrari alla riforma, hanno minimizzato gli effetti di una eventuale vittoria del No, sostenendo che non sarebbe successo nulla, come non è successo nulla dopo la vittoria del No nel referendum del 2006 che respinse la riforma del centrodestra.
Quella riforma aveva aspetti preoccupanti: il presidente del Consiglio avrebbe potuto addirittura sciogliere direttamente la Camera dei deputati, tenendola quindi sotto costante ricatto. È stato un bene bocciarla. Ma proprio quella vicenda ci dice quanto è difficile riprendere il filo delle riforme dopo una bocciatura popolare. Dopo la bocciatura, come dicono le due illustri personalità, non è successo nulla. Appunto! Dal 2006 al 2016 abbiamo continuato con l'instabilità: sei governi in dieci anni, contro i tre della Germania e della Gran Bretagna, scelte di breve respiro, mutevolezza delle regole dovuta all'avvicendarsi delle maggioranze politiche. Nel 2018 dovrebbero tenersi le prossime elezioni politiche ed è evidente anche al più sconsiderato ottimista che l'attuale situazione di instabilità istituzionale, abusi regolamentari, lentezze decisionali si trascinerebbe ancora sia in questa che nella prossima legislatura.
Tacciare di conservatorismo chi sostiene il No è sbagliato. Come è sbagliato accusare di propensione all'autoritarismo i sostenitori del Sì. Il confronto può e deve essere civile. Il Sì e il No hanno pari dignità e meritano uguale rispetto. Ma hanno effetti del tutto diversi e di questi effetti occorre discutere.
Il contenuto della Riforma
La riforma non riguarda la Prima Parte della Costituzione (Diritti e Doveri dei Cittadini), ma solo la Seconda Parte (Ordinamento della Repubblica)
1. Questi i punti essenziali della Riforma:
a) La fiducia è data e può essere tolta dalla sola Camera dei Deputati, come avviene in tutte le democrazie parlamentari. Oggi per la fiducia occorre il consenso di entrambe le Camere, ma per sfiduciare un governo e farlo cadere basta il voto di una sola delle due Camere (è una eccezione in tutto il panorama delle democrazie parlamentari).
b) I componenti del Senato sono 95 elettivi (invece degli attuali 315) e 5 nominati dal Presidente della Repubblica, più gli ex presidenti della Repubblica.
c) Sono previsti due distinti procedimenti legislativi; uno bicamerale, come oggi, che riguarda solo poche leggi di particolare importanza (ad esempio le leggi costituzionali) ed uno monocamerale che riguarda tutte le altre leggi: il Senato può proporre entro tempi assai brevi ( da 10 a 40 giorni, a seconda dei casi) modifiche ai testi approvati dalla Camera sulle quali quest'ultima decide in via definitiva. Ci sarà maggiore rapidità e soprattutto più chiarezza.
d) Il Senato svolge una intensa attività di controllo: sulle politiche pubbliche, sull'attuazione delle leggi, sull'attività delle pubbliche amministrazioni, sull'impatto nei territori delle politiche della Unione Europea.
e) La riforma prevede che i decreti legge debbano contenere misure immediatamente applicabili, e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. Cesserà quindi l'abuso dei decreti legge che oggi possono riguardare qualunque materia e possono dettare regole anche per materie tra loro eterogenee.
f) Oggi il Capo dello Stato non riesce, di fatto, a rinviare alle Camere una legge di conversione di un decreto legge perché altrimenti farebbe scadere il termine dei 60 giorni entro il quale il decreto dev'essere convertito. La riforma prevede che quando il Capo dello Stato chiede alle Camere il riesame della legge di conversione del decreto legge, il termine per l'efficacia del decreto slitta da 60 a 90 giorni. Quindi c'è maggiore possibilità di controllo sulla maggioranza parlamentare e sul governo.
g) Il governo perde così uno strumento per poter ottenere leggi in poco tempo. In compenso, con la riforma, può chiedere alla Camera di deliberare sui progetti di legge di particolare importanza per il governo entro un termine scelto dalla stessa Camera tra 70 e 85 giorni.
h) Sono sottratti alle Regioni poteri di legiferare in materie che riguardano l'interesse nazionale . Apparterranno allo Stato le competenze sulle grandi infrastrutture strategiche, sul coordinamento della finanza e del sistema tributario, sulla tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, porti e aeroporti civili di interesse nazionale e internazionale.
i) Lo Stato può intervenire al posto di una Regione quando bisogna tutelare l'interesse nazionale oppure l'unità giuridica o economica della Repubblica (come nella Costituzione tedesca).
j) A compensazione della riduzione dei poteri, le Regioni attraverso i loro rappresentanti in Senato parteciperanno alla legislazione nazionale e alle attività di controllo sul governo nazionale.
k) Sono potenziati i diritti dei cittadini:
- è previsto, per la prima volta, il referendum propositivo;
- le proposte di iniziativa popolare devono essere necessariamente prese in esame dalle Camere nei tempi previsti dai Regolamenti parlamentari mentre oggi restano in genere nei cassetti del Parlamento; a questa disciplina più garantista è collegato un maggiore impegno dei cittadini perché oggi sono necessarie 150.000 firme e non più 50.000; oggi i cittadini italiani sono un po' più di 60 milioni mentre nel 1948 erano un po' più di 41 milioni; oggi inoltre tramite la rete è più facile raccogliere le firme.
- Quando i proponenti del referendum abrogativo raccolgono almeno ottocentomila firme (invece di 500.000 che è il numero minimo perché il referendum sia ammesso), la proposta è approvata se ha partecipato alla votazione non la maggioranza degli elettori, ma la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni per la Camera dei deputati e, naturalmente, se è raggiunta la maggioranza dei voti validi.
l) È prevista una nuova forma di controllo sulle leggi elettorali; prima della loro entrata in vigore una minoranza di parlamentari ( un quarto dei deputati o un terzo dei senatori) può chiedere alla Corte Costituzionale di verificare la costituzionalità di una qualsiasi legge elettorale; questa possibilità è prevista anche nei confronti dell'Italicum. Chi è contro l'Italicum quindi, dovrebbe votare Sì per poter dare alla minoranza della Camera o del Senato la possibilità di chiedere una deliberazione preventiva di costituzionalità su questa legge elettorale.
Obiezioni e repliche
1. Obiezione È una svolta autoritaria.
Replica Non è esatto. Il presidente del Consiglio, comunque si chiami, non potrà porre la fiducia al Senato; non potrà abusare come oggi dei decreti legge. Il governo sarà sottoposto al controllo del Senato per tutto quanto riguarda le politiche pubbliche, l'attuazione delle leggi, il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. I 56 ex presidenti della Corte costituzionale e costituzionalisti che sono per il No hanno scritto nel loro documento: "Non siamo tra coloro che indicano questa riforma come l'anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo".
2. O. L'Italicum dà troppi poteri al Presidente del Consiglio.
R. L'obiezione ha qualche fondamento, ma non si vota sull'Italicum; la Corte costituzionale prenderà in esame nei primi giorni di ottobre le eccezioni di costituzionalità sollevate dai tribunali di Messina e di Torino. Se prevalesse il Sì, la minoranza parlamentare potrebbe inoltre chiedere un giudizio di costituzionalità sulla intera legge (v., sopra, lettera l). È evidente inoltre che sta prendendo piede anche all'interno della maggioranza l'idea che quella legge elettorale vada cambiata.
3. O. L'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali sottrae il potere di scelta ai cittadini e non è chiaro come verranno eletti.
R. Non è esatto. Il Senato non può tornare ad essere un doppione della Camera e perciò, come in Germania e in Francia, non è scelto direttamente dai cittadini. Tuttavia, la riforma rinvia ad una legge successiva (che potrà essere discussa e approvata solo dopo la vittoria del Sì, necessaria perché la riforma sia efficace) in base alla quale i senatori saranno eletti dai consigli regionali, ma "in conformità alle scelte espresse dagli elettori". Questo significa che la rosa dei candidati sarà determinata dal voto degli elettori e, all'interno di questa rosa scelta dagli elettori, i consigli regionali eleggeranno i loro senatori.
4. O. Il bicameralismo paritario non è mai stato un fattore di instabilità.
R. Non è esatto. Nel 1994 il centrodestra guidato da Berlusconi vinse bene alla Camera, ma non al Senato, dove la maggioranza si costituì grazie ad alcuni senatori che passarono al centrodestra, pur essendo stati eletti in altre liste. Nel 1996 Prodi fu autosufficiente al Senato, ma non alla Camera. Nel 2006, ancora, Prodi, vinse alla Camera ma non al Senato e ne 2013 è accaduta la stessa cosa a Bersani. Oggi il governo Renzi, si basa al Senato sui voti del gruppo del senatore Verdini, uscito da Forza Italia.
5. O. La stabilità è data dalla forza dei partiti, non dalle regole.
R. È vero. Ma se i partiti non hanno né forza né credibilità, dovremmo forse attendere che essi riacquistino queste doti? Evidentemente no. Perciò oggi servono quelle regole per la stabilità e la rapidità che la Costituzione non prevede perché il funzionamento delle grandi istituzioni politiche fu delegato ai partiti, senza fissare regole istituzionali. D'altra parte tutte le grandi democrazie hanno in Costituzione regole per la stabilità.
6. O. Le grandi riforme devono unire. Questa, invece, divide ed è stata approvata non da una grande maggioranza del Parlamento, ma solo dalla maggioranza di governo.
RLe cose stanno diversamente. All'inizio per ben tre volte la riforma è stata votata anche da Forza Italia (che ha votato anche l'Italicum). M5S ha votato contro sin dall'inizio per ragioni pregiudiziali, indipendentemente dai contenuti. Poi, dopo l'elezione del Capo dello Stato, per ragioni che non riguardavano la persona del Presidente Mattarella, Forza Italia ha cominciato a votare contro. Se il centrosinistra avesse sospeso l'esame della riforma a quel punto avrebbe ceduto ad un cambiamento di posizione di un partito (che sino a quel momento aveva votato a favore) per ragioni estranee alla riforma costituzionale. D'altra parte se la Costituzione vigente prevede all'articolo 138 che le riforme costituzionali possano essere approvate anche dalla sola maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, come in questo caso, è segno che non sono obbligatorie grandissime maggioranze. Infine, tutte le grandi scelte dividono le comunità nazionali. Il Paese, al momento del Referendum tra Monarchia e Repubblica, si divise in due metà con conflitti aspri tra i sostenitori dell'una o dell'altra soluzione. La divisione netta avvenne in Francia, quando ci fu il referendum sulla proposta di riforma costituzionale proposta da De Gaulle nel 1969. L'abolizione della schiavitù negli USA, che costituiva una grande questione costituzionale, fu addirittura una delle ragioni della guerra civile americana (1861-1865).
7. O. Renzi ha fatto male a personalizzare il voto quasi si votasse su di lui e non sulla riforma costituzionale.
R. L'obiezione è giusta. Renzi ha fatto male a personalizzare; ma ha riconosciuto pubblicamente l'errore e ha smesso.
8. O. Se prevalesse il No non sarebbe un grande guaio; si potrebbe rifare una riforma costituzionale più gradita alla maggioranza degli italiani.
R.Non sarebbe così semplice. Le forze che sostengono il No sono compatte nell'avversare la riforma, ma sono tra loro incompatibili e divise sul da farsi. In ogni caso dall'ultima bocciatura referendaria avvenuta nel 2006 (riforma del centro destra) sono passati dieci anni e si sono succeduti cinque governi (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi). Possiamo attendere altri dieci anni in una situazione di instabilità governativa, confusione legislativa e mancanza di certezze per il mondo produttivo italiano?
9. O. Era migliore la riforma del centrodestra bocciata dal referendum del 2006.
R. Non è esatto. Quella riforma era davvero una riforma autoritaria. Il Presidente del Consiglio entrava in carica senza un voto di fiducia esplicito della Camera; poteva nominare e revocare direttamente i ministri; poteva sciogliere la Camera a sua discrezione.
10. O. I senatori sono troppo pochi e come potranno svolgere contemporaneamente il doppio lavoro, quello di consiglieri regionali e quello di componenti del Senato?
R. I senatori non sono troppo pochi. In Germania, paese di 80 milioni di abitanti circa, i Senatori sono 69. E il cosiddetto doppio lavoro viene svolto egregiamente tanto dai senatori tedeschi quanto da quelli francesi.
11. O. Perché costringere a dare un solo voto a una riforma che tocca questioni così disparate? Io potrei essere d'accordo con l'abolizione del bicameralismo paritario e non essere d'accordo sul tipo di ripartizione di poteri tra Stato e Regioni; ma sono costretto a dare un solo voto.
R. L'obiezione ha certamente un senso, va rispettata ed è sostenuta da alcuni autorevoli costituzionalisti. Tuttavia l'art. 138 della Costituzione vigente dice "Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare...." (art. 138) e quindi sembra prevedere che il voto riguardi legge costituzionale nella sua interezza, non parti di esse. Questa interpretazione è confermata dal testo dell'art. 16 della legge n. 352 del 1970 che riguarda appunto questo tipo di referendum: " Il quesito da sottoporre a referendum consiste nella formula seguente: «Approvato il testo della legge di revisione dell'articolo... (o degli articoli ...) della Costituzione, concernente ... (o concernenti ...), approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero ... del ... ?»; ovvero: «Approvate il testo della legge costituzionale ... concernente ... approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero ... del ... ?». L'articolo dispone chiaramente che la domanda sia una sola e riguardi la intera legge. Infine, occorre considerare che nelle riforme costituzionali di così vasta portata molte norme sono strettamente connesse le une alle altre; consentire un voto per parti separate potrebbe produrre scompensi gravi nel sistema costituzionale. Io voto nel referendum riguarda quindi l'intera legge ed è frutto di un giudizio sintetico e unitario su tutte le disposizioni della legge.
Appendice
Perché il sistema costituzionale italiano è improntato al principio di non decisione?
Nella nostra Costituzione mancano, per precise ragioni storiche e politiche, norme dirette a garantire la piena capacità di decisione dell'ordinamento. Dopo la Liberazione dal nazifascismo si fronteggiavano due coalizioni, una delle quali, Pci e Psi, faceva espresso riferimento all'Unione Sovietica e l'altra, Dc con i suoi alleati, faceva riferimento agli Stati Uniti. Le prime elezioni politiche dell'Italia repubblicana, che si sarebbero tenute nel 1948, avrebbero deciso anche della nostra collocazione internazionale: se avesse vinto il blocco Pci-Psi saremmo finiti nell'orbita dell'Unione Sovietica; se avesse vinto, come poi vinse, il blocco moderato saremmo stati attratti nell'orbita occidentale. Diritti fondamentali, libertà, rapporti tra pubblico e privato avrebbero avuto assetti completamente diversi se avessero vinto i filosovietici o i filoamericani. Conseguentemente, ciascuno dei due blocchi vedeva come una iattura la vittoria dell'altro, nutrendo sfiducia nella altrui capacità di rispettare le regole della democrazia. Per queste ragioni si evitò di formulare regole costituzionali a garanzia della stabilità e si affidò ai partiti il governo del sistema politico. Giorgio Amendola ne spiegò le ragioni in Assemblea Costituente:
"Si è parlato del tentativo di dare alla nostra democrazia condizioni di stabilità con norme legislative. È evidente che una democrazia deve riuscire ad avere una sua stabilità se vuole governare e realizzare il suo pro- gramma; ma non è possibile ricercare questa stabilità in accorgimenti legislativi...e c'è il fatto nuovo e positivo della formazione dei grandi partiti democratici, che sono condizione di una disciplina democratica...Oggi la disciplina, la stabilità è data dalla coscienza politica, affidata all'azione dei partiti politici".
Il sistema ha funzionato sino a quando i partiti sono stati in grado di adempiere alla funzione indicata da Amendola. Quando sono entrati in crisi il sistema ha cominciato a perdere colpi in misura crescente. D'altra parte i costituenti, al di là della retorica della "costituzione più bella del mondo" erano ben consapevoli dei limiti del sistema che avevano messo in piedi.
Così Giuseppe Dossetti si espresse nel 1951, solo tre anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione.
"Questo sistema [...] è stato strutturalmente predisposto sulla premessa di un contrappeso reciproco di poteri e quindi di un funzionamento complesso, lento e raro, sì come quello di uno stato che non avesse da compiere che pochi e infrequenti atti sia normativi che esecutivi, perché non tenuto ad adempiere un'azione di mediazione delle forze sociali , e tanto meno... un'azione continua di reformatio, di propulsione del corpo sociale [...]".
Questo giudizio critico sulla Seconda Parte della Costituzione fu comune a molti degli stessi costituenti e riflette una diffusa preoccupazione che rimase tale sino a quando i partiti ebbero la forza di costruire e governare i processi politici. Il 4 settembre 1946, ad esempio era stato approvato in seconda sotto- commissione dell'Assemblea costituente l'ordine del gjorno Perassi, che appariva frutto della consapevolezza dei rischi cui andava incontro quello specifico ordinamento della Repubblica:
"La Seconda Sottocommissione, udite le relazioni degli onorevoli Mortati e Conti, ritenuto che né il tipo del governo presidenziale, né quello del governo direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, si pronuncia per l'adozione del sistema parlamentare da disciplinarsi, tuttavia, con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo".
La riforma pertanto tende a rispondere all'allarme di molti costituenti, da Calamandrei a Mortati, portando in Costituzione quelle regole della stabilità e della funzionalità che erano state tenute fuori e affidate ai partiti.

giovedì 25 agosto 2016

Futuro anteriore di un libro - Materiali Resistenti

di Amos Cecchi - pubblicato su Il Manifesto del 24/08/206

MATERIALI RESISTENTI. «Il capitale monopolistico» di Paul Baran e Paul Sweezy è stato uno dei testi simboli del Sessantotto. A cinquanta anni di distanza aiuta ancora a interpretare l’attuale crisi economica. Cinquant’anni fa viene pubblicato, negli Usa, con dedica al Che, Monopoly Capital di Paul Baran e Paul Sweezy (Il capitale monopolistico, Einaudi, 1968). In un rapporto di insoddisfazione e continuazione con le loro opere precedenti, è il risultato di una riflessione/discussione iniziata nel ’56 e interrottasi nel ’64, con l’improvvisa scomparsa di Baran. Insieme a L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse, è il testo eretico di riferimento per il movimento del Sessantotto e per la nuova generazione di sinistra, negli Usa e in Europa.
Fuori dagli schemi del marxismo allora prevalente, contrastato dall’ortodossia politica e intellettuale
di sinistra, Monopoly Capital punta a fare i conti con la società dell’opulenza, a dare spiegazione
dello sviluppo nella nuova fase del capitalismo. Svolgendo una critica profonda dell’irrazionalità del
sistema. Evidenziandone il potenziale di crisi. Dispiegando, in piena golden age, una teoria della
stagnazione come stato normale del capitalismo monopolistico.
Oggi, i principali economisti liberal sono costretti a richiamare la questione della stagnazione
secolare e a discutere del ruolo crescente del monopolio ((si trovano riferimenti anche nel testo a
firma di Pierluigi Ciocca pubblicato su il manifesto il 10 agosto). In Monopoly Capital si evidenziano
punti di spiegazione, rifacentesi in modo innovativo a Marx, importanti anche per la crisi nel
capitalismo monopolistico-finanziario.

Lo spreco necessario

Il monopolio è posto al centro dell’analisi. La concorrenza permane, ma non è più sui prezzi. Modi
nuovi di utilizzazione del prodotto dello sfruttamento, a larga incidenza di spreco – quali la
promozione delle vendite (con pubblicità e induzione dei consumi), la spesa pubblica, in specie
quella militare, e la finanza – diventano determinanti accanto ai classici (profitto, interesse e rendita in cui, sostanzialmente, Karl Marx articola il plusvalore): per evidenziarlo il surplus prende il posto
del plusvalore. La giant corporation assume un ruolo dominante. Con la sua capacità di ridurre i
costi di produzione, la sua politica di prezzi monopolistici (in grado di trattenere gran parte degli
aumenti di produttività), e, quindi, la sua incidenza nella distribuzione del prodotto, con la quota del
profitto che cresce a scapito di quella del lavoro, si dà, qui, la generazione di un surplus crescente,
sia in senso assoluto che relativo: è la legge di sistema del capitalismo monopolistico. La questione
essenziale diventa l’assorbimento del surplus.
Alla base del discorso c’è, in modo dichiarato, l’elaborazione di Michal Kalecki e di Joseph Steindl.
L’oligopolio incrementa il saggio di plusvalore. Per la sua realizzazione, nel mercato, necessita che
una domanda più elevata di investimento e consumo dei capitalisti sostituisca quella calante del
consumo operaio. Mancando ciò – in linea sempre con Marx che ha sottolineato la differenza
sostanziale fra le condizioni della produzione di plusvalore e quelle della sua realizzazione –
l’aumento del saggio di plusvalore a livello della produzione non si traduce in incremento del
plusvalore a livello della realizzazione, ma soltanto in capacità in eccesso e disoccupazione.
Nella nuova dinamica indicata da Baran e Sweezy, il funzionamento del sistema necessita di spreco:
uno dei tre modi in cui, insieme al consumo ed all’investimento dei capitalisti, può esser utilizzato il
surplus crescente. Il surplus (insieme al profitto, scopo capitalistico precipuo) può esprimersi via via
più intensamente nella misura in cui modi nuovi di sua utilizzazione vengano ad alzarne il livello di
assorbimento.
Un’espansione forte dell’economia – è il caso degli anni ’45-70 – può darsi quando intervengano
anche fattori straordinari contrastanti il trend al ristagno: epoch-making innovations (l’auto, e prima
la ferrovia) e guerre/dopoguerra. Il monopolio, strutturalmente, contiene gli sbocchi d’investimento
per l’assorbimento del surplus. La chance dell’export di capitale è più che annullata dall’import di
surplus, drenato dalle multinazionali dalle aree del sottosviluppo. In assenza, quindi, di forti impulsi
esogeni il sistema si espone alla depressione. È costituito, così, un modello teorico che, nel gioco fra dinamica sistemica endogena, tendente alla sovraccumulazione ed al ristagno, e forze che la contrastano, può spiegare sia la stagnazione che la prosperità.

L’esplosione della finanza

La definizione di surplus è parsa fin dall’inizio non chiara. L’ultima corrispondenza fra gli autori, ora
disponibile (Last Letters, Monthly Review, July-August 2012), ci consegna una discussione non
risolta sul suo significato ed uso. L’idea di Sweezy è nota: il surplus è uguale al plusvalore totale
(modi classici sommati ai modi nuovi di utilizzazione). Il surplus cui guarda Baran appare più largo
del plusvalore. Muove da un punto di vista altro (contestativo, comparativo e alternativo) rispetto al
sistema ed al suo funzionamento reale. Guarda allo spreco in forma sia effettiva che potenziale
(anche produzione perduta per disoccupazione, etc.). È evidente che lungo l’opera coesistono, in
modo non esplicitato, più accezioni, con funzioni differenti.
Un importante sviluppo di Monopoly Capital, sta nella riflessione di Sweezy (e Magdoff) riguardante, oltre al grande indebitamento, l’esplosione finanziaria, alla cui base sta una crescente
concentrazione di ricchezza e di reddito, in parallelo alla stagnazione economico-produttiva, e,
quindi, la finanziarizzazione del processo di accumulazione, con il mantenersi del capitale in forma
monetaria e l’agire dei suoi attori in modo speculativo in una sovrastruttura finanziaria grandemente espansa e con una sua vita autonoma; l’accrescersi della criticità sistemica (con un’attenzione, qui, a Hyman Minsky); l’esigenza di una più avanzata teoria che tenga insieme produzione e finanza al suo divenire il centro di gravità del sistema.
Rimane, senza dubbio, un’analisi con grandi punti di attualità. Una riflessione, in tal senso, può essere l’occasione per un aperto confronto tra gli economisti che si rifanno alla teoria marxiana e con quanti si pongano fuori dal pensiero economico mainstream. Senza ricostruzione di teoria e cultura politica, in specie per una forte offensiva contro il neo-liberismo, non può darsi una sinistra strategicamente all’altezza del compito, qui, in Europa, nel mondo.

PERCORSI. Le affinità elettive di due economisti

Paul Alexander Baran (1910-1964) ha scritto «Il surplus economico e la teoria marxista dello
sviluppo» (1957). Paul Marlor Sweezy (1910-2004), fondatore, nel 1949, insieme a Leo Huberman
(1903-1968), della rivista «Monthly Review» e suo condirettore dal 1949 al 2004, è l’autore de «La
teoria dello sviluppo capitalistico» (1942), «Il presente come storia» (1953), «Il capitalismo moderno»
(1972), «Il marxismo e il futuro» (1981). Con Harry Magdoff (1913-2006), autore de «L’età
dell’imperialismo» (1966) e condirettore di «Monthly Review» (1969-2006), ha scritto «La fine della
prosperità in America» (1977), «Deepening Crisis of Us Capitalism» (1979), «Stagnation and
Financial Explosion» (1987), «The Irreversible Crisis» (1988). In «Monopoly Capital», i riferimenti
per Michal Kalecki (1899-1970) sono a «Saggi sulla teoria delle fluttuazioni economiche» (1939),
«Studies in Economic Dynamics» (1943), «Teoria della dinamica economica» (1954) e per Josef
Steindl (1912-1993) a «Maturità e ristagno nel capitalismo americano».

© 2016 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

sabato 16 aprile 2016

I TRASPORTI FERROVIARI A FIRENZE – RETE AV E REGIONALE

di Angelo Pezzati



La Torino Milano Bologna Roma Napoli, insieme alla Milano Venezia,  rappresenta senza dubbio l’asse forte della rete ferroviaria italiana
In meno di 1000 km sui 16.000 della rete FS si muovono quasi il 50 % dei viaggiatori che usano il treno in Italia.
Sulla stessa direttrice esistono anche, come ben sappiamo, le strade e autostrade più trafficate con imponenti movimenti di viaggiatori e merci.
Anche questa è la motivazione che ha determinato la maggiore crescita delle città e delle regioni circostanti.  I traffici sono dovuti alle persone e alle loro attività, i servizi e le infrastrutture determinano la crescita dei centri abitati.
Già negli anni ’80 le allora disastrate ferrovie del Paese iniziarono a parlare di quadruplicare l’asse forte della rete per far fronte alle necessità di trasporto. Il progetto è stato via via affinato partendo dagli standard progettuali adottati sulla DD Roma Firenze, studiata per una velocità di esercizio di 250  km/h, anche se fino a quel momento non era disponibile una flotta di treni  che potessero viaggiare a quella velocità. Vorrei ricordare a noi italiani, sempre pronti a criticarci, che delegazioni di tecnici di altre Nazioni d’Europa e del Mondo venivano negli anni  ’80 a visitare quella opera ferroviaria per le sue caratteristiche di modernità.
Il progetto dell’Alta Velocità in Italia è stato poi perfezionato e realizzato aggiungendo al concetto di Alta Velocità quello di Alta Capacità. 
Superando una erronea opinione che l’alta velocità fosse un sistema di trasporto di elite, per pochi ricchi, si puntò su un progetto che prevedesse da un lato modernissime linee con i più elevati standard prestazionali, dall’altro un frequente livello di servizio, una connessione con le reti regionali afferenti alle stazioni AV che avrebbero dovuto avere anche loro un sostanziale miglioramento onde rendere possibile sia un servizio regionale moderno ma anche la utilizzazione dell’AV anche da parte dei cittadini posti nelle provincie più lontane dal capoluogo di Regione servito dall’AV. Inoltre i Politici di allora ( fine anni 90 e inizio 2000) volevano che le nuove linee AV e la rete esistente consentissero un maggior traffico merci su rotaia!!
E, considerato che ora non si sentono affermare più queste idee e obiettivi, aggiungo che occorre andare sulla A1, in particolare nelle ore notturne, per capire che ci sarebbe tantissimo bisogno di trasporto merci su rotaia, naturalmente avendo le infrastrutture disponibili!!
Con queste linee programmatiche e progettuali  le FS , insieme alle Imprese, hanno realizzato la nuova linea AV/AC TO-MI-NA , attivando le varie tratte , salvo alcuni elementi puntuali, negli anni 2008/2010.
A fine 2010 rimanevano alcune opere da realizzare ad esempio la stazione di BO e quella di Firenze, che avevano, sia  dal lato progettuale BO come Firenze  , un posizionamento a oltre 20 m sotto il piano di campagna e al centro di una tratta in sotterranea sotto la città.
Bologna è stata aperta all’esercizio commerciale, ovvero al servizio viaggiatori, il 09/06/2013.
 Per Bologna preme mettere in evidenza che le Ferrovie, insieme al Comune e Provincia di Bologna e la Regione Emilia Romagna hanno per anni lavorato per facilitare la realizzazione dell’opera, per spostare in aree limitrofe alla stazione funzioni pubbliche e private di forte concentrazione di persone, per “cucire” un servizio di trasporto regionale e metropolitano aventi la stazione FS come fulcro.
E’ulteriore  testimonianza di ciò lo studio effettuato dalla Regione Emilia Romagna per  un ulteriore potenziamento dei servizi su ferro avente fulcro in Bologna Centrale, sviluppato a partire dal 2014..
Amministrazioni attente e impegnate a costruire che, insieme ad adeguare la rete viaria trafficatissima, vedono  il servizio ferroviario come sistema di risoluzione della mobilità.
La stazione, semplice ma funzionale, sta assolvendo magnificamente alle sue funzioni e ha consentito una ricucitura della città.
Non è stato tutto oro quello che è avvenuto ma sempre c’è stata la convinzione dell’opera da realizzare anche se le Amministrazioni hanno cercato di migliorare il progetto e ottenere vantaggi per la città.
Tutti oggi possono vedere l’opera d’Arte, ma soprattutto possono usufruire di una moderna stazione che consente di collegare oggi Firenze SMN in 35 minuti ( meno del tempo necessario, con un bus,  per collegare Firenze SMN con i quartieri  fuori le mura della città!!), Milano in 1ora!!
Una piccola considerazione : quanto poco i “media” mettono in risalto le opere positive per la crescita , mentre tanto le disgrazie e le miserie di ogni giorno!!.
Il passante di Bologna è stato avviato insieme a quello di Firenze, anche Bologna ha avuto ritardi, non per il passante vero e proprio completato e attivato alla circolazione un anno prima della stazione, ma per la stazione AV che ha incontrato alcune problematiche che ne hanno allungato i tempi.
Occorre sottolineare l’importanza dell’opera da un punto di vista: urbanistico, ferroviario trasporti stico, ingegneristico, architettonico!!!!!!!!!!!!
Pur nella sua linearità essenziale la stazione rappresenta una di quelle opere ingegneristiche che sono pietre miliari nello sviluppo delle ferrovie e riferimento della città.
Spesso i comitati No TAV parlano di tanti danni ai fabbricati provocati dall’AV: Niente di più falso! Nessun fabbricato lungo il percorso degli 8 km dei 2 tunnel interrati paralleli ha subito danni!!
Ci sono state alcune lesioni a fabbricati limitrofi al cassone della stazione , molto più grande e profonda di quella di Firenze, a causa dei tiranti di ancoraggio dei diaframmi che sono stati spinti fin sotto alcune case limitrofe. Le lesioni sono state riparate senza provocare nessun danno a persone e i danni sono stati  rifusi con soddisfazione degli interessati. Tutti i Bolognesi, anzi tutti gli abitanti dell’Emilia Romagna, sono molto contenti della nuova linea AV.
Ma è soprattutto il miglioramento nei collegamenti nazionali, regionali e cittadini da mettere in evidenza con conseguente ricaduta positiva sull’economia.
La Regione Emilia Romagna anche in questo caso si dimostra positiva e pronta a sfruttare opportunità di sviluppo che si riflettono poi molto positivamente sui livelli di ricchezza e occupazionali.

… e FIRENZE?

Il progetto del passante AV è stato rallentato da molti soggetti : - alcuni settori delle Ferrovie,  dalla Regione Toscana, con ritardi autorizzativi ambientali e di gestione delle terre che non sono ancora superati, dal Comune di Firenze che ha chiesto modifiche al progetto , dall’Arpat, dall’Asl , e dalla Magistratura che poteva contestare persone  che venivano indagate per  aver commesso ( ciò è in corso di accertamento)  infrazioni alle leggi ma ha anche  ritenuto di sequestrare cantieri, determinando la interruzione dei lavori. La fermata dei lavori costa  molte decine di milioni e nessuno paga per questi errori.
E’ stata inoltre presa la decisione incomprensibile di non realizzare la fermata di Circondaria, posizionata sopra la stazione Belfiore , prevista per l’interscambio con i treni regionali provenienti o diretti verso Arezzo, Pistoia, Pisa e Siena oltre Firenze SMN.
Il blocco dei cantieri ha determinato la messa in cassa integrazione di varie centinaia di lavoratori,  fallimenti e ristrutturazioni societarie e naturalmente ritardi nell’esecuzione delle opere.

Fino ad oggi FS ha speso alcune centinaia di milioni di Euro per opere cosiddette compensative per la città, ed inoltre sono state spese  altre centinaia di milioni per progetti, per espropri, per avvio dei lavori e, con il blocco dei cantieri, si sono determinate le condizioni per dover riconoscere molte decine di milioni Euro per i danni conseguenti alla forzata sospensione dei lavori, alla sostituzione della fresa, ecc, ecc.

L’attivazione della stazione AV di Bologna nel 2013 è già lontana, ma ancora più lontana è la data della possibile attivazione della linea e stazione AV a Firenze.
FS insieme a Regione Toscana e Amministrazioni locali hanno a suo tempo deciso che il progetto AV fosse accompagnato da un  potenziamento delle linee regionali allo scopo di rendere la stazione AV strettamente interconnessa  con tutte le città della Toscana;  così la linea Firenze Prato, la Firenze Empoli, la Empoli Siena Chiusi, il nodo di PI e Livorno, la riattivazione della Faentina ecc, sono state profondamente potenziate e  ammodernate con investimenti realizzati dal 3/3/1999 ( data della Conferenza dei Servizi nella quale è stata deciso l’attraversamento AV e la nuova stazione AV di Firenze) per oltre 2 miliardi di Euro!, ovvero oltre il doppio del costo del sottoattraversamento AV di Firenze.
Questi investimenti hanno consentito di aumentare in maniera significativa il numero dei treni  ed aumentare i viaggiatori regionali da 130.000/giorno a quasi 300.000/giorno.

Oggi ci si chiede se sia ancora attuale questo progetto o si possa risparmiare i 900/1000 milioni oggi necessari considerati gli extracosti dovuti alla sosta dei cantieri.
Intanto preme far presente che tale somma è messa a disposizione dalle FS ( ovvero a carico del suo bilancio) e non dal Governo. Pertanto il risparmio se si facesse gioverebbe alle casse di .FS e non a quelle dello Stato!

Facciamo alcune considerazioni sui vantaggi e svantaggi di un cambiamento di decisione ( assunta da tutte le Amministrazioni  Regione, Provincia, Comune di Firenze, oltre altre Provincie e Comuni) rispetto a quella assunta nel  ’99 e faticosamente portata avanti.

Per prima cosa ovviamente le opere ferroviarie si fanno o si dovrebbero fare per soddisfare esigenze di trasporto.


Il sottoattraversamento AV/AC di Firenze  è ancora ad oggi attuale e necessario se si vogliono perseguire i seguenti obiettivi:

-         Sviluppare il traffico ferroviario regionale, ( Prato, Pistoia, Empoli, Siena, Firenze chiedono una intensificazione dei collegamenti con Firenze riducendo gli intervalli fra un treno e l’altro a 10’, ovvero inferiori a quelli di varie linee di bus cittadini),
-         Sviluppare il traffico merci sulla rete ferroviaria italiana e quindi  consentire a 80 treni merci al giorno di correre sulla Bologna Roma , consentendo la eliminazione  di 1500 autotreni  / giorno che percorrono la A1 ( una piccola percentuale degli autotreni che percorrono giornalmente la A1,
-         Non aumentare il trasporto pubblico e privato su gomma di lavoratori che provengono dalle aree  limitrofe verso Firenze,
-         Migliorare il collegamento ferroviario fra i due aeroporti di Firenze e Pisa, che molto opportunamente si è previsto di integrare fra loro per offrire agli utenti un miglior servizio,
-         Rendere possibile un servizio metropolitano nel territorio fiorentino integrando il previsto sistema delle tranvie ( che al momento è limitato alla Linea 1 attivata oltre 7 anni fa ),
-         Diminuire l’inquinamento atmosferico che provoca danni alla nostra salute aumentando le morti per cause respiratorie dovute al frequente superamento dei limiti delle polveri sottili.

Il sottoattraversamento AV della città di Firenze risulta necessario se si vuole aumentare il numero dei treni nord sud e est ovest.   Nel 1999 all’approvazione del progetto i treni che attraversavano il territorio fiorentino erano 280 verso sud, 250 verso nord e 128 verso Pisa  e Siena. Tali treni  si prevede vengano incrementati fino a 440 verso sud, 430 verso nord, 180 verso Pisa e Siena!! Quasi il raddoppio dei convogli ( e  non solo treni AV/AC ma anche treni regionali e metropolitani).
Alcuni sostengono che si possa raddoppiare il tratto di linea di cintura fra Firenze Campo Marte e Firenze Rifredi.
Qualsiasi esperto di trasporti ferroviari può dimostrare che non è possibile ottenere lo stesso incremento di numero di treni teorici con 2 nuovi binari di superficie CM – Rifredi rispetto a quello ottenibile con il sottoattraversamento AV che consente ai 2 nuovi binari di correre senza interferenze con quelli esistenti.
Comunque un cambiamento di scelte progettuali determinerebbe la  necessità di iniziare tutto nuovamente da capo : progetto, iter approvativo, ecc ecc. Passerebbero anni : storie che probabilmente si ripeterebbero, contrasti, difficoltà!,  Firenze è la città dei progetti , ma non quella delle realizzazioni !  Dal ’96 anno in cui si è avviato questo progetto all’appalto sono passati oltre 11 anni! Qualcuno è convinto che un nuovo progetto richiederebbe minor tempo? Pensiamo forse che demolire decine di fabbricati fra CM e Rifredi e sbancare una collina in corrispondenza dell’attuale galleria del Pellegrino sarebbe accettato senza la nascita di un altro comitato, di problemi di carattere ambientale, ecc ecc?
Perché il progetto avviato non sta andando velocemente avanti come avvenuto a Bologna o in altre parti del Paese e all’estero?
Possibile non si riesca a realizzare una galleria? Due gallerie affiancate a semplice binario realizzate con lo scudo di macchinari collaudati in tutto il Mondo, realizzate sotto i viali, salvo un piccolissimo tratto, non determinano rilascio dei terreni e cedimenti dei fabbricati circostanti. Le esperienze dimostrano che si possa essere tranquilli. Certamente determinano minor impatto della ipotizzata galleria tranviaria a 2 binari sotto il centro storico.

Considerato che la nuova ditta, subentrata a quelle fallite, ha istallato una nuova fresa nuova, onde evitare le problematiche fatte presente dai PM su quella istallata da SELI, possibile non si riesca a risolvere il problema delle terre da scavo che non sono certamente inquinate, prima di essere oggetto di lavorazione?  Le analoghe terre di scavo sotto Bologna non erano inquinate e il loro trasporto in una località di deposito e il loro  riutilizzo è stato autorizzato senza problemi dalla Regione Emilia Romagna! Comunque allo scopo di fare la campionatura si sono realizzate enormi aree coperte a Santa Barbara( con costi di vari milioni!!), quindi si potrà fare una verifica puntuale in corso d’opera, mettendo insieme controllori seri e obiettivi.
Le accuse di non idoneità dei rivestimenti delle gallerie o della fresa non sono stati in  oltre 3 anni dimostrati anzi le indiscrezioni trapelate fanno prevedere il contrario!
Allora tutti i motivi di fermo cantiere sembrano infondati o superati o dettati dalla volontà di tanti soggetti di rallentare questo progetto  finanziato con i denari di FS e approvato da TUTTI gli Enti Territoriali dopo un lungo e democratico percorso autorizzativo.

Concludendo:

-         L’incremento di traffico ferroviario a livello metropolitano, regionale, nazionale richiede la realizzazione della nuova linea AV di collegamento fra la Firenze Bologna e Firenze Roma;
-         Occorre realizzare il tunnel, la stazione Foster e la stazione Circondaria, posta sopra alla Foster per consentire l’interscambio con i treni regionali,
-         Occorre definire le problematiche ancora sul tappeto, risolverle velocemente, ritenendo inammissibile che a Firenze non si riesca a realizzare una galleria come in tutte le altre città del Mondo compreso la vicina Bologna,
-         Occorre che i Politici a partire dal Presidente del Consiglio, che come Presidente della Provincia approvò il progetto, i responsabili di tutte le Amministrazioni Regionali interessate e le Ferrovie definiscano le questioni operative da risolvere , mettendo intelligenza e disponibilità,  e si impegnino a farlo, ( suggerirei un metodo di lavoro insegnatomi e fatto proprio nella mia vita professione: non andare a dormire fintantoché non si è completato il lavoro assegnato),
-         Gli Amministratori vigilino con propri qualificati rappresentanti l’esecuzione corretta delle opere,
-         Si impegnino insieme a portare a termine una delle più importanti opere oggi sul tappeto a livello Nazionale.
Si ritiene, infine , che solo con la volontà decisa dei vari soggetti responsabili si possa realizzare il progetto, consapevoli che tutti sono capaci a trovare ostacoli e far prosperare la Burocrazia e le false spese  procurando  l’ aumento dei costi e dei tempi dei lavori.