A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

domenica 23 marzo 2014

Complessità

a cura di Arnaldo Melloni

Riportiamo l'articolo di fondo del numero di "Internazionale" in edicola questa settimana (21 marzo 2014). Ci pare condivisibile ed in linea con gli intenti di "Ciclostilato in proprio", soprattutto quando parla del "... bisogno di risposte complesse, e persino difficili".

Ripensare a Enrico Berlinguer non significa avere nostalgia di un passato che, per tanti versi, è una fortuna che sia passato. Significa invece ricordare che persone come lui non avevano paura di parlare di cose difficili, non si spaventavano davanti alla complessità. Oggi molti amano scimmiottare la parte peggiore della politica americana, ma fuori contesto.
Fanno il verso alla comunicazione aziendale fintamente spigliata e nascondono dietro una cortina fumogena di slogan una certa povertà di idee. Confondono l’intento, giusto, di prestare attenzione anche alla forma con quello, perverso, di fare attenzione solo alla forma, tralasciando i contenuti e la loro coerenza.
Ma soprattutto scambiano i cittadini per bambini, infantilizzano ogni discorso come se i loro interlocutori fossero incapaci di rimanere attenti per più di cinque minuti. Non capiscono che oggi c’è sempre più bisogno di risposte complesse, e perfino difficili.

Giovanni De Mauro
direttore de "Internazionale"

1 commento:

  1. Il tema della comunicazione politica è sempre stato centrale, in realtà. Basti pensare, solo per citare alcuni esempi, all'importanza attribuita dal regime fascista a certe campagne politico-culturali (quella per il "voi" al posto del "lei", in quanto "residuo del servilismo italiano verso gli invasori stranieri ed espressione di snobismo borghese") o alla cinematografia come "arma più forte" (con la fondazione di Cinecittà e la conseguente produzione agiografica delle virtù italiche); oppure alla campagna elettorale di John Kennedy vinta anche grazie al primo dibattito televisivo della storia (quello con Richard Nixon, 26 settembre 1960) in cui il candidato democratico apparve più sicuro di sé e padrone del mezzo (anche se certamente meno preparato nel merito dei problemi).
    In Italia, tuttavia, dal 1994 si assiste ad un processo di progressiva marginalizzazione dei contenuti (e della loro credibilità) a vantaggio del messaggio in quanto tale. Il trionfo della TV commerciale (e trash) e la più recente diffusione di internet hanno pantografato tale processo. I cultori dell'informatica distribuita e della democraticità di internet dovrebbero riflettere sul fatto che in troppi casi - ormai nella maggior parte dei casi - tra la realtà dei fatti e la loro narrazione/rappresentazione si è determinato un gap insanabile, in cui purtroppo anche internet non gioca un ruolo positivo (stante il moltiplicarsi di materiali da fonti del tutto inattendibili che popolano senza controllo il web).
    Tale fenomeno porta come conseguenza l'estrema semplificazione della comunicazione (fino al "pesce rosso" dell'attuale Presidente del Consiglio), la banalizzazione delle proposte politiche (ormai spesso indistinguibili tra i vari attori in campo), la disconnesione della politica da solidi riferimenti culturali e conoscitivi, il placido adagiarsi sui sondaggi di opinione che determinano scelte politiche basate sul "senso comune" (ma solo occasionalmente per il "bene comune").
    Non mi pare si possa essere molto ottimisti, quando anche nel campo del centro-sinistra ormai si sono sposati gli stessi canoni comunicativi (e non solo!) del centro-destra. Solo una "catastrofe collettiva" potrà risvegliarci da questo questo clima da "sogno" (o da incubo)?

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