A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

sabato 1 giugno 2013

Verso il congresso del PD

di Alessio Bartaloni

Il controverso risultato elettorale e l'avvicinarsi dell'appuntamento congressuale del PD, particolarmente rilevante date le ultime vicende interne a detto partito, stanno suscitando una grande quantità di interventi non solo riguardo il tracciato ideale del PD (non si capisce bene se da ridefinre o definire ex-novo) ma sulla natura stessa dell'agglomerato definito "partito" e, conseguentemente, sul futuro della democrazia italiana. Mi sembra che però la gran parte di questi interventi tenda a trascendere dall'assunto basilare, ovvero la crisi della democrazia italiana intesa come il suo funzionamento concreto, assunto che, se non affrontato, rende vana ogni altra discussione.. E' infatti curioso che detti numerosi e validi interventi aventi come minimo comune denominatore ideale la valenza della struttura partito si susseguano in un momento storico nel quale detta tipologia di struttura partecipativa, almeno nella forma novecentesca, risulta, sicuramente in Italia ma anche in gran parte d'Europa, svuotata. Questo non tanto per brutte perfomance del "partito" in sè (per quanto il tormentone, a volte stucchevole, sulla cosiddetta "casta" certo ha lasciato conseguenze), ma perchè la televisione prima e il web poi hanno ormai da tempo cambiato le forme di partecipazione della politica e non solo della comunicazione della stessa. Ciò è particolarmente rilevante in un Paese come il nostro dove, prima della nascita (e purtroppo, ormai ,"al posto") di un elettorato d'opinione ben informato e consapevole (che invece i processi di modernizzazione avevano già formato in altri paesi europei), il prorompere della TV ha esaltato e forse ormai consolidato la rilevanza numerica di un elettorato sensibile a richiami, per così dire, poco "meditati" e populisti. In un saggio un pò troppo presto dimenticato di metà anni'80 (Carlo Sartori "la Grande Sorella. Il mondo cambiato dalla televisione") si facevano già rilevare certi sviluppi insiemeal fatto che, in quegli anni, ben il 30% dei canali TV esistenti al mondo si trovavavano in Italia. E' evidente che detto fenomeno, prorompendo in un contesto già orfano delle ideologie ma ancora lontano da una matura democrazia occidentale, non poteva non avere degli effetti. Effetti che, se possibile, il web ha ancora di più amplificato, e che possiamo riassumere non solo nella crisi di un messaggio politico per così dire "meditato" a favore di uno più semplice e immediato ma certamente anche anche assai più "grezzo", ma anche nel lento tramonto delle forma partecipativa di gruppo detta "partito" intesa come momento (in)formativo a favore di diverse forme di comunicazione e partecipazione con la chiara conseguenza dell'esaltazione del leader al posto del gruppo-partito e del contatto mediato (da uno schermo) rispetto a quello face-to-face.

Sul primo aspetto è quasi inutile dibattere tanto è palese il richiamo che gran parte dell'elettorato di questo Paese sente per un messaggio di tipo populista. Da Bossi a Berlusconi a Grillo, per rimanere agli esempi recenti, il minimo comune denominatore è chiaro.

Più interessante al momento e meritevole di approfondimento è il secondo aspetto sopra ricordato. Le recenti fortune elettorali di Berlusconi e Grillo, per esempio, dimostrano infatti non solo il citato successo di moderne forme di populismo ma anche l'ormai acclarato prevalere del messaggio-leader rispetto al messggio-partito (o movimento o gruppo di riferimento), tanto che sia il PDL che il M5S non avrbbero proprio esistenza senza i loro leader. Il tentativo di Bersani di riportare il messaggio al "noi" piuttosto che all'"io", condivisibile in sede di gioverno del Paese al posto del giustamente vituperato "ghe pens mi" di berlusconiana memoria, è invece assai criticabile (e perdente) come messaggio in campagna elettorale per ottenere il consenso. Il limite dell'ex Segretario del PD non è stato tanto quello di non aver urlato slogans "facili" in vista delle elezioni, ma proprio quello di non essersi caratterizzato come leader confidando che il partito (come messaggio in sè) potesse sopperire a questo ruolo. Niente di più sbagliato purtroppo. Se il partito inteso come struttura ramificata sul territorio mantiene, per ovvi motivi, una sua valenza in sede di competzione locale, come strumento politico ha ampiamente mostrato i suoi limiti in sede di competizione per il governo nazionale; non solo, come detto, per il venir meno della basi sociali novecentesche da rappresentare (quantunque effettivamente assai frammentate), ma soprattutto per la rivoluzione della comunicazione politica. Del resto che il calcolo di appoggiarsi sul partito invece che sulla leadership aveva grossi limiti doveva essere stata in qualche maniera intuito in casa PD, sebbene la posizione tenuta, per così dire "in mezzo al guado" (ancora una volta...), non avesse certo risolto l'arcano. Da un lato infatti si era puntato su elementi da partito strutturato, forte, ancora per certi versi "di massa" secondo la tradizione novecentesca. Dall'altra però si avvertiva la necessità di andare incontro a forme di leaderismo. Cosa sono infatti le primarie se non una strada per legittimare una leadership altrimenti troppo stretta dentro i vincoli di partito e le sue segrete stanze ? in tempi recenti si è sottolineato troppo la valenza di partecipazione democratica (senz'altro lodevole) delle primarie e addirittura enfatizzato il ruolo, in apparenza ritrovato, del partito come veicolo di partecipazione. In realtà l'aprire la partecipazione non solo agli iscritti ma anche ai simpatizzaznti (per quanto registrati) è in realtà stata semmai la certificazione del limite della forma partito nel contesto istituzionale italiano certamente stantio. Tanto che, come sottolinea Florida nell'intervento presente in questo blog, non si vede la necessità di tesserarsi se poi un potenziale iscritto ha le stesse possibilità partecipative e decisionali dei simpatizzanti. Nasce da qui la necessità per il sistema politico italiano e in primis per la sinistra riformista di prendere, finalmente, il toro per le corna e avviare una chiara riforma istituzionale che, oltre che a rendere più spediti i processi decisionali (meglio tardi che mai...), certifichi la scomparsa del palamentarismo così come uscito dalla Costituzione postbellica e post-dittatura e vada finalmente verso quel presidenzialismo detto alla francese (ventilato più volte del resto) che altrettanto correttamente potremmo definire all'europea. Un semipresdenzialismo, cioè, dove, lungi dal relegarsi a comprimario all'americana, la forma partito ridefinsice e limita anche formalmente il suo ruolo nella definizione delle proposte, nella scelta dei candidtati e della leadership per il governo nazionale (se vi par poco...). Tutto ciò non solo, ripeto, come risposta alle necessità di semplificazione e velocizzazione dei processi decisionali, ma anche come forma di salvataggio della politica. Rendersi finalmente conto dei propri limiti non sarebbe un segno di resa per l'agglomerato partito ma una solida base per ripartire e ridare dignità al medesimo sempre meno indentificato come luogo di discussione e sempre più come luogo di lotta tra bande oltretutto sempre più "romane" . Opporsi a detta evoluzione per ideologismo sarebbe terribile; ancora peggio se l'opposizione nascesse dalla circostanza che trattasi di proposta bandiera della destra, realizzando così uno degli aforismi di andreottiana memoria: "se piove e i comunisti dicono che piove, sarebbe assai stolto l'anticomunista che uscisse senza ombrello". Detto pericolo è dietro l'angolo se è vero, come è vero, che, preso atto della citata evoluzione e della non più rimandabile necessità di cambiamento costituzionale, la si è nascosta sotto nomi, tra il ridicolo e il nonsense, di premierato o peggio di "sindaco d'Italia". Troppe volte si è confuso presidenzialismo (o anche la forma più a noi adatta di semipresidenzialimso alla francese) com populismo, come se il secondo fosse necessaria conseguenza del primo. Niente di più sbagliato. Anza, la deriva populista trovererebbe un forte argine ove la poltica trovasse la forza finalmente di rinnovarsi. La cosa curiosa è che questo tipo di approdo è stato avversato dalla parte politica che, in un Paese tendenzialmente moderato come il nostro, ne avrebbe tutto da guadagnare: basti vedere quante volte a livello locale o regionale feudi della destra sono stati espugnati dalla sinistra grazie al traino del candidato sindaco o presidente di regione. Tanto è vero che spesso si parlato di vittoria di un canditato di centrosinistra "a prescindere" dal partito di riferimento e di recente addirittura "nonostante" il medesimo (perchè in crisi). Eppure anche nei recenti contributi al dibattito (vedi l'intervento di Barca) si tende a sorvolare sulle ipotesi di rafforzamento delle capacità decisionali dell'esecutivo (nelle varie forme possibili) anche quando non lo si demonizza. Penso invece che, in mancanza di un escutivo efficiente, siano proprio certi tentativi di istituzionalizzare i movimenti o riproporre suggestioni partecipative più o meno assemblearistiche a formare terrreno fertile per i populismi.

Vale precisare poi che, in un contesto come sopra riformato, solo chi avrà un partito strutturato e radicato potrà provvedere adeguatamente alla migliore scelta del candidato presidente nonchè dei candidati di collegio. Senza considerare che, se in un futuro prossimo il finanziamento pubblico della politica trovasse dei limiti, o addirittura venisse del tutto annullato, nessuna forza come il volontariato militante potrebbe scovare il denaro suifficiente ad una campagna elettorale. La stessa "rete", fondamentale per la raccolta fondi da parte di Obama che è riuscito in questo modo ad annullare lo storico gap di "ricchezza" con i repubblicani, nulla sarebbe senza la presenza di una solida base di volontari in grado di regolarne il funzionamento. Ma per far (ri)crescere questa bella pianta è necessario salvare il terreno (l'efficiente funzionamento della democrazia) dove mettere solide radici.

Prenderne atto non è più rimandabile: speriamo solo che ad aperture in tal senso che si stanno delineando (dallo stesso Epifani) la reazione uguale e contraria dei noti conservatorismi di sinistra non abbia ancora una volta la meglio.

Per ritrovarsi fra qualche anno a dire "non cogliemmo", "non capimmo", "non vedemmo" ecc......

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