A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

lunedì 22 maggio 2017

“UOMINI LIBERI O SCHIAVI” - uso e abuso del web, di Ferruccio Quaroni

All’inizio dello scorso dicembre Tullio De Mauro scriveva “ …è difficile liberare gli schiavi che si credono liberi.”. Lo diceva a conclusione di un ragionamento sull’istruzione pubblica nel quale ricordava anche la celebre affermazione dell’enciclopedista Condorcet secondo cui senza di essa (l’istruzione pubblica generalizzata) persisterà sempre la distinzione in due classi: quella di chi ragiona e quella di chi crede nelle opinioni altrui. Questo “quasi testamento” del grande intellettuale scomparso da poco riprende d’altra parte riflessioni che risalgono ad almeno due decenni fa. Alberto Burgio ed altri studiosi scrivendo nel 1994 delle “Nuove Servitù” che si venivano affermando nel mondo produttivo, evidenziavano come quegli inediti “servi” più si sentivano padroni, più affermavano in realtà la loro condizione servile.
Se ci fate caso il web è pieno di articoli e prese di posizione che segnalano il pericolo della dittatura del mondo della virtualità e dei social che sembrano allargare gli spazi di libertà e comunicazione ma che in realtà li limitano e recludono le persone in una vastissima riserva indiana che, anche se ampia, resta pur sempre tale…
Annamaria Testa, nota esperta di comunicazione, dice giustamente che i social sono diventati il mondo in cui viviamo e che la “manutenzione del sé virtuale” si avvia a diventare un impegno a tempo pieno. Ed aggiunge anche, in un altro lucido intervento, che siamo ormai collocati in una specie di tempo della “post verità” e che, per salvarsi, occorre uscire da questa bolla di virtualità ritornando nella complessità del reale; cosa che significa anche assumersi responsabilità e “riconnettersi” con il “vero”.
Ciò che è sconsolante è che ormai gli appelli sono diventati quasi una parte stessa della rappresentazione che è in scena da un decennio almeno: viene quasi da dire che, in un certo senso, fanno comodo. Si sa che alle dittature che tali sono ma che non vogliono apparire, piace avere opposizioni tutto sommato inoffensive. È un po’ come dire “lasciamoli abbaiare alla luna, visto che il potere è saldamente in mano nostra…”
D’altra parte cosa possiamo mai dire oggi se Feuerbach nel 1841 scriveva che “… il nostro tempo…preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere…”.
Potremmo forse smetterla di credere alla falsa democrazia del web. Non si arrabbino gli amici pentastellati, ma è proprio avvilente pensare di cambiare le cose con un “clic” sui bugiardini stilati dal Grande Capo…..Si potrebbe poi smetterla di passare il proprio tempo con gli occhi chini su uno smartphone (con gli annessi rischi per la propria ed altrui incolumità) alla ricerca di “like” e “amicizie” evanescenti per fare cose più utili e concrete; in famiglia si potrebbe magari parlare, leggere ed ascoltare musica, spegnendo TV e telefonini; si potrebbe poi battagliare all’interno delle proprie organizzazioni, dei propri luoghi di lavoro e di studio, delle associazioni in cui si milita ecc.. per ritornare a parlare e confrontarsi, per ripristinare meccanismi di decisione democratica; si potrebbero anche boicottare tutte quelle orribili emanazioni commerciali, economiche, pseudo-culturali e di intrattenimento che fanno sì, come diceva Guy Debord, che la merce diventi mondo ed il mondo merce…
Insomma: meno proclami, più esempi concreti e coerenza personale, meno bamboleggiamento…
Lo dobbiamo anche a chi ha combattuto per un’Italia ed un mondo diversi. Non ci saranno riusciti fino in fondo ma sicuramente non volevano un pianeta con sempre più finti uomini liberi e pochi veri padroni.


Per approfondire: Internazionale del 21 dicembre 2016, articolo di Annamaria Testa, esperta di comunicazione, I social network sono diventati “il modo in cui esistiamo”?
http://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2016/12/21/social-network

lunedì 27 marzo 2017

Alta Velocità a Firenze - un articolo da "Il Manifesto" di Alberto Ziparo e una riflessione di Angelo Pezzati

Pubblichiamo - sul tema della passaggio del TAV a Firenze - un articolo uscito sul quotidiano "Il Manifesto" del 10 marzo u.s. a firma di Alberto Ziparo, docente di Tecnica e Pianificazione Urbanistica all'Università di Firenze, e alcune considerazioni di Angelo Pezzati, già direttore di R.F.I.  a Firenze

10 marzo 2017 Il Manifesto

Il paradosso della TAV a Firenze: in superficie con il megatunel

ALBERTO ZIPARO

La vicenda Tav a Firenze assume aspetti grotteschi e paradossali: la Tav passerà in superficie, ma senza rinunciare al megatunnel. La stazione sotterranea diventa superflua, non si sa che farne: allora inventiamoci un terminal bus (in un'area già inquinata e congestionata del Centro storico).

Un assurdo spiegabile forse solo con gli «accordi diabolici», come la magistratura ha battezzato le scelte avulse da qualsivoglia razionalità tecnica, economica o ambientale, ma condizionati da interessi illegittimi, se non corruttivi o criminali, che spesso contraddistinguono il comparto Grandi Opere.

Va ricordato che il progetto del sottoattraversamento pure fermo da tempo nella maggior parte proprio per le inchieste della magistratura - è sopravvissuto fino ad oggi, nonostante le critiche di gran parte del mondo scientifico e dell'università, oltre che di ambientalisti e NoTav, grazie alle forzature, fino a veri e propri brogli ed illegittimità (perfettamente colte anche da Raffaele Cantone nei mesi scorsi) che ne hanno caratterizzato fin qui le procedure. Innanzitutto ignorando gli enormi problemi ambientali, con ingenti escavazioni che investirebbero il delicatissimo core del bacino idrogeologico dell'Arno; da tutelare invece e mettere in sicurezza. Ancora gli impatti sul sottosuolo su cui insiste il patrimonio artistico «dell'umanità» ed un densissimo tessuto abitativo (anch'esso in parte vincolato). Il tutto «arricchito» dal «più grande scavo della storia ingegneristica di Firenze». Per evitare di incastrarsi negli enormi impatti del progetto, che ne avrebbero decretato già da tempo la fine certa, essi si sono semplicemente occultati; procedendo al tempo senza alcuna Valutazione ambientale per la megastazione e con uno studio embrionale, giustificativo e obsoleto per le gallerie: «Se si fa la Via non si fa più il sottoattraversamento!», sancì nel 2003 l'allora ministro dell'ambiente Matteoli, con una posizione che apriva evidentemente all'illegalità, ma che fu salutata e sorretta nel tempo da unanime entusiasmo del quadro politico-istituzionale. Laddove l'Università - sollecitata da NoTav ed ambientalisti - si incaricava di effettuare gli studi mancanti e rappresentare i disastrosi impatti del progetto. Le stesse Ferrovie dello Stato, almeno fino a qualche settimana fa, sembravano finalmente concordare sull'opportunità di realizzare il Passante in superficie, con l'eventuale agevole realizzazione dei pezzi di binari necessari. Di più, Ferrovie, d'accordo con governo e sindaco della città, sottolineava che, date le tecnologie odierne di controllo e regolazione, il passaggio in superficie era «semplice e poco costoso», oltre che non impattante. Infatti significherebbe un forte risparmio, oltre che di ambiente, di risorse economiche, da reinvestire così nel completamento del «sistema del ferro metropolitano». Anche i tempi di realizzazione sarebbero notevolmente più brevi: al massimo quattro anni e mezzo per completare il passaggio di superficie contro gli almeno dodici del sottoattraversamento. Le posizioni di Ferrovie ed Università concordavano anche sulla «centralità» dell'attuale stazione di Santa Maria Novella, finora mai realmente perseguita, che nel progetto di Università e Comitato No Tunnel Tav, si otterrebbe con un disegno che «inserisce» la nuova stazione AV nel tessuto urbanistico della città storica.

Si va dunque finalmente verso la soluzione di superficie, che oggi appare inevitabile? Si, ma senza rinunciare al tunnel, pure chiaramente inutile, oltre che fortemente dannoso. Una parte della governance toscana e fiorentina infatti «vuole che si scavi», «come e dove volete, purché si scavi!». E così siamo in un passaggio incomprensibile al buon senso, con la sostanziale conferma della riduzione della stazione sotterranea - trasformata in un «impossibile» terminal bus - ed il rinvio ad un nuovo progetto di superficie, ma in cui non si esclude la presenza del clamorosamente inutile sottoattraversamento.

Sembrano aver avuto successo le pressioni su Ferrovie perché si scarti la soluzione di passare solo in superficie, di gran lunga più vantaggiosa. Da qui l'assurdo che si profila. E il rischio di andar avanti in realtà senza un vero progetto approvato. Ma perché si deve scavare a tutti i costi? Lo studio dell'Università dimostra che «la separazione tra il traffico veloce e locale si può perseguire meglio passando in superficie». Tuttavia... «per favore, lasciateci scavare!» Perché? Probabilmente per spendere molto di più - anche a costo di sfasciare il centro urbano - e favorire le clientele e le lobby di escavatori e movimentatori di terre, e dell'imprenditoria di qualsiasi tipo che vi nuota attorno, ovviamente interessata solo al tunnel. Accordi diabolici? Appunto.

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ATTRAVERSAMENTO AV DI FIRENZE

Dott. Ing. ANGELO PEZZATI                                               marzo ‘17

L’Attraversamento AV di Firenze è un progetto vivo, da sostenere: occorre essere stimolo per chi lavora, magari non sufficientemente sostenuto da chi è vicino, ed inoltre confutare, per quanto è tecnicamente possibile, affermazioni fatte da persone anche qualificate ma non esperti della materia ferroviaria, come emerge da recenti articoli.
Una naturale premessa:
  •          Le Opere Pubbliche in Toscana, e a Firenze in particolare, inanellano sempre ritardi e contrasti,
  •     Come la tela di Penelope qualcuno di giorno lavora e, altri, di notte disfano il lavoro fatto,
  •         Si realizzano progetti ma spesso rimangono nel cassetto ovvero quando si vanno a realizzare si ritengono vecchi e necessitano di aggiornamenti,
  •          La stazione di Firenze SMN, oggi da tutti esaltata a ragione, realizzata fra il 1933  e ’35, subì contrasti di ogni tipo ( per la sua modernità, per le forme, per il difficile inserimento con le linee  della vicina Basilica di Santa Maria Novella, ecc) e ci volle Mussolini perché l’opera fosse realizzata.

In questo quadro non c’è da meravigliarsi se anche l’Attraversamento AV abbia ritardi di ogni tipo che qui non voglio citare.

Dopo il manifestarsi di differenti idee nel 2016 da parte di FS e del Comune di Firenze, contrastate dalla presa di posizione della Regione Toscana, di Politici e Tecnici, i lavori, che almeno nella stazione Belfiore non si sono mai fermati, stanno andando avanti anche se piano. A fine 2016 da parte di FS, Regione Toscana e Comuni Fiorentini è stato concordato che il tunnel fra Castello e Firenze Campo Marte  veniva confermato e anche la Stazione Belfiore sarebbe stata realizzata anche se rivedendone spazi e funzioni.  Cioè tutti hanno condiviso, dopo alcune incertezze, che, anche con l’applicazione di moderne tecnologie, si rendeva necessaria la realizzazione di 2 nuovi binari passanti, indipendenti da quelli esistenti, dove far transitare i nuovi volumi di traffico.

Infatti già da anni, anche con i tanti lavori fatti per potenziare il Nodo ferroviario di Firenze, le linee del Nodo e le stazioni sono sature e non si possono fare ulteriori incrementi di treni regionali e metropolitani.
Sul posizionamento dei due nuovi binari esistono anche oggi persone, anche qualificate, che, senza mostrare un progetto seppur preliminare, nonostante che l’ idea venga sostenuta da molti anni, propongono di posizionare 2 nuovi binari in superficie fra Rifredi e Campo Marte.
Tale idea è stata bocciata da tutti i possibili interlocutori e vediamone i motivi:
  •          I lavori interesserebbero la città di Firenze per tutta l’estensione del tracciato fra Firenze Rifredi e C.M. (alcuni km), con occupazione di aree private e demolizione di numerosi fabbricati,
  •          In corrispondenza delle 2 gallerie del “Pellegrino” necessiterebbe demolire e ricostruire  le stesse con sezione a 3 o 4 binari, prevedendo almeno di liberare durante i lavori tutti gli immobili posti sulla verticale di tali gallerie per gli scarsi ricoprimenti,
  •          Tutti i materiali ( terre di scavo, materiali di risulta, materiali da costruzione, ecc) dovrebbero essere movimentati su gomma interessando la viabilità cittadina, al contrario dei materiali sia di scavo che di costruzione del tunnel AV previsti su carro ferroviario,
  •         Necessariamente per lunghi periodi (di alcuni anni), quanto la durata dei lavori, si avrebbe una interruzione totale o parziale di un tratto della Rifredi- Campo Marte o Statuto-CM; questo determinerebbe una notevole diminuzione del numero dei treni circolanti sia in “cintura” sia sulla FI SMN-Arezzo,
  •          La  diminuzione di traffico interesserebbe prevalentemente il servizio regionale ed allungamenti dei tempi di percorrenza interesserebbero il traffico  nazionale, il traffico merci dovrebbe essere dirottato tutto sulla linea tirrenica, l’impatto acustico e ambientale risulterebbe inaccettabile anche per la presenza di binari ad Alta Velocità a pochi metri dalle finestre del secondo piano dei palazzi nella zona Romito- Statuto,
  •         Non sarebbe possibile avere una totale separazione dei traffici AV con quelli regionali, con conseguente diminuzione di potenzialità,
  •          Sarebbe assai difficile ottenere una Valutazione di Impatto Ambientale positiva!

A tutto ciò si dovrebbero aggiungere  ovviamente i tempi per:
  •          Un nuovo progetto da eseguire, approvare e appaltare,
  •          Annullare il contratto in essere con le penali da pagare.

Chi sostiene che si potrebbe concordare con l’Appaltatore attuale di annullare il contratto in essere e far  eseguire il nuovo progetto non ha certamente conoscenza delle normative sugli Appalti Pubblici. Solo a parlarne si rischierebbe la “ galera”!
Tutto quanto sinteticamente riportato ha spinto ogni interlocutore che ha esaminata questa idea (perché ripeto di idea si tratta) ad abbandonarla.
L’idea è stata scartata negli anni ’90  prima di scegliere, fra le possibili soluzioni prospettate, quella approvata nel ’99 e poi appaltata.
Allora esistevano altri criteri, assai più semplici e meno cautelativi, per costruire e il traffico ferroviario era molto più ridotto di oggi.
Oggi la idea appare, per motivi tecnici ferroviari e politici, inattuabile!
Esiste ancora oggi, rispetto a un anno fa, il problema della stazione AV da definire.  Comunque il volume ( cassone) della stazione è in corso di realizzazione e quindi la stazione sarà realizzata; deve essere definito quanti spazi lasciare ai servizi di stazione e quanti , non più ritenuti utili, lasciarli per altri scopi fra i quali il terminal bus.
Un terminal bus potrà, se ben concepito, migliorare l’interscambio di trasporto pubblico treno-bus.
Occorre comunque perfezionare l’interscambio treno-treno con la fermata di Circondaria  in corrispondenza della nuova stazione AV ed il collegamento Belfiore – SMN.
Ci sono ancora questioni da approfondire comunque occorre aver presente i concetti di:
  •         Incremento previsto del servizio ferroviario AV Nazionale,
  •         Incremento notevole( raddoppio) del numero dei treni destinati al trasporto regionale,
  •          Sviluppo del trasporto metropolitano legato anche alle nuove linee tranviarie e al trasporto pubblico su gomma.


In questo quadro di necessità di sviluppo del trasporto su ferro occorre, a mio avviso, velocizzare i lavori e non ridiscutere i progetti con idee fantasiose.

venerdì 10 febbraio 2017

“Come si diventa nazisti”, libro di William Sheridan Allen - recensione di Ferruccio Quaroni

 “Come si diventa nazisti”, dello storico americano William Sheridan Allen, è un libro del 1965 ripubblicato da Einaudi nel 1994 con una bella prefazione di Luciano Gallino. A mio avviso, andrebbe fatto leggere nelle scuole superiori, non solo agli studenti ma anche agli insegnanti come utile supporto per spiegare il nazismo e, più in generale, il meccanismo di creazione del consenso ai regimi dittatoriali.
Il racconto si sviluppa tra il 1928 ed il 1933 in una cittadina dell’Hannover, nella Germania profonda: si tratta di una piccola comunità di 10.000 abitanti (oggi ne ha 30.000), piuttosto conservatrice ma anche con una forte presenza della socialdemocrazia, del sindacato e degli stessi comunisti.
Il libro è composto da tante storie quotidiane che ricordano un po’ le nostre, quelle di una comunità che si sta disgregando e che non se ne accorge. Il messaggio non è però quello della ineluttabilità che le vicende storiche si ripetano tali e quali.
Come sottolinea Gallino è perfino più inquietante in quanto trasmette la convinzione che la distruzione di una comunità politica e la fine della democrazia sono sempre possibili e che non ci si può illudere che ad impedirlo siano le condizioni storiche diverse, il livello di sviluppo economico, le istituzioni nate in Europa dopo la guerra a difesa della democrazia o una ipotetica maggiore maturità democratica dei cittadini.
Come sostiene giustamente la prefazione, oggi come allora gli avversari della democrazia circolano numerosi tra noi e stanno anche dentro di noi, nell’eterno conflitto tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà.
Ecco allora che appare ancora oggi molto significativo il racconto corale articolato in storie diverse che confluiscono però verso l’ineluttabilità della dittatura come risposta al malessere sociale, alla disoccupazione crescente, al senso di insicurezza, al malcontento per uno stato che funziona male, al rancore verso le minoranze etniche che “rubano lavoro, soldi e potere” ai cittadini “ariani”.
Solo alla fine del libro ci si accorge come tanti fatterelli quotidiani, anche insignificanti, erano però confluiti nella composizione del destino e della scelta autoritaria di una comunità locale e di un’intera nazione.
A concorrere al disastro finale fu anche, ed il testo lo illustra egregiamente, l’incapacità del Partito Socialdemocratico di stringere alleanze, sia alla propria sinistra che verso il centro, mentre i nazisti, con spregiudicatezza, imbarcavano di volta in volta alleati occasionali e parlavano linguaggi capaci di suscitare interesse e motivare ceti e settori sociali molto distanti dalla loro ideologia di base.
Emerge con evidenza il progressivo allontanarsi del popolo dallo Stato e dalla politica, percepiti come nemici corrotti incapaci di garantire un sistema di solidarietà sociale, di sicurezza e di benessere: mentre la violenza nazista cresce e si estende dagli avversari tradizionali alle persone e alle organizzazioni agnostiche e neutrali, la sinistra affonda fra divisioni, sospetti ed incapacità di fare fronte comune. Alla fine del 1935 la comunità di Thalburg (in realtà il nome vero è Nordheim), come entità civile, culturale e morale, cessa di esistere. 
Avevo appena finito di rileggere “Come si diventa nazisti” quando ho appreso la notizia del Comandante della Polizia Locale di Biassono che, su facebook, ha pubblicato una sua foto in divisa da SS con un eloquente commento “Basterebbe una compagnia di questi per sistemare alcune cose.”
Tralascio di commentare le farneticanti frasi di quello che dovrebbe essere un “servitore dello Stato” ma suggerisco a tutti di riflettere sul fatto che affermazioni e comportamenti di questo tipo si sentono e si osservano purtroppo sempre più spesso: il nazi-fascismo per qualcuno è una “innocua” moda; i mercatini sono zeppi di busti del duce e di paccottiglia del ventennio; generalizzazioni e orride banalità sulla dittatura si ascoltano con grande frequenza… Allora vale la pena di non abbassare la guardia e, soprattutto per chi svolge un ruolo educativo, pubblico e civico, di dare risposte forti e continue per ristabilire le verità, contrastare il senso diffuso di anti-Stato che si diffonde, ricordare la barbarie ed il Male rappresentato da nazismo e fascismo e proporre i contenuti di una società aperta, democratica ed inclusiva.



domenica 29 gennaio 2017

"Una volta nella vita" film Francia 2014. Presentazione di Ferruccio Quaroni

Gli eredi della memoria nella scuola del saper imparare

presentazione di Ferruccio Quaroni



Tutti, credo, conoscete il significato della parola Olocausto e sapete cosa avvenne nei territori dominati dai nazisti fra il 1940 ed il 1945. Sei milioni di persone vennero sterminate in modo sistematico, preordinato, come in una catena di montaggio nella quale anziché creare qualcosa si sopprimevano vite umane. Uomini, donne, anziani, bambini e non solo ebrei ma appartenenti a tutte le categorie che la ideologia nazista considerava inutili o dannose per la così detta pura razza ariana.

Nel libro “Un tedesco contro Hitler” di Sebastian Haffner l’autore, sopravvissuto al nazismo in quanto “ariano”, cosa che non successe purtroppo alla sua fidanzata che era ebrea, descrive così la mentalità dei tedeschi di allora: “Ci sono dei compiti ed il primo imperativo per un tedesco è eseguirli bene. Nello svolgere bene la cosa che stiamo facendo – non importa quale, un lavoro dignitoso, un’avventura o un crimine – proviamo uno stordimento depravato ma esaltante che ci esenta da qualsiasi riflessione sul senso e sul significato di ciò che stiamo facendo”. Notate in che modo, quello che era allora un giovane tedesco addestrato al nazismo, descrive come si giunse alla pianificazione dello sterminio ed al perfetto, quasi scientifico, funzionamento delle camere a gas.

Ecco, invito a riflettere su queste parole “stordimento depravato che ci esenta da ogni riflessione sul senso ed il significato di ciò che si fa”. Lo dico perché anche oggi, poco e male, si riflette sul significato di ciò che facciamo quotidianamente: presi dalla velocità e dalla necessità del presente e dell’immediato ci si scorda spesso del senso delle cose.

Ora noi sappiamo che i tempi sono certamente molto cambiati: i tedeschi in particolare sembrano avere rielaborato positivamente il terribile dramma di quel decennio in cui una nazione che aveva prodotto Beethoven e Kant ma anche Einstein, era piombata nella barbarie di un regime produttore di morte, guerra, sterminio e devastazione.

Oggi però il ragionamento andrebbe esteso anche ad altro: non possiamo limitarci a celebrare questa Giornata commuovendoci ed inorridendo di fronte alle immagini ed al ricordo di fatti comunque lontani e che ormai pochi possono ricordare e narrare per averli vissuti direttamente.

Rischieremmo di isolare quei fatti in un passato solo un po’ meno lontano dalle guerre napoleoniche o da quelle del risorgimento. E ciò impedirebbe di vedere quanti e quali pericoli sono ancora presenti ed attuali.

Allora suggerisco a tutti un altro libro che si intitola “Come si diventa nazisti”, dello storico americano William Sheridan Allen, del 1965 ripubblicato da Einaudi nel 1994. Il racconto si sviluppa tra il 1928 ed il 1933 in una cittadina della Germania profonda ed è composto da tante storie quotidiane che ricordano un po’ le nostre di oggi, quelle di una comunità che si sta disgregando e che non se ne accorge.

Il libro ci fa capire che la distruzione di una comunità politica e la fine della democrazia sono sempre possibili. Che ad impedirlo non bastano le condizioni storiche diverse, il livello di sviluppo economico, le istituzioni nate in Europa dopo la guerra a difesa della democrazia o una ipotetica maggiore maturità democratica dei cittadini. 

Oggi come allora gli avversari della democrazia circolano numerosi tra noi e stanno anche dentro di noi, nell’eterno conflitto tra bisogno di sicurezza e desiderio di libertà. 

Si tratta di un racconto corale articolato in storie diverse che confluiscono però verso l’ineluttabilità della dittatura come risposta al malessere sociale, alla disoccupazione crescente, al senso di insicurezza, al malcontento per uno stato che funziona male, al rancore verso le minoranze etniche che “rubano lavoro, soldi e potere” ai cittadini “ariani”.

E solo alla fine del libro ci si accorge come tanti fatterelli quotidiani, anche insignificanti, confluiscono però nella scelta autoritaria di quella comunità locale e di tutta la Germania.

Allora mi viene da riflettere sul fatto che pare che oggi l’80% circa degli italiani, soprattutto giovani fino ai 30 anni, vogliano “un uomo forte” alla guida della nazione, che la fiducia nello Stato si attesta nei sondaggi al 20% scarso e quella nell’Europa al 29.

E che cos’è e cosa fa un “uomo forte”? Innanzitutto decide per tutti noi, ci farà sentire magari più sicuri anche se è poi tutto da vedere, ma ci espropria completamente del nostro status di uomini liberi e dotati di volontà civile, politica e di autodeterminazione.

Il film “Una volta nella vita” della regista Marie-Castille Mention-Schaar, parla proprio di capacità di essere liberi e consapevoli. E' ispirato ad una storia vera, quella di Amhed Dramé, un ragazzo musulmano figlio di una immigrata del Mali, che vive in una banlieue di Parigi, che nel 2009 partecipa, con la sua classe, al “Concorso scolastico nazionale sulla Resistenza e la deportazione degli ebrei sotto il nazismo” (istituito nel 1961 dal Ministero della Pubblica Istruzione), grazie all'intuizione dell’insegnante di storia e geografia che capisce che quella classe di una scuola di periferia, ha sensibilità e voglia di riscatto. 

Narra un percorso di crescita e di consapevolezza di quei sedicenni, fa capire che, senza perdere la felicità e la gioventù, senza diventare tristi e musoni, si può però fare qualcosa di bello e di utile per sé e per gli altri. 

E lo si può fare condividendo veramente, non solo foto o storielle su Facebook e WhatsApp, ma emozioni, sensazioni, pensieri, riflessioni per costruire qualcosa di nuovo, di inedito, di proprio...… 

Racconta come ragazzi inizialmente divisi e conflittuali diventano gruppo, si appassionano alla storia e all'attualità e come sapranno assumere e trasmettere la memoria di quei fatti e di quei giovani morti nei campi di concentramento, che non erano poi così diversi da loro.

Ogni immagine di questo film ed ogni pagina del libro dal quale è tratto, scritto dal giovane studente Amhed, serve proprio a capire come non cadere nel tranello della dittatura e del delegare ad altri il nostro futuro. 

Il nazismo capì che doveva seminare paura, odio e rancore per vincere: nel libro “Una volta nella vita”, Léon, un sopravvissuto al Lager, dice ai ragazzi: “Per esperienza so che spesso l’odio riesce ad averla vinta. È furbo, sfrutta la debolezza degli uni e la povertà di altri, le vecchie ferite di tutti. Poi colpisce e sfigura. Sotto la sua maschera non si riconosce più l’uomo ma si distingue solo una poltiglia di uomo. Di cui la Storia… potrebbe benissimo cibarsi di nuovo.” E poi aggiunge: “Se si possono toccare anche le nuove generazioni, queste saranno salvate. Se capiscono cosa si rischia a lasciare che gli uomini abbandonino l’umanità, anche il passato è salvo.”

Ecco allora che è molto bello ciò che scrive e dice Amhed, quasi alla fine: “Le barriere siamo noi a crearle, basta negarle perché smettano di esistere.” Ed infine “Ho una storia particolare, un percorso speciale… ma appartengo anche alla Storia, quella dell’Uomo, e per questo sono gli altri.”

Pensiamo allora alla Giornata della Memoria come ad una “memoria” viva, calata nel presente, un’occasione per capire nessi e collegamenti storici e sociali. Non si tratta di celebrare e mettersi la coscienza a posto. Quei milioni di persone cancellate dalla faccia della terra, ma non dalla Storia, non hanno bisogno di retorica ma ci hanno assegnato un compito preciso: quello di rendere sempre degno il fatto di definirsi “Uomini”. 




sabato 21 gennaio 2017

“Tecnica del colpo di Stato” di Curzio Malaparte. Strategia aggressiva e organizzazione: un libro da rileggere. Recensione di Ferruccio Quaroni

Alcuni anni fa è stato ripubblicato “Tecnica del colpo di Stato”, libro controverso di un autore controverso, Curzio Malaparte.
Dato alle stampe nel 1931, costò all’autore l’incarceramento ed il confino, venne proibito in Unione Sovietica e, addirittura, dato alle fiamme nella Germania hitleriana.
Il testo, rispetto al nazismo, soffre dei limiti di una stesura avvenuta quando la dittatura non si era ancora pienamente espressa con tutta la brutalità successiva ed indulge ad un giudizio su Hitler presentato solo come brutta copia di Mussolini.
Al di là di questo, però, va invece sottolineata, insieme ad una scrittura piacevole ed avvincente dei fatti storici, in particolare quelli relativi alla presa del potere dei soviet, la dimensione di attualità delle riflessioni sulla attuazione del “colpo di Stato”.
Malaparte sottolinea come la riuscita dell’impossessamento del potere statale da parte di una minoranza sia, appunto, frutto di una “tecnica” precisa e non di fatti storici e politici che pure compongono il quadro di riferimento generale delle vicende.
I casi di Trotzki e di Mussolini, a suo parere, testimoniano appunto come la conquista dell’apparato statale avvenne su un terreno delle tecniche concrete, della formazione di un nucleo operativo motivato, coeso e privo di scrupoli e della capacità di occupare le centrali nevralgiche dell’economia, dei trasporti, delle comunicazioni, dell’erogazione dei servizi essenziali e primari.
Trotzki, vero realizzatore della conquista del potere, forzò la mano ed anticipò Lenin nelle decisioni e nelle modalità attuative: capì che si doveva evitare che uno sciopero generale venisse gestito a favore dei socialdemocratici e dei moderati e che il futuro controllo dei sindacati avrebbe rappresentato la chiave di volta del consolidamento del potere.
Nella Germania dei primi tempi di Weimar, infatti, il tentativo di presa del potere dei nazionalisti del 1920 venne sventato proprio grazie allo sciopero generale sostenuto dal cancelliere socialdemocratico Bauer.
Il caso del fascismo viene trattato con una riflessione sulle dinamiche del “biennio rosso” e sulla capacità avuta da Mussolini di spezzare, appunto, la forza sindacale, prima ancora di quella dei partiti di massa (i socialisti ed i comunisti innanzitutto) in modo da sventare il piano di Giolitti di giocare la carta della mobilitazione dei lavoratori organizzati per arginare il movimento eversivo. Il successivo inserimento dei fascisti nel Blocco Nazionale alle elezioni del 1921 ebbe solo il risultato di illudere i moderati di avere ingabbiato il fenomeno. I fascisti scelsero però la strada di non appiattirsi sulle dinamiche parlamentari con i pochi deputati eletti, ma di continuare la loro strategia aggressiva e di consolidamento organizzativo per la presa del potere.
A parere di Malaparte il fascismo aveva già vinto tra il 1920 ed il 1921 con la distruzione pressoché totale della struttura sociale, cooperativistica e di solidarietà delle forze di sinistra e, in parte, di quelle cattoliche: la strada era spianata con l’utilizzo di una tecnica ben studiata e calibrata.
La riflessione da farsi è quella che occorre sempre storicizzare e contestualizzare i fatti ed i fenomeni. Se è pur vero che le cose non si ripetono mai nello stesso modo, un ragionamento va fatto, anche oggi, sull’indebolimento delle organizzazioni storiche dei lavoratori, sulla totale scomparsa dei tradizionali partiti di massa, su prassi comunicative e propagandistiche che, utilizzando deformazioni della verità e palesi falsità, creano sensi comuni errati e pericolosi e, ovviamente, sull’allontanamento generale delle persone dalla partecipazione e dal protagonismo vero ed effettivo, che non può essere quello dei social…
Perciò anche il discusso Malaparte può essere utilizzato per utili scopi: più in generale bisognerebbe semplicemente tornare a leggere e documentarsi maggiormente sulle fonti e le testimonianze piuttosto che nel mondo dei media e della virtualità.