di Cristina Pucci
|
David Oyelowo, che impersona Martin Luther King, in una scena del film
"Selma, la strada per la libertà" (2014). |
Martin Luther King e il suo eroismo, la sua fede, la sua lucida e pacifica battaglia per porre fine alla persecuzione dei neri nel Sud degli States e per ottenere il voto; ma anche la sua incerta e sofferente umanità, il tormento per i suoi dubbi e per il peso dei sacrifici imposti alla sua famiglia e a tanti altri combattenti come lui. Il personaggio è di sicuro interesse e grandiosità e, forse, è stato anche troppo poco narrato e rappresentato: ecco quindi finalmente “Selma”, film diretto da Ava DuVernay, prima regista afroamericana candidata a un Golden Globe, prodotto da Oprah Winfrey, altra donna nera che mai, malgrado ricchezza e successo enormi, ha dimenticato i secoli di ingiurie ai neri americani e che sempre coglie occasioni per abbracciare la loro causa e mantenere vivo il ricordo di “che lacrime grondi e di che sangue”.
Il film racconta un evento fondamentale nella storia dei movimenti antisegregazione, la marcia che vide migliaia di neri e non solo, percorrere a passo lento ed inesorabile gli 80 chilometri che vanno da Selma a Montgomery, nel bel mezzo dell' Alabama, cuore oscuro di quel Sud tradizionalmente ed orrendamente razzista ed assassino. Siamo nel marzo del 1965 - pensate, non in pieno ottocento -, è Governatore quel George Wallace, fascista violento e crudele, cui, anni dopo, qualcuno sparò rendendolo paraplegico ed io dico, anche se non si dovrebbe, che a me non dispiacque per nulla. La successiva sofferenza sperimentata pare lo abbia indotto a chiedere perdono ai neri da lui perseguitati.