A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

venerdì 7 novembre 2014

Un’idea di democrazia e di partecipazione: l'esperienza della Toscana

di Antonio Floridia (*)

In questi giorni sta avviandosi la fase operativa della legge regionale sulla partecipazione (n. 46/2013), nella nuova versione approvata lo scorso anno (con modifiche della precedente legge 69 del 2007). E’ un’esperienza che continua, dunque, nonostante una parte notevole del mondo politico e istituzionale toscano, sin dall’inizio, abbia guardato a questa legge con una certa diffidenza o indifferenza, o anche con una certa aria di sufficienza. Eppure questa legge è un esempio tra i più significativi, in campo internazionale, di una tendenza importante presente nelle democrazie contemporanee: la diffusione di nuovi istituti e modelli di partecipazione. O più precisamente, di nuovi strumenti di coinvolgimento dei cittadini nei processi di elaborazione e costruzione delle politiche pubbliche. E’ un fenomeno diffuso, molto più in altri paesi europei e nel mondo anglosassone, che in Italia; e, fuori dall’Europa, nel nuovo Brasile democratico. Ed è un fenomeno che può essere considerato un aspetto e un sintomo delle trasformazioni della democrazia, di una ricerca di risposte innovative ai problemi e alle difficoltà delle “democrazie reali”.
La vecchia legge 69 è stata una legge apertamente “sperimentale”, con una sua singolarità: una legge che prevedeva la propria stessa scadenza, a meno che nel frattempo non fosse stata esplicitamente riapprovata. Questo termine era stato fissato dalla legge stessa al 31 dicembre 2012, prevedendo che, nei mesi precedenti, il Consiglio Regionale promuovesse un percorso di valutazione, al termine del quale definire se e come riapprovarla. Questo percorso si è svolto, in effetti, a partire dalla primavera del 2012, e il 19 dicembre 2012 il Consiglio Regionale toscano ha approvato a larga maggioranza una Risoluzione in cui si dava un giudizio nel complesso positivo sulla legge, si affermava l’opportunità di riconfermarla e si suggerivano alcuni orientamenti per introdurre alcune modifiche. Nel primo semestre del 2013, si è lavorato ad una nuova stesura della legge che infine è stata approvata il 2 agosto dello scorso anno.
Non è possibile, in questa sede, proporre un bilancio compiuto dell’esperienza toscana, sulla quale esiste oramai un’ampia serie di ricerche e di studi: vorrei qui limitarmi a indicare i punti essenziali della normativa toscana e, soprattutto, soffermarmi sulle idee di fondo, sul modello di democrazia, a cui questa normativa si ispira.

L’impianto della normativa
La legge toscana si fonda su due assi:
a) il primo è quello del sostegno ai processi partecipativi locali: la legge definisce un insieme di procedure attraverso cui la Regione offre un sostegno, soprattutto finanziario, ad una serie di soggetti (enti locali, cittadini, scuole, imprese) che richiedono l’apertura di un processo partecipativo su un oggetto ben determinato. La valutazione e l’ammissione al sostegno regionale dei progetti partecipativi presentati viene affidata ad un organo indipendente, l’Autorità regionale per la garanzia e la promozione della partecipazione, un organo collegiale di tre esperti in materia, eletto dal Consiglio Regionale. La legge precisa i requisiti e i criteri di priorità che l’Autorità deve seguire nella valutazione dei progetti presentati e fissa alcune caratteristiche dei processi.
Il logo della Commission nationale du débat public.
b) Il secondo asse è quello del “Dibattito pubblico” (DP) su opere di rilevanza regionale. Si riprende qui il modello francese del Débat Public, con tutti gli opportuni e necessari adattamenti ad una scala regionale. Questa parte della legge è stata quella più ampiamente modificata, rispetto alla prima versione della legge. Senza poter entrare qui nei dettagli, la novità principale sta nella previsione della obbligatorietà di svolgimento di un DP, per tutte le opere che superino una soglia finanziaria di 50 milioni di Euro.  Il DP viene definito come “un processo di informazione, confronto pubblico e partecipazione su opere, progetti e interventi che assumono una particolare rilevanza per la comunità regionale” (art. 7, comma 1). Le modalità di svolgimento sono del tutto simili al modello originale della legge francese, in particolare per quanto riguarda il rapporto finale, e l’obbligo, per il soggetto titolare dell’opera, di motivare, entro tre mesi, la rinuncia al progetto, o una sua modifica, o una sua conferma.

L’ispirazione teorica e politica
Con questa legge, la Regione mette a disposizione delle risorse per promuovere processi partecipativi locali. Questo sostegno, però, non è né indiscriminato né incondizionato: i processi partecipativi devono rispondere a determinati requisiti (che la legge precisa: un oggetto, su cui ancora devono essere assunte delle decisioni; i tempi; le metodologie, ecc.).
Su questo punto emerge lo “spirito” peculiare della  legge toscana: essa offre una cornice procedurale che mira a promuovere bensì la “partecipazione”, ma non una partecipazione quale che sia. Essa intende piuttosto promuovere forme innovative di partecipazione, strutturate, metodologicamente attrezzate: la legge non sostiene certo una serie di “assemblee”, ma percorsi organizzati di discussione pubblica, nella fase che precede una decisione. Su questo punto, è bene essere netti: la nostra legge non si ispira in alcun modo ad una visione “diretta” della democrazia: la responsabilità politica delle decisioni spetta alle istituzioni democratiche rappresentative, e non può che rimanere ad esse. Ma le istituzioni possono, e sono incentivate a farlo, aprire un dialogo pubblico, prima di decidere, per raccogliere e valorizzare opinioni, giudizi, esperienze diffuse nella società. Non è, si noti bene, un ruolo meramente consultivo, quello che si affida alla partecipazione: la legge è molto precisa nel prescrivere che l’apertura di un processo partecipativo avvenga solo laddove una decisione è ancora da prendere, e quando ancora diverse opzioni sono possibili. La partecipazione può concorrere, se produce buone idee, alla definizione, o ad una migliore definizione, di una decisione.
Nei primi quattro anni, si sono svolti 116 casi, ovviamente, ci sono stati processi più o meno riusciti, ma il “modello” fondamentalmente ha funzionato: non sono pochi i casi in cui il confronto e il dialogo pubblico ha influenzato il processo decisionale, ha modificato gli orientamenti che all’inizio sembravano prevalenti (ad es., nella localizzazione di alcuni importanti impianti), ha permesso di includere nel processo decisionale una più larga platea di interlocutori, ha rafforzato la legittimità delle decisioni. La nuova versione della legge, ora, “stringe i bulloni”,  per così dire, richiedendo che l’Autorità valuti con più rigore la rilevanza politica dell’oggetto delle domande. In sostanza, vorremmo ora – dopo la fase sperimentale – che tutti i processi finanziati abbiano un certo spessore politico. E i primi 20 processi, con la nuova legge, che stanno partendo in queste settimane, rispondono a queste attese: parchi urbani di notevole rilievo, risanamento di edifici storici, “contratti di fiume”, bilanci partecipativi, fasi preliminari della definizione di un piano strutturale; gestione e progettazione di beni comuni. Tra le novità, poi, c’è il nuovo portale PartecipaToscana (all'interno del portale OpenToscana), dove sarà possibile seguire e discutere tutti i processi in corso.
Ma ciò su cui qui soffermarmi è proprio l’idea di partecipazione, e l’idea di democrazia, che è insita nella legge. Non si comprenderebbe l’originalità dell’impianto normativo della legge toscana se non si considerasse il modo con cui essa ha concepito il nodo cruciale del rapporto tra partecipazione e decisione. Vale qui fare un passo indietro. Nel momento in cui la legge fu scritta, si fronteggiavano due posizioni: da una parte, coloro che rivendicavano il carattere “vincolante” degli esiti di un processo partecipativo sulle decisioni politico-amministrative delle istituzioni; dall’altra parte, le preoccupazioni di amministratori ed eletti che temevano un ridimensionamento dei meccanismi della democrazia rappresentativa.
L'Home page del nuovo portale OpenToscana, che include il portale PartecipaToscana.
A fronte di questa duplice spinta, la legge ha trovato un punto di equilibrio, delineando un’idea di partecipazione che può essere così sintetizzata: concepire la partecipazione come una fase del processo decisionale, non come il luogo delle decisioni. In tal modo, la legge si sforza di aprire la via ad un fecondo rapporto tra la democrazia rappresentativa (in un momento storico in cui essa va difesa, contro ogni tendenza populista, plebiscitaria o tecnocratica) e il ruolo attivo dei cittadini e delle loro forme associative.
La legge toscana è una legge innovativa perché, da una parte, rifiuta ogni logica genericamente “partecipazionista”: non si può pensare che vi sia una “cessione di sovranità”, da parte delle legittime istituzioni della democrazia rappresentativa a favore di gruppi più o meno numerosi di cittadini che si attivano e si mobilitano. Dall’altra parte, però, suggerisce un metodo alle istituzioni per migliorare la qualità delle proprie decisioni e il grado di consenso e condivisione che le circonda. Nelle fasi preliminari di un processo decisionale occorre allargare il quadro dei saperi, delle competenze, delle esperienze che possono concorrere ad una decisione e migliorarne la qualità.
La legge si fonda su una logica di accountability democratica da parte del decisore politico, che trova la sua espressione nella formula adottata nell’articolo in cui si parla dei “requisiti di ammissione” dei processi partecipativi proposti da un ente locale: tra questi, si indica al primo punto una “dichiarazione con cui l’ente si impegna a tenere conto dei risultati dei processi partecipativi o comunque a motivarne il mancato o parziale accoglimento”. La legge cioè non prevede che gli esiti di un processo partecipativo siano “vincolanti” per le istituzioni (il che sarebbe, oltre tutto, illegittimo), ma che il decisore politico ne “tenga conto” e motivi pubblicamente – in ogni caso – anche le ragioni del mancato o parziale accoglimento delle tesi emerse.

Alcune conclusioni
Lo scenario politico di questi anni, segnato dalla crisi economica e dagli effetti della globalizzazione, si accompagna, sempre più spesso, a una nutrita serie di diagnosi preoccupate sulla “crisi della democrazia”. Diagnosi, occorre aggiungere, che in molti casi, specie nei discorsi correnti, appaiono piuttosto vaghe, così come confuse sono anche le terapie che vengono prospettate. In particolare, non appare ben chiaro quali sono le alternative che veramente si stanno misurando. Così, a fronte di tendenze che vedono l’affermarsi di moderne forme di “oligarchia”, di potentati economici o tecno-strutture che svuotano le sedi “tradizionali” della sovranità, sembra che la risposta, simmetrica, possa essere soltanto quella di un “ritorno al popolo”, con una visione della democrazia che si appella al recupero di un qualche ruolo diretto ed immediato dei cittadini. E ancora, all’opposto, di fronte ad una lettura della crisi come crisi di “governabilità”, come impotenza delle istituzioni democratiche ad offrire risposte “efficaci” e “rapide” alla nuova complessità sociale, la via di fuga sembra poter essere solo quella di un ulteriore accentramento dei poteri, aggirando regole e procedure, con una sorta di “illusione decisionista” che sospenda, di fatto, le mediazioni “faticose” e “lente” delle tradizionali forme della rappresentanza politica.
A noi sembra che queste due risposte, per certi versi simmetriche, siano insoddisfacenti, o anzi foriere di pericoli per la democrazia.
A tutto ciò, si deve e si può opporre  un’idea della politica democratica  come paziente ricerca – al tempo stesso, cooperativa e conflittuale - delle soluzioni ai problemi del vivere comune, di una politica che sappia anche produrre e diffondere orientamenti e valori, che intervenga nella sfera pubblica contribuendo a far sì che si possa sviluppare un discorso pubblico ricco, argomentato, pluralistico. Non si produce una buona democrazia, se a dominare la scena vi è quella che possiamo definire come la tirannia delle “preferenze immediate”, l’affannosa rincorsa a ciò che sembra essere l’espressione di una presunta “volontà popolare”, diretta e non-mediata, ovvero assunta come data, senza alcun canale o strumento che la possa rendere più riflessiva, consapevole, aperta e lungimirante.
Ispirarsi a questa visione della democrazia nella costruzione delle politiche pubbliche significa molte cose, esige un salto di consapevolezza, tanto nei gruppi di cittadini più attivi, quanto nei decisori politici. I cittadini attivi non possono presumere di ergersi come espressione, tout court, della “volontà generale” o pretendere di esercitare un indebito ruolo di potere. Chi esercita un ruolo politico, d’altra parte, non può abdicare dalle proprie responsabilità, ma deve anche essere consapevole di un dato: ossia che, oggi, nemmeno il più illuminato statista può presumere di poter racchiudere nella propria visione strategica tutte le infinite variabili che concorrono a definire una decisione pubblica, dalla più complessa a quella apparentemente più semplice. Non esiste una razionalità onnicomprensiva, in grado di padroneggiare tutte le conoscenze e le esperienze necessarie a prendere una buona decisione: viviamo in un mondo in cui domina una radicale incertezza strategica. E poi, in tanti campi, è la stessa produzione di politiche pubbliche, la loro stessa efficacia, che richiede la compartecipazione attiva dei possibili destinatari di quelle politiche, sia nella fase della loro elaborazione che in quella della loro implementazione. Una “buona” decisione, e soprattutto una decisione “legittima”, non è tale solo perché assunta da un’istituzione deputata ad assumerla: deve essere anche una decisione che viene “sentita” e vissuta come tale, discussa, compresa e accettata, da coloro che da essa sono toccati.
Il logo dell'Autorità regionale per la promozione
e la garanzia della partecipazione della Toscana.
E’ pericoloso alimentare l’idea che ogni procedura democratica sia un fastidioso intralcio; che basti uno solo a decidere, o che bastino “i tecnici” o, per altro verso, il “primo che passa” (come propone un’ideologia populistica che ha trovato alcuni nuovi cantori…).
Una decisione efficace e democraticamente legittima può nascere solo dall’attivazione di saperi sociali diffusi, dalla valorizzazione di esperienze e competenze, dall’immissione nel policy making delle opinioni, dei giudizi, dei “punti di vista” che si producono nella società, grazie ad una discussione pubblica su ciò che sembra più “giusto” (relativamente più “giusto”) nelle condizioni date. Una democrazia così concepita punta sulla mobilitazione di risorse cognitive diffuse e su una gestione produttiva e creativa degli stessi conflitti, e su procedure di mediazione cooperativa nella ricerca delle soluzioni.
La via che stiamo provando a sperimentare in Toscana, tra mille difficoltà, si ispira a questa visione. Dinanzi alle torsioni, in chiave populistica e/o tecnocratica, a cui la nostra democrazia è oggi esposta, crediamo non vi siano molte alternative: la democrazia vive se si riescono a creare, allargare, strutturare spazi e luoghi in cui il confronto pubblico e argomentato sulle decisioni collettive possa avvenire in modo sistematico e condiviso.
Non pensiamo che il dibattito arrechi danno all’azione; il pericolo risiede piuttosto nel non chiarirsi le idee discutendone, prima di affrontare le azioni che si impongono”: sono parole che Tucidide attribuisce a Pericle. Crediamo che, a distanza di secoli, sia un insegnamento che non abbia perso valore.

* Antonio Floridia è Dirigente del Settore “Politiche per la partecipazione” della Regione Toscana


Per saperne di più
- Risoluzione del Consiglio regionale della Toscana 19 dicembre 2012, n. 168 "In merito agli orientamenti per la revisione della legge regionale 27 dicembre 2007, n. 69 (Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali)"
- Legge regionale della Toscana 2 agosto 2013, n. 46 "Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali" (illustrazione della legge)
- Giunta regionale della Toscana: partecipazione
- Consiglio regionale della Toscana: Autorità regionale per la promozione e la garanzia della partecipazione
- Regione Toscana: portale OpenToscana - portale PartecipaToscana
- Francia: Commission nationale du débat public
- Fabiola De Toffol e Alessandra Valastro, "Dizionario di democrazia partecipativa", Centro Studi Giuridici e Politici della Regione Umbria, 2012

Rassegna stampa
- Bugli: "La Toscana come frontiera avanzata della partecipazione" (Toscana Notizie, 24.9.2013)
- La Toscana racconta la sua partecipazione, giornata di confronto sul lavoro di quattro anni (Toscana Notizie, 8.11.2013)
- Open Toscana, a cosa serve (Toscana Notizie, 22.9.2014)
- Open Toscana, presentata la nuova piattaforma per servizi on line, dati e partecipazione (Toscana Notizie, 22.9.2014)
- Partecipazione, su Open Toscana si parte con ventuno progetti (Toscana Notizie, 22.9.2014)
- Bollo, ticket e tasse: ecco il portale (la Repubblica, 23.9.2014)
- E sul nuovo portale si può pagare anche il bollo auto, di Giulio Gori (Corriere fiorentino, 23.9.2014)
- OpenToscana scende in piazza, contatti e servizi a portata di cittadino (Toscana Notizie, 4.10.2014)
- Open Toscana raddoppia, attivi altri tre canali: app, cloud e start up (Toscana Notizie, 8.10.2014)
- Oltre 11 mila visitatori nelle prime due settimane per Open Toscana (Toscana Notizie, 8.10.2014)

Nessun commento:

Posta un commento