A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

lunedì 26 maggio 2014

Berlinguer e la politica di austerità: lungimiranza e coraggio di un leader

di Alessio Bartaloni

L'avvicinarsi del trentennale dalla scomparsa di Enrico Berlinguer (11 giugno) sta suscitando, come prevedibile, molte riflessioni intorno alla figura del segretario del PCI.
Ha cominciato in maniera quasi poetica Veltroni con lo struggente film-documento "Quando c'era Berlinguer" e stanno continuando, in maniera ahimè maldestra e stucchevole, complice la campagna elettorale, forcaioli di varia risma.
Non vi è dubbio che la personalità ed il carisma del personaggio siano tutt'ora enormi e suscitino ancora un fascino che, ovviamente, non può essere certo più confuso con la particolarità del momento storico, ma deve evidentemente essere riferito al solo personaggio. Ed è oltremodo vero che la figura dello statista sardo si presta a varie letture e considerazioni che l'ormai non breve spazio temporale che ci separa dalla stagione politica che lo vide protagonista rendono (o dovrebbero rendere) più facile.
Oltre che della fin troppo speculata "questione morale", oltre che della fase del compromesso storico e della solidarietà nazionale, credo che un rinnovato interesse dovrebbe suscitare (e in parte sta già suscitando) la suggestione intorno alla cosiddetta austerità, rinnovato interesse certo aiutato dalla crisi economica e ancora prima dai processi di globalizzazione.
L'argomento è assai complesso e certo non difficilmente riducibile allo spazio di un articolo. Ma il fatto che nel corso degli anni personaggi dalle più diverse estrazioni culturali (si pensi a Giulio Tremonti, ma anche al troppo precocemente scomparso Alexander Langer) abbiano ritenuto opportuno ispirarsi alle tesi di Berlinguer sull'argomento deve essere a mio giudizio motivo di riflessione.
Enrico Berlinguer: comizio in piazza Signoria, Firenze.
Ed è un bene che questo sia accaduto ed accada perché per molto tempo il giudizio sulle riflessioni di Berlinguer in tema di austerità è stato viziato dall'effimero spirito del tempo e da pregiudizi sull'indole della persona. La circostanza che l'estrema sobrietà del personaggio abbia fatto sì che abbracciasse in pieno, agli inizi degli anni '70, la posizione di Ugo La Malfa contro la nascente televisione a colori (argomento che meriterebbe comunque altra riflessione e altro inquadramento storico), unita alla caricatura della mistica comunista, inquadrata in una sorta di pauperismo monastico, hanno fatto sì che, per molti anni, carichi di "Milano da bere" e di "La nave va", le tesi di Berlinguer sull'austerità finissero nel calderone di un condannabile anti-modernismo da terza internazionale o venissero scambiate tutt'al più per tesi neo-francescane.
E' invece il caso di rileggere le stesse parole di Berlinguer, cosa che raramente viene fatto. Provo a compiere una sintesi citando qualche passo, consigliando comunque a tutti una lettura completa.
"L'austerità è un imperativo da cui non si può sfuggire. ... In sintesi questi sono i dati: innanzitutto il moto e l'avanzata dei popoli del terzo mondo che rifiutano e via via eliminano quelle condizioni di sudditanza e di inferiorità cui sono stati costretti ... ; l'acuita concorrenza ... fra questi stessi paesi capitalistici cui fanno sempre più le spese i paesi meno forti e meno sviluppati quali l'Italia; infine la manifesta e ogni giorno più evidente insostenibilità e insopportabilità sociale ... delle distorsioni che hanno caratterizzato lo sviluppo della società italiana". " ... L'austerità per definizione comporta restrizioni di certe disponibilità a cui si è abituati ... ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre più rigorose e non sperperatrici conduca ad un peggioramento della qualità e dell'umanità della vita" (Conclusioni Assemblea Operai del PCI Milano gennaio 1977). "Austerità per noi vuol dire una politica di rigore, di lotta agli sprechi, ai parassitismi, di severità che sia fondata sull'equità, che sia quindi mezzo di sviluppo produttivo e leva per una politica di radicale cambiamento" (Intervista a L'Unità novembre 1978). Ed ancora: "Una politica di austerità non è una politica di tendenziale livellamento verso l'indigenza, né deve essere perseguita con lo scopo di garantire la semplice sopravvivenza di un sistema economico e sociale entrato in crisi. Una politica di austerità, invece, deve avere come scopo ... quello di instaurare giustizia, efficienza, ordine e, aggiungo, una moralità nuova" (conclusione Convegno degli intellettuali, Roma gennaio 1977).
Si badi bene che tutto ciò nel pensiero di Berlinguer non doveva avvenire in seguito a chissà quale stravolgimento rivoluzionario o anche troppo dirigista: "non vogliamo seguire modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un ruolo importante" (La Repubblica luglio 1981). Ed è anche opportuno sottolineare che un cambiamento di tal fatta non derivava certo da suggestioni in voga allora, ovvero un "tutto e subito" movimentista: "il gratuito per tutti non può esistere e comunque qualcuno paga. I costi di troppi servizi (per lo più inefficienti) sono oggi scaricati sui contribuenti o sul debito pubblico e l'onere maggiore ricade sempre, alla fine, sui lavoratori dipendenti" (XV Congresso PCI marzo 1979).
Come si vede, anche solo in questo brevissimo sunto c'è già molto: la globalizzazione e l'avvento della concorrenza di Paesi un tempo succubi dell'Occidente; l'insostenibilità di un sistema Paese non solo perché dedito a consumi effimeri quanto perché in apparenza "gratificato" da immensi sprechi; ci si leggono persino le radici della cosiddetta "decrescita felice" per la quale, ad un calo del PIL, può e deve accompagnarsi una crescita della qualità della vita. Sembra quasi inutile ricordare poi come, lungi dal diventare punti di riferimento per le politiche economiche, queste parole siano state invece relegate in un isolato limbo intellettuale, se non proprio nel dimenticatoio, e, conseguentemente, come gli anni seguenti (gli anni '80) abbiano visto la crescita esponenziale del debito pubblico che tanto ha limitato, limita e purtroppo limiterà ancora a lungo anche le più serie e lungimiranti politiche riformatrici, che pure in questi ultimi 20-25 anni (ovvero da quando si è conclamata la pericolosità dell'enorme debito accumulato) di tanto in tanto abbiamo avuto. Ed è difficile non vedere anche che, come era già leggibile nei discorsi di Berlinguer (e, aggiungo, negli scritti di Pasolini), la crescita economica, che pure vi è stata fino allo scoppiare della crisi presente, abbia lasciato comunque interi settori del Paese in una condizione di estrema fragilità (si pensi all'intera generazione del precariato) che il primo sussultare di recessione ha subito portato nell'indigenza e, rilevo, nelle mani dei vari populismi.
Sia chiaro: non è intenzione di chi scrive (allergico peraltro ad ogni tipo di "passatismo") fare della figura di Berlinguer un "santino" per orfani di un periodo storico tramontato per sempre. Anzi, la mia personale avversione laica ad ogni tipo di venerazione sono sicuro che nei prossimi giorni (quando invece è da aspettarsi un po' di beatificazione massmediatica) mi porterà per reazione a ricordare come Berlinguer, e tutta quella classe politica, porti responsabilità indiscutibili: innanzitutto, una volta percepito e coraggiosamente denunciato il fallimento del comunismo, quella di non aver portato completamente il partito nell'occidente socialdemocratico e aver anzi perseguito eurocomunismi e terze vie che non esistevano. E poi, a mio giudizio, quella di non aver colto, prima della deriva nell'ubriacatura craxiana di fine anni '80 cui accennavo all'inizio, le vere novità portate dal nuovo corso socialista, capace di comprendere assai prima del PCI i rischi e i limiti dell'ingovernabilità nonché di comprendere meglio le velocissime trasformazioni sociali che già si stavano compiendo.
Del resto, ove Berlinguer avesse praticato in funzioni di governo una politica economica ispirata alle idee in questione, avrebbe certo trovato enormi difficoltà nello stesso mondo della sinistra; è difficile pensare, ad esempio,  che avrebbe potuto risolvere ogni rapporto con il mondo sindacale con la concertazione (che pure poi in taluni momenti ha dato effettivamente eccellenti risultati)  e non anche con scontri profondi con quel mondo, portatore, per la sua parte, degli "sprechi e parassitismi" che con la teoria dell'austerità si volevano combattere.
Non si vuole, quindi, con questo articolo venerare un leader e nemmeno ipotizzare che la politica di austerità sarebbe stata facilmente praticabile. Si vuole soltanto sottolineare la sorprendente lungimiranza di queste tesi.
Ma forse nemmeno questo. Alla fine, mi viene da pensare che, con questa riflessione, la mia intenzione fosse in realtà quella di ricordare che, talvolta, ad un Paese farebbe bene avere una leadership in grado di usare il coraggio, di saper rischiare, di provare a vedere oltre la logica del "day after day", di saper andare anche contro la propria famiglia di appartenenza; di una leadership politica che non si limiti cioè a godere del gioco politico che vede assai più facile indicare i limiti e le contraddizioni altrui, piuttosto che indicare una propria strada. Di una leadership che non si perda in discussioni ideologiche senza più ideologia, ma sappia profilare anche nuovi ideali. Di una leadership che sappia vedere oltre il limite dell'arco temporale di una legislatura. Che sappia, per usare una metafora abusata ma sempre efficace, saper salire sul treno ancora fermo. Prima che, una volta partito, ci lasci solo la necessità di un'affannosa rincorsa.
Di questo, ovvero di uno come Berlinguer, c'è davvero, insieme, desiderio e nostalgia: a nulla serve nasconderselo.


Per saperne di più
- Fondazione Enrico Berlinguer
- Associazione Enrico Berlinguer
- Enrico Berlinguer, un comunista italiano




1984/2014 Ricordando Berlinguer

Gianpasquale Santomassimo
intervista
Aldo Tortorella

Organizza il Filo Rosso, Associazione di cultura e politica - Firenze

giovedì 29 maggio 2014, ore 21:00
linea tramviaria T1, fermata Talenti

Informazioni: 055.780070, circoloarciisolotto@gmail.com

1 commento:

  1. Dall'opportuno e interessante articolo di Alessio su Berlinguer e "l'austerità" di cui richiama aspetti di evidente attualità, ritaglio, come bieca strumentalizzazione, il suo richiamo alla "Milano da bere", per un appello che mi sento di fare ad una resistenza attiva e anche un pò disperata al nuovo rinascimento della "Firenze da mangiare e da vestire" a cui, sotto Renzi e Dinastia+Pitti+Ferrari+Eaitali+Four Season+ mafiosi russi + cacicchi starricchi dai quattro punti cardinali, sembriamo, con entusiasmo di popolo e di critica, destinati. Tanto da mettere a disposizione, come base logistica, piattaforma di lancio, sgabuzzino per i rifiuti, spazio libero da impacci ambientali, la Piana di Firenze-Castello cancellandone definitivamente il carattere di respiro, di relazione pregiata con le colline, di equilibrio idraulico e territoriale, ecc. Il progetto di un nuovo aeroporto sarebbe il compimento di questa devastazione.

    A voi che siete gente di letture vi potrei proporre di leggervi qualche relazione - c'è anche al mia- del registrato ( più di 200 pagine del convegno dell'8 dic, 2012 su Variante PIT Parco Agricolo della Piana e Aeroporto) reperibile sul sito della Regione, per il tema "devastazione piana", con trascinamento su borghi storici minori ( tra cui Peretola.Brozzi).

    Ma siccome siete anche gente di libri, mi permetto di suggerire ( forse li conoscete già) : "Popolo e Pietre" di Tomaso Montanari) e magari "La città dolente" dell'intramontabile Vezio del Lucia.

    Eriberto

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