A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani
Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.
Aldo Moro
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani
Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.
Aldo Moro
lunedì 18 luglio 2016
sabato 16 aprile 2016
I TRASPORTI FERROVIARI A FIRENZE – RETE AV E REGIONALE
di Angelo Pezzati
La
Torino Milano Bologna Roma Napoli, insieme alla Milano
Venezia, rappresenta senza dubbio l’asse
forte della rete ferroviaria italiana
In meno di 1000
km sui 16.000 della rete FS si muovono quasi il 50 % dei
viaggiatori che usano il treno in Italia.
Sulla stessa direttrice esistono anche, come ben sappiamo, le
strade e autostrade più trafficate con imponenti movimenti di viaggiatori e
merci.
Anche questa è la motivazione che ha determinato la maggiore
crescita delle città e delle regioni circostanti. I traffici sono dovuti alle persone e alle
loro attività, i servizi e le infrastrutture determinano la crescita dei centri
abitati.
Già negli anni ’80 le allora disastrate ferrovie del Paese
iniziarono a parlare di quadruplicare l’asse forte della rete per far fronte
alle necessità di trasporto. Il progetto è stato via via affinato partendo
dagli standard progettuali adottati sulla DD Roma Firenze, studiata per una
velocità di esercizio di 250 km/h, anche
se fino a quel momento non era disponibile una flotta di treni che potessero viaggiare a quella velocità.
Vorrei ricordare a noi italiani, sempre pronti a criticarci, che delegazioni di
tecnici di altre Nazioni d’Europa e del Mondo venivano negli anni ’80 a visitare quella opera ferroviaria per
le sue caratteristiche di modernità.
Il progetto dell’Alta Velocità in Italia è stato poi
perfezionato e realizzato aggiungendo al concetto di Alta Velocità quello di
Alta Capacità.
Superando una erronea opinione che l’alta velocità fosse un
sistema di trasporto di elite, per pochi ricchi, si puntò su un progetto che
prevedesse da un lato modernissime linee con i più elevati standard
prestazionali, dall’altro un frequente livello di servizio, una connessione con
le reti regionali afferenti alle stazioni AV che avrebbero dovuto avere anche
loro un sostanziale miglioramento onde rendere possibile sia un servizio
regionale moderno ma anche la utilizzazione dell’AV anche da parte dei cittadini posti nelle provincie più lontane dal
capoluogo di Regione servito dall’AV. Inoltre i Politici di allora ( fine anni
90 e inizio 2000) volevano che le nuove linee AV e la rete esistente
consentissero un maggior traffico merci su rotaia!!
E, considerato che ora non si
sentono affermare più queste idee e obiettivi, aggiungo che occorre andare
sulla A1, in particolare nelle ore notturne, per capire che ci sarebbe
tantissimo bisogno di trasporto merci su rotaia, naturalmente avendo le
infrastrutture disponibili!!
Con queste linee
programmatiche e progettuali le FS ,
insieme alle Imprese, hanno realizzato la nuova linea AV/AC TO-MI-NA ,
attivando le varie tratte , salvo alcuni elementi puntuali, negli anni
2008/2010.
A fine 2010
rimanevano alcune opere da realizzare ad esempio la stazione di BO e quella di
Firenze, che avevano, sia dal lato
progettuale BO come Firenze , un
posizionamento a oltre 20 m
sotto il piano di campagna e al centro di una tratta in sotterranea sotto la
città.
Bologna è stata aperta all’esercizio commerciale, ovvero al
servizio viaggiatori, il 09/06/2013.
Per Bologna preme mettere in evidenza che le
Ferrovie, insieme al Comune e Provincia di Bologna e la Regione Emilia
Romagna hanno per anni lavorato per facilitare la realizzazione dell’opera, per
spostare in aree limitrofe alla stazione funzioni pubbliche e private di forte
concentrazione di persone, per “cucire” un servizio di trasporto regionale e
metropolitano aventi la stazione FS come fulcro.
E’ulteriore testimonianza di ciò lo studio effettuato
dalla Regione Emilia Romagna per un
ulteriore potenziamento dei servizi su ferro avente fulcro in Bologna Centrale,
sviluppato a partire dal 2014..
Amministrazioni attente e impegnate a costruire che, insieme
ad adeguare la rete viaria trafficatissima, vedono il servizio ferroviario come sistema di
risoluzione della mobilità.
La stazione, semplice ma funzionale, sta assolvendo
magnificamente alle sue funzioni e ha consentito una ricucitura della città.
Non è stato tutto oro quello
che è avvenuto ma sempre c’è stata la convinzione dell’opera da realizzare
anche se le Amministrazioni hanno cercato di migliorare il progetto e ottenere
vantaggi per la città.
Tutti oggi possono vedere
l’opera d’Arte, ma soprattutto possono usufruire di una moderna stazione che consente
di collegare oggi Firenze SMN in 35 minuti ( meno del tempo necessario, con un
bus, per collegare Firenze SMN con i
quartieri fuori le mura della città!!),
Milano in 1ora!!
Una piccola considerazione : quanto poco i “media” mettono
in risalto le opere positive per la crescita , mentre tanto le disgrazie e le
miserie di ogni giorno!!.
Il passante di Bologna è stato
avviato insieme a quello di Firenze, anche Bologna ha avuto ritardi, non per il
passante vero e proprio completato e attivato alla circolazione un anno prima
della stazione, ma per la stazione AV che ha incontrato alcune problematiche
che ne hanno allungato i tempi.
Occorre sottolineare
l’importanza dell’opera da un punto di vista: urbanistico, ferroviario
trasporti stico, ingegneristico, architettonico!!!!!!!!!!!!
Pur nella sua linearità
essenziale la stazione rappresenta una di quelle opere ingegneristiche che sono
pietre miliari nello sviluppo delle ferrovie e riferimento della città.
Spesso
i comitati No TAV parlano di tanti danni ai fabbricati provocati dall’AV:
Niente di più falso! Nessun fabbricato lungo il percorso degli 8 km dei 2 tunnel interrati
paralleli ha subito danni!!
Ci
sono state alcune lesioni a fabbricati limitrofi al cassone della stazione ,
molto più grande e profonda di quella di Firenze, a causa dei tiranti di
ancoraggio dei diaframmi che sono stati spinti fin sotto alcune case limitrofe.
Le lesioni sono state riparate senza provocare nessun danno a persone e i danni
sono stati rifusi con soddisfazione
degli interessati. Tutti i Bolognesi, anzi tutti gli abitanti dell’Emilia
Romagna, sono molto contenti della nuova linea AV.
Ma è soprattutto il
miglioramento nei collegamenti nazionali, regionali e cittadini da mettere in
evidenza con conseguente ricaduta positiva sull’economia.
La Regione Emilia Romagna anche in questo caso si dimostra positiva e
pronta a sfruttare opportunità di sviluppo che si riflettono poi molto
positivamente sui livelli di ricchezza e occupazionali.
… e FIRENZE?
Il progetto del passante AV è
stato rallentato da molti soggetti : - alcuni settori delle Ferrovie, dalla Regione Toscana, con ritardi
autorizzativi ambientali e di gestione delle terre che non sono ancora
superati, dal Comune di Firenze che ha chiesto modifiche al progetto , dall’Arpat,
dall’Asl , e dalla Magistratura che poteva contestare persone che venivano indagate per aver commesso ( ciò è in corso di
accertamento) infrazioni alle leggi ma
ha anche ritenuto di sequestrare
cantieri, determinando la interruzione dei lavori. La fermata dei lavori
costa molte decine di milioni e nessuno
paga per questi errori.
E’ stata inoltre presa la
decisione incomprensibile di non realizzare la fermata di Circondaria,
posizionata sopra la stazione Belfiore , prevista per l’interscambio con i
treni regionali provenienti o diretti verso Arezzo, Pistoia, Pisa e Siena oltre
Firenze SMN.
Il blocco dei cantieri ha
determinato la messa in cassa integrazione di varie centinaia di lavoratori,
fallimenti e ristrutturazioni
societarie e naturalmente ritardi nell’esecuzione delle opere.
Fino ad oggi FS ha speso alcune
centinaia di milioni di Euro per opere cosiddette compensative per la città, ed
inoltre sono state spese altre centinaia
di milioni per progetti, per espropri, per avvio dei lavori e, con il blocco
dei cantieri, si sono determinate le condizioni per dover riconoscere molte
decine di milioni Euro per i danni conseguenti alla forzata sospensione dei
lavori, alla sostituzione della fresa, ecc, ecc.
L’attivazione della stazione AV
di Bologna nel 2013 è già lontana, ma ancora più lontana è la data della
possibile attivazione della linea e stazione AV a Firenze.
FS insieme a Regione Toscana e
Amministrazioni locali hanno a suo tempo deciso che il progetto AV fosse
accompagnato da un potenziamento delle
linee regionali allo scopo di rendere la stazione AV strettamente
interconnessa con tutte le città della
Toscana; così la linea Firenze Prato, la Firenze Empoli, la Empoli Siena Chiusi,
il nodo di PI e Livorno, la riattivazione della Faentina ecc, sono state
profondamente potenziate e ammodernate
con investimenti realizzati dal 3/3/1999 ( data della Conferenza dei Servizi
nella quale è stata deciso l’attraversamento AV e la nuova stazione AV di
Firenze) per oltre 2 miliardi di Euro!, ovvero oltre il doppio del costo del
sottoattraversamento AV di Firenze.
Questi investimenti hanno
consentito di aumentare in maniera significativa il numero dei treni ed aumentare i viaggiatori regionali da
130.000/giorno a quasi 300.000/giorno.
Oggi ci si chiede se sia ancora
attuale questo progetto o si possa risparmiare i 900/1000 milioni oggi
necessari considerati gli extracosti dovuti alla sosta dei cantieri.
Intanto preme far presente che
tale somma è messa a disposizione dalle FS ( ovvero a carico del suo bilancio)
e non dal Governo. Pertanto il risparmio se si facesse gioverebbe alle casse di
.FS e non a quelle dello Stato!
Facciamo alcune considerazioni sui vantaggi e svantaggi di un
cambiamento di decisione ( assunta da tutte le Amministrazioni Regione,
Provincia, Comune di Firenze, oltre altre Provincie e Comuni) rispetto a quella
assunta nel ’99 e faticosamente portata
avanti.
Per prima cosa ovviamente le
opere ferroviarie si fanno o si dovrebbero fare per soddisfare esigenze di
trasporto.
Il sottoattraversamento AV/AC di Firenze è ancora ad oggi attuale e necessario se si
vogliono perseguire i seguenti obiettivi:
-
Sviluppare il
traffico ferroviario regionale, ( Prato, Pistoia, Empoli, Siena, Firenze
chiedono una intensificazione dei collegamenti con Firenze riducendo gli
intervalli fra un treno e l’altro a 10’,
ovvero inferiori a quelli di varie linee di bus cittadini),
-
Sviluppare il
traffico merci sulla rete ferroviaria italiana e quindi consentire a 80 treni merci al giorno di
correre sulla Bologna Roma , consentendo la eliminazione di 1500 autotreni / giorno che percorrono la A1 ( una piccola percentuale
degli autotreni che percorrono giornalmente la A1,
-
Non aumentare il
trasporto pubblico e privato su gomma di lavoratori che provengono dalle
aree limitrofe verso Firenze,
-
Migliorare il
collegamento ferroviario fra i due aeroporti di Firenze e Pisa, che molto
opportunamente si è previsto di integrare fra loro per offrire agli utenti un
miglior servizio,
-
Rendere possibile
un servizio metropolitano nel territorio fiorentino integrando il previsto
sistema delle tranvie ( che al momento è limitato alla Linea 1 attivata oltre 7
anni fa ),
-
Diminuire
l’inquinamento atmosferico che provoca danni alla nostra salute aumentando le
morti per cause respiratorie dovute al frequente superamento dei limiti delle
polveri sottili.
Il sottoattraversamento AV
della città di Firenze risulta necessario se si vuole aumentare il numero dei
treni nord sud e est ovest. Nel 1999
all’approvazione del progetto i treni che attraversavano il territorio
fiorentino erano 280 verso sud, 250 verso nord e 128 verso Pisa e Siena. Tali treni si prevede vengano incrementati fino a 440
verso sud, 430 verso nord, 180 verso Pisa e Siena!! Quasi il raddoppio dei
convogli ( e non solo treni AV/AC ma
anche treni regionali e metropolitani).
Alcuni sostengono che si possa
raddoppiare il tratto di linea di cintura fra Firenze Campo Marte e Firenze
Rifredi.
Qualsiasi esperto di trasporti
ferroviari può dimostrare che non è possibile ottenere lo stesso incremento di
numero di treni teorici con 2 nuovi binari di superficie CM – Rifredi rispetto
a quello ottenibile con il sottoattraversamento AV che consente ai 2 nuovi
binari di correre senza interferenze con quelli esistenti.
Comunque un cambiamento di
scelte progettuali determinerebbe la
necessità di iniziare tutto nuovamente da capo : progetto, iter
approvativo, ecc ecc. Passerebbero anni : storie che probabilmente si
ripeterebbero, contrasti, difficoltà!,
Firenze è la città dei progetti , ma non quella delle realizzazioni
! Dal ’96 anno in cui si è avviato
questo progetto all’appalto sono passati oltre 11 anni! Qualcuno è convinto che
un nuovo progetto richiederebbe minor tempo? Pensiamo forse che demolire decine
di fabbricati fra CM e Rifredi e sbancare una collina in corrispondenza
dell’attuale galleria del Pellegrino sarebbe accettato senza la nascita di un
altro comitato, di problemi di carattere ambientale, ecc ecc?
Perché il progetto avviato non
sta andando velocemente avanti come avvenuto a Bologna o in altre parti del
Paese e all’estero?
Possibile non si riesca a
realizzare una galleria? Due gallerie affiancate a semplice binario realizzate
con lo scudo di macchinari collaudati in tutto il Mondo, realizzate sotto i
viali, salvo un piccolissimo tratto, non determinano rilascio dei terreni e
cedimenti dei fabbricati circostanti. Le esperienze dimostrano che si possa
essere tranquilli. Certamente determinano minor impatto della ipotizzata
galleria tranviaria a 2 binari sotto il centro storico.
Considerato che la nuova ditta,
subentrata a quelle fallite, ha istallato una nuova fresa nuova, onde evitare
le problematiche fatte presente dai PM su quella istallata da SELI, possibile
non si riesca a risolvere il problema delle terre da scavo che non sono
certamente inquinate, prima di essere oggetto di lavorazione? Le analoghe terre di scavo sotto Bologna non
erano inquinate e il loro trasporto in una località di deposito e il loro riutilizzo è stato autorizzato senza problemi
dalla Regione Emilia Romagna! Comunque allo scopo di fare la campionatura si
sono realizzate enormi aree coperte a Santa Barbara( con costi di vari
milioni!!), quindi si potrà fare una verifica puntuale in corso d’opera,
mettendo insieme controllori seri e obiettivi.
Le accuse di non idoneità dei
rivestimenti delle gallerie o della fresa non sono stati in oltre 3 anni dimostrati anzi le indiscrezioni
trapelate fanno prevedere il contrario!
Allora tutti i motivi di fermo
cantiere sembrano infondati o superati o dettati dalla volontà di tanti
soggetti di rallentare questo progetto
finanziato con i denari di FS e approvato da TUTTI gli Enti Territoriali
dopo un lungo e democratico percorso autorizzativo.
Concludendo:
-
L’incremento di
traffico ferroviario a livello metropolitano, regionale, nazionale richiede la
realizzazione della nuova linea AV di collegamento fra la Firenze Bologna e
Firenze Roma;
-
Occorre
realizzare il tunnel, la stazione Foster e la stazione Circondaria, posta sopra
alla Foster per consentire l’interscambio con i treni regionali,
-
Occorre definire
le problematiche ancora sul tappeto, risolverle velocemente, ritenendo
inammissibile che a Firenze non si riesca a realizzare una galleria come in
tutte le altre città del Mondo compreso la vicina Bologna,
-
Occorre che i
Politici a partire dal Presidente del Consiglio, che come Presidente della
Provincia approvò il progetto, i responsabili di tutte le Amministrazioni
Regionali interessate e le Ferrovie definiscano le questioni operative da
risolvere , mettendo intelligenza e disponibilità, e si impegnino a farlo, ( suggerirei un
metodo di lavoro insegnatomi e fatto proprio nella mia vita professione: non
andare a dormire fintantoché non si è completato il lavoro assegnato),
-
Gli
Amministratori vigilino con propri qualificati rappresentanti l’esecuzione
corretta delle opere,
-
Si impegnino
insieme a portare a termine una delle più importanti opere oggi sul tappeto a
livello Nazionale.
Si ritiene, infine , che solo
con la volontà decisa dei vari soggetti responsabili si possa realizzare il
progetto, consapevoli che tutti sono capaci a trovare ostacoli e far prosperare
la Burocrazia
e le false spese procurando l’ aumento dei costi e dei tempi dei lavori.
martedì 12 aprile 2016
Carta delle Nazioni Unite e armi nucleari
di Alessandro Pascolini
Dipartimento di fisica e astronomia Galileo Galilei
Centro d’ateneo per i diritti umani
Università di Padova
Nella Carta
delle Nazioni Unite non vi è alcun riferimento esplicito alle armi nucleari, ma la
loro esistenza e la recente distruzione di Hiroshima e Nagasaki incombevano
sugli estensori della Carta. E certamente a tali armi anzitutto ci si riferisce al punto
4 dell’articolo 2 quando si proibisce la minaccia dell’uso della forza e al punto 1
dell’articolo 11 in cui si affida all’Assemblea Generale il compito di considerare i
principi governanti il disarmo e la regolamentazione degli armamenti.
Di fatto, la primissima
risoluzione dell’Assemblea Generale, il 24 gennaio 1946, riguarda
appunto la creazione di una “Commissione allo scopo di affrontare i problemi
generati dalla scoperta dell’energia atomica”. In particolare si richiedeva alla
Commissione di procedere con la massima celerità a esaminare tutti gli aspetti del problema e
a fornire proposte specifiche per:
a. estendere a
tutte le nazioni lo scambio delle informazioni scientifiche di base, a
scopi pacifici
b. controllare
l’energia atomica per assicurarne l’impiego per soli scopi pacifici
c. eliminare le
armi nucleari dagli arsenali nazionali
d. creare
salvaguardie efficaci per garantire la protezione degli stati da evasioni o
violazioni.
Proprio in
vista dei lavori della Commissione, nel gennaio 1946 Dean Acheson,
sottosegretario del Dipartimento di stato americano, costituì un gruppo di
cinque esperti per studiare gli aspetti internazionali dell’energia nucleare, con
la direzione di David Lilienthal e la partecipazione di Robert Oppenheimer,
che dominò i lavori del gruppo portandovi le analisi razionali del problema
elaborate dalla comunità scientifica l’anno precedente.
Il comitato
concluse[1] che un disarmo nucleare
era impossibile se ogni paese fosse libero di
sviluppare un proprio programma per applicazioni civili dell’energia nucleare e che
quindi non si poteva costruire la sicurezza universale dalla guerra nucleare
basandosi solo su controlli e ispezioni internazionali (quali allora
concepibili). La soluzione proposta distingueva fra le attività critiche per lo sviluppo di
armi da quelle che non pongono rischi significativi e permettono un facile
controllo. Le prime avrebbero dovute venir assegnate a un’agenzia internazionale
indipendente (Atomic Development Authority−ADA), concepita un po’ come una
multinazionale, cui trasferire la proprietà di tutti i giacimenti di uranio e torio, di tutti
gli impianti industriali di produzione e arricchimento dei materiali fissili, nonché
dei laboratori di ricerca per lo sviluppo scientifico e tecnologico nel settore
nucleare; l’ADA avrebbe quindi fornito ai singoli centri scientifici o industriali dei
vari paesi i materiali fissili per gli usi civili, sottoponendoli a rigorose ispezioni. Alla
creazione dell’ADA, tutte le armi esistenti dovevano venir distrutte. La commissione
dell’ONU, come noto, non riuscì a raggiungere i suoi scopi, per la volontà
americana di mantenere il monopolio nucleare più a lungo possibile e per la
determinazione sovietica di acquisire al più presto l’arma nucleare, deludendo così le
aspettative e segnando il primo di una lunga serie di fallimenti per il disarmo nucleare.
Un’eco
significativa dell’Acheson-Lilienthal Report si ritrova nella proposta
del presidente John
Fitzgerald Kennedy presentata il 18 aprile 1962 a Ginevra per un trattato di
disarmo generale da completarsi in tre stadi. […] Anche se la successiva crisi
di Cuba vanificò la prospettiva di disarmo, molti dei principi e concetti
espressi nella proposta del 1962 entrarono definitivamente nel linguaggio e
nella prassi dei successivi
rapporti negoziali.
A Mikhail
Gorbaciov è dovuto il successivo serio progetto di disarmo nucleare: il 15 gennaio 1986
lanciò l’audace proposta di un programma concreto per l’abolizione delle armi
nucleari entro il 2000, articolato in tre fasi:
1. USA e URSS
dimezzano il numero delle armi nucleari che possono raggiungere il
territorio
dell’altro paese e adottano un accordo per liberare l’Europa dai missili a medio raggio;
Francia e UK si impegnano a non accrescere i loro arsenali;
2a. le altre potenze
nucleari si uniscono al processo; USA e URSS eliminano tutte le forze nucleari
a medio raggio e congelano i sistemi tattici;
2b. dopo che
USA e URSS hanno dimezzato i loro armamenti, tutte le potenze nucleari
eliminano le loro armi tattiche; i test nucleari cessano ovunque;
3. eliminazione
di tutte le armi nucleari entro la fine del 1999, con un accordo universale per
il bando definitivo delle armi atomiche, con speciali procedure per la distruzione dei
vettori; creazione di un sistema internazionale di stretta verifica del rispetto del
disarmo e del bando di produzione di nuove armi nucleari.
[…] Nel summit
di Reykjavik (11-12 ottobre 1986) Reagan e Gorbaciov concordarono che “una
guerra nucleare non poteva essere vinta e pertanto non doveva mai essere
combattuta” e, proseguendo nei colloqui, Reagan accettò la proposta di una
totale eliminazione delle armi nucleari e di affidare “alla nostra gente a
Ginevra di preparare una bozza di trattato con questo obiettivo”. Il loro
incontro segna di fatto l’inizio di rapide e sostanziali diminuzioni nel numero
delle armi nucleari, che allora aveva raggiunto il mostruoso numero di oltre 60
mila.
Tuttavia Reagan
volle conservare lo sviluppo della sua Strategic Defense Initiative
anche oltre
alla fase di ricerca, superando i vincoli posti dal trattato ABM, che invece
Gorbaciov
intendeva conservare, considerandolo indispensabile per la stabilità dell’equilibrio
strategico, e il progetto di disarmo totale si arenò.
Così oggi ci
troviamo ancora con circa 16 mila armi nucleari (di cui 1800 pronte a essere lanciate
nel giro di qualche minuto) appartenenti a 10 diversi paesi.[2] Vi sono
inoltre enormi
quantità di materiale fissile esplosivo, non tutto adeguatamente protetto: 1400
t di uranio altamente arricchito (HUE) e 500 t di plutonio, in continua crescita.[3] Tenuto conto che una bomba
tipicamente contiene 15-25 kg di HUE e 3-4 kg di plutonio,
le scorte esistenti sono sufficienti per produrre oltre 150 mila bombe.
La situazione è
particolarmente grave, in particolare poiché tutte le attuali potenze
nucleari e i paesi della NATO sono intenti a modernizzare e sviluppare le proprie forze
nucleari e intesi a conservarle per tempi indefiniti.
[…] Anche in
questa situazione di sostanziale anarchia internazionale, di profonde
contrapposizioni
politiche e di violenti conflitti fra, e dentro, troppi paesi, la peculiarità
delle armi nucleari e la loro irrilevanza per il confronto armato rendono comunque
possibile e praticabile il disarmo nucleare totale, come ci ha magistralmente
spiegato Hans Morgenthau[4]: “Il disarmo nucleare è
totalmente differente dal
disarmo delle armi convenzionali. Infatti la dinamica che caratterizza l’equilibrio militare
convenzionale nelle politiche di potenza delle nazioni non si applica alle
armi nucleari. Un’arma nucleare non è un’arma nel senso semantico convenzionale.
Non è un mezzo razionale per un fine razionale. È uno strumento di distruzione
illimitata e universale, per cui la minaccia o l’attualizzazione di una guerra nucleare
non è uno strumento razionale di politica nazionale poiché è uno strumento di
suicidio e genocidio.”[…]
Negoziati sul
controllo degli armamenti nucleari e per la loro eliminazione possono (e
devono) quindi venir condotti disaccoppiandoli dal contesto dei conflitti e
contrapposizioni in corso, sono un capitolo a parte delle relazioni
internazionali.
L’eliminazione
delle armi nucleari garantisce la sicurezza globale, dissolvendo lo spettro che da
troppo tempo incombe su tutta l’umanità; ma rafforza anche la stessa
sicurezza delle
attuali potenze nucleari.
[…] Il disarmo
delle forze nucleari e dei materiali fissili esplosivi elimina i pericoli
dovuti a incidenti, malfunzionamenti e falsi allarmi, lanci accidentali o non
autorizzati di missili, garantisce il blocco della proliferazione di tali armi,
annulla il rischio di terrorismo nucleare, libera le potenze nucleari da enormi
e sterili spese, costringe a ripensare in termini più razionali le basi della
sicurezza nazionale e internazionale, che non può ridursi agli aspetti militari
e a rapporti di forza.
Il disarmo
nucleare rafforza l’ONU e i suoi programmi di pace e contribuisce a rendere
concreto un fondamentale punto del preambolo della Carta, che appunto mira anche a
garantire “uguali diritti per le nazioni grandi e piccole”, principio attualmente
vanificato anche nel Trattato di non proliferazione (NPT) con la grave asimmetria di
diritti e doveri fra le cinque potenze nucleari riconosciute e tutti gli altri paesi
membri. Disparità sempre meno accettata, tanto da essere stata la principale
causa del fallimento dell’ultima conferenza di revisione del trattato, la primavera
scorsa.
La transizione
dal mondo attuale in uno libero dalle armi nucleari è un processo estremamente
delicato e pone molte problematiche tecniche e politiche, che
numerose
istituzioni e centri di ricerca internazionali stanno affrontando. Le prime fasi del
processo di disarmo sono abbastanza chiare, finalizzate a una drastica riduzione delle
forze americane e russe, con una precisa ridefinizione della politica strategica dei
due paesi a minimizzare il ruolo di tali armi per la sicurezza nazionale, garantendo
l’equilibrio globale del sistema.
Estremamente
più delicati sono i passi ulteriori, per evitare i rischi dovuti a potenziali
nuovi programmi nucleari occulti, instaurare nuove forme di dissuasione di conflitti
armati, individuare mezzi di controllo e garanzie adeguati alla nuova dimensione del
problema della salvaguardie, preservare l’equilibrio internazionale in presenza
delle potenziali instabilità dei “piccoli numeri”, evitare il pericolo di una corsa agli
armamenti convenzionali e la diffusione di un regime internazionale di sospetto
reciproco sulle residue potenzialità nucleari militari, esprimibili, per esempio, sui
tempi necessari alla produzione di armi in caso di situazioni critiche o conflitti.
Il clima di
collaborazione russo-americana nel primo decennio del nuovo secolo aveva aperto la
prospettiva di un approccio razionale e concreto alla questione nucleare,
culminata con la dichiarazione congiunta dei presidenti Dmitry Medvedev e Barak Obama
il primo aprile 2009 a Londra: “Noi impegniamo i nostri due paesi a raggiungere
un mondo libero da armi nucleari, pur riconoscendo che questo obiettivo a
lungo termine richiederà una nuova enfasi sul controllo degli armamenti e su misure per
la risoluzione dei conflitti, e il pieno adempimento di tutte le nazioni interessate”.
Impegno che ha portato alla firma (Praga, 8 aprile 2010 ) del nuovo trattato Treaty between the United States of
America and the Russian Federation on measures for
further reduction and limitation of strategic offensive arms (New START), che, accanto a un piano di
riduzioni decennale, prevede lo sviluppo di un processo di riduzione
progressiva di ogni specie di armi nucleari, coinvolgendo nelle fasi successive
anche altri paesi.
L’impegno di
mirare all’eliminazione delle armi nucleari venne accolto formalmente da
tutte le parti del NPT (28 maggio 2010) quale prima fra le “azioni” da sviluppare
concretamente a partire dal 2010, ed espressamente condiviso dalle altre potenze
nucleari (risoluzione 1887 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, 24 settembre 2009,
in cui si proclama l’impegno per “un mondo senza armi nucleari”), e in
dichiarazioni politiche anche da India, Israele, Pakistan e Corea del Nord. […]
Questi
ultimissimi anni sembrano chiudere questa finestra di razionalità, rimettendo in
discussione l’obiettivo del disarmo nucleare, con il raffreddamento degli sviluppi
del New START, il potenziamento delle capacità nucleari delle attuali potenze
nucleari, la conservazione delle strutture di produzione di materiali fissili militari e
l’ambiguità mantenuta da alcuni paesi sulla consistenza delle proprie strutture
e forze nucleari.
Accanto
all’approccio razionale, e a suo complemento, occorre anche dare spazio alle emozioni e
al rifiuto morale delle armi nucleari basato su motivi umanitari, dato che il loro
impiego viola i principi fondamentali del diritto umanitario individuati dalla
giurisprudenza internazionale nel suo sviluppo dalla metà dell’ottocento: il principio della
necessità militare, il principio di distinzione, il principio di proporzionalità
e il principio di umanità.
La strada verso
un mondo libero da armi nucleari si annuncia ancora molto lunga e irta di
ostacoli, con il rischio continuo di rallentamenti, fermate e deviazioni di percorso,
anche perché sarà necessaria la costruzione di nuovo sistema di relazioni
internazionali e l’instaurazione di nuovi concetti di sicurezza nazionale, come
immediatamente compreso da Albert Einstein: “La prima bomba atomica ha distrutto ben
più che la città di Hiroshima. Ha fatto esplodere le nostre superate idee politiche,
quali le abbiamo ereditate”. “Come abbiamo cambiato il nostro modo di pensare nel
mondo della scienza pura per abbracciare concetti più nuovi ed utili, così dobbiamo
cambiare il nostro modo di pensare nel mondo della politica. È troppo tardi
per commettere errori”.
[1] Acheson-Lilienthal Report, 1946, A
Report on the International Control of Atomic Energy, prepared for
the
Secretary of State's Committee on Atomic Energy (The
Acheson-Lilienthal Report, Washington, D.C.,
March 16, 1946), Doubleday, New York
[2] Per una stima delle attuali
forze nucleari mondiali vedi Status of world nuclear forces, Federation
of
Atomic Scientists, September 28, 2015,
disponibile sul sito www.fas.org/issues/nuclearweapons/
status-world-nuclear-forces
[3] International Panel on Fissile Materials,
2013, Global Fissile Material Report 2013: Increasing
Transparency
of Nuclear Warhead and Fissile Material Stocks as a Step toward Disarmament, IPFM,
Princeton;
International Panel on Fissile Materials, 2015, Plutonium Separation in
Nuclear Power
Programs. Status, Problems, and Prospects of Civilian Reprocessing
Around the World, IPFM, Princeton
[4] H. Morgenthau, 1972, The fallacy of
thinking conventionally about nuclear weapons, in D. Carlton and
C.
Schaerf (eds), 1977, Arms control and technological innovation, Croom
Helm, Londra, pp. 256-64.
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