A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

martedì 12 aprile 2016

Carta delle Nazioni Unite e armi nucleari

di Alessandro Pascolini 


Dipartimento di fisica e astronomia Galileo Galilei
Centro d’ateneo per i diritti umani

Università di Padova

Nella Carta delle Nazioni Unite non vi è alcun riferimento esplicito alle armi nucleari, ma la loro esistenza e la recente distruzione di Hiroshima e Nagasaki incombevano sugli estensori della Carta. E certamente a tali armi anzitutto ci si riferisce al punto 4 dell’articolo 2 quando si proibisce la minaccia dell’uso della forza e al punto 1 dell’articolo 11 in cui si affida all’Assemblea Generale il compito di considerare i principi governanti il disarmo e la regolamentazione degli armamenti.
Di fatto, la primissima risoluzione dell’Assemblea Generale, il 24 gennaio 1946, riguarda appunto la creazione di una “Commissione allo scopo di affrontare i problemi generati dalla scoperta dell’energia atomica”. In particolare si richiedeva alla Commissione di procedere con la massima celerità a esaminare tutti gli aspetti del problema e a fornire proposte specifiche per:
a. estendere a tutte le nazioni lo scambio delle informazioni scientifiche di base, a
scopi pacifici
b. controllare l’energia atomica per assicurarne l’impiego per soli scopi pacifici
c. eliminare le armi nucleari dagli arsenali nazionali
d. creare salvaguardie efficaci per garantire la protezione degli stati da evasioni o
violazioni.

Proprio in vista dei lavori della Commissione, nel gennaio 1946 Dean Acheson, sottosegretario del Dipartimento di stato americano, costituì un gruppo di cinque esperti per studiare gli aspetti internazionali dell’energia nucleare, con la direzione di David Lilienthal e la partecipazione di Robert Oppenheimer, che dominò i lavori del gruppo portandovi le analisi razionali del problema elaborate dalla comunità scientifica l’anno precedente.
Il comitato concluse[1] che un disarmo nucleare era impossibile se ogni paese fosse libero di sviluppare un proprio programma per applicazioni civili dell’energia nucleare e che quindi non si poteva costruire la sicurezza universale dalla guerra nucleare basandosi solo su controlli e ispezioni internazionali (quali allora concepibili). La soluzione proposta distingueva fra le attività critiche per lo sviluppo di armi da quelle che non pongono rischi significativi e permettono un facile controllo. Le prime avrebbero dovute venir assegnate a un’agenzia internazionale indipendente (Atomic Development Authority−ADA), concepita un po’ come una multinazionale, cui trasferire la proprietà di tutti i giacimenti di uranio e torio, di tutti gli impianti industriali di produzione e arricchimento dei materiali fissili, nonché dei laboratori di ricerca per lo sviluppo scientifico e tecnologico nel settore nucleare; l’ADA avrebbe quindi fornito ai singoli centri scientifici o industriali dei vari paesi i materiali fissili per gli usi civili, sottoponendoli a rigorose ispezioni. Alla creazione dell’ADA, tutte le armi esistenti dovevano venir distrutte. La commissione dell’ONU, come noto, non riuscì a raggiungere i suoi scopi, per la volontà americana di mantenere il monopolio nucleare più a lungo possibile e per la determinazione sovietica di acquisire al più presto l’arma nucleare, deludendo così le aspettative e segnando il primo di una lunga serie di fallimenti per il disarmo nucleare.

Un’eco significativa dell’Acheson-Lilienthal Report si ritrova nella proposta del presidente John Fitzgerald Kennedy presentata il 18 aprile 1962 a Ginevra per un trattato di disarmo generale da completarsi in tre stadi. […] Anche se la successiva crisi di Cuba vanificò la prospettiva di disarmo, molti dei principi e concetti espressi nella proposta del 1962 entrarono definitivamente nel linguaggio e nella prassi dei successivi rapporti negoziali.
A Mikhail Gorbaciov è dovuto il successivo serio progetto di disarmo nucleare: il 15 gennaio 1986 lanciò l’audace proposta di un programma concreto per l’abolizione delle armi nucleari entro il 2000, articolato in tre fasi:
1. USA e URSS dimezzano il numero delle armi nucleari che possono raggiungere il
territorio dell’altro paese e adottano un accordo per liberare l’Europa dai missili a medio raggio; Francia e UK si impegnano a non accrescere i loro arsenali;
2a. le altre potenze nucleari si uniscono al processo; USA e URSS eliminano tutte le forze nucleari a medio raggio e congelano i sistemi tattici;
2b. dopo che USA e URSS hanno dimezzato i loro armamenti, tutte le potenze nucleari eliminano le loro armi tattiche; i test nucleari cessano ovunque;
3. eliminazione di tutte le armi nucleari entro la fine del 1999, con un accordo universale per il bando definitivo delle armi atomiche, con speciali procedure per la distruzione dei vettori; creazione di un sistema internazionale di stretta verifica del rispetto del disarmo e del bando di produzione di nuove armi nucleari.

[…] Nel summit di Reykjavik (11-12 ottobre 1986) Reagan e Gorbaciov concordarono che “una guerra nucleare non poteva essere vinta e pertanto non doveva mai essere combattuta” e, proseguendo nei colloqui, Reagan accettò la proposta di una totale eliminazione delle armi nucleari e di affidare “alla nostra gente a Ginevra di preparare una bozza di trattato con questo obiettivo”. Il loro incontro segna di fatto l’inizio di rapide e sostanziali diminuzioni nel numero delle armi nucleari, che allora aveva raggiunto il mostruoso numero di oltre 60 mila.
Tuttavia Reagan volle conservare lo sviluppo della sua Strategic Defense Initiative
anche oltre alla fase di ricerca, superando i vincoli posti dal trattato ABM, che invece
Gorbaciov intendeva conservare, considerandolo indispensabile per la stabilità dell’equilibrio strategico, e il progetto di disarmo totale si arenò.
Così oggi ci troviamo ancora con circa 16 mila armi nucleari (di cui 1800 pronte a essere lanciate nel giro di qualche minuto) appartenenti a 10 diversi paesi.[2] Vi sono
inoltre enormi quantità di materiale fissile esplosivo, non tutto adeguatamente protetto: 1400 t di uranio altamente arricchito (HUE) e 500 t di plutonio, in continua crescita.[3] Tenuto conto che una bomba tipicamente contiene 15-25 kg di HUE e 3-4 kg di plutonio, le scorte esistenti sono sufficienti per produrre oltre 150 mila bombe. 
La situazione è particolarmente grave, in particolare poiché tutte le attuali potenze nucleari e i paesi della NATO sono intenti a modernizzare e sviluppare le proprie forze nucleari e intesi a conservarle per tempi indefiniti.

[…] Anche in questa situazione di sostanziale anarchia internazionale, di profonde
contrapposizioni politiche e di violenti conflitti fra, e dentro, troppi paesi, la peculiarità delle armi nucleari e la loro irrilevanza per il confronto armato rendono comunque possibile e praticabile il disarmo nucleare totale, come ci ha magistralmente spiegato Hans Morgenthau[4]: “Il disarmo nucleare è totalmente differente dal disarmo delle armi convenzionali. Infatti la dinamica che caratterizza l’equilibrio militare convenzionale nelle politiche di potenza delle nazioni non si applica alle armi nucleari. Un’arma nucleare non è un’arma nel senso semantico convenzionale. Non è un mezzo razionale per un fine razionale. È uno strumento di distruzione illimitata e universale, per cui la minaccia o l’attualizzazione di una guerra nucleare non è uno strumento razionale di politica nazionale poiché è uno strumento di suicidio e genocidio.”[…]
Negoziati sul controllo degli armamenti nucleari e per la loro eliminazione possono (e devono) quindi venir condotti disaccoppiandoli dal contesto dei conflitti e contrapposizioni in corso, sono un capitolo a parte delle relazioni internazionali.
L’eliminazione delle armi nucleari garantisce la sicurezza globale, dissolvendo lo spettro che da troppo tempo incombe su tutta l’umanità; ma rafforza anche la stessa
sicurezza delle attuali potenze nucleari.
[…] Il disarmo delle forze nucleari e dei materiali fissili esplosivi elimina i pericoli dovuti a incidenti, malfunzionamenti e falsi allarmi, lanci accidentali o non autorizzati di missili, garantisce il blocco della proliferazione di tali armi, annulla il rischio di terrorismo nucleare, libera le potenze nucleari da enormi e sterili spese, costringe a ripensare in termini più razionali le basi della sicurezza nazionale e internazionale, che non può ridursi agli aspetti militari e a rapporti di forza.
Il disarmo nucleare rafforza l’ONU e i suoi programmi di pace e contribuisce a rendere concreto un fondamentale punto del preambolo della Carta, che appunto mira anche a garantire “uguali diritti per le nazioni grandi e piccole”, principio attualmente vanificato anche nel Trattato di non proliferazione (NPT) con la grave asimmetria di diritti e doveri fra le cinque potenze nucleari riconosciute e tutti gli altri paesi membri. Disparità sempre meno accettata, tanto da essere stata la principale causa del fallimento dell’ultima conferenza di revisione del trattato, la primavera scorsa.
La transizione dal mondo attuale in uno libero dalle armi nucleari è un processo estremamente delicato e pone molte problematiche tecniche e politiche, che
numerose istituzioni e centri di ricerca internazionali stanno affrontando. Le prime fasi del processo di disarmo sono abbastanza chiare, finalizzate a una drastica riduzione delle forze americane e russe, con una precisa ridefinizione della politica strategica dei due paesi a minimizzare il ruolo di tali armi per la sicurezza nazionale, garantendo l’equilibrio globale del sistema.
Estremamente più delicati sono i passi ulteriori, per evitare i rischi dovuti a potenziali nuovi programmi nucleari occulti, instaurare nuove forme di dissuasione di conflitti armati, individuare mezzi di controllo e garanzie adeguati alla nuova dimensione del problema della salvaguardie, preservare l’equilibrio internazionale in presenza delle potenziali instabilità dei “piccoli numeri”, evitare il pericolo di una corsa agli armamenti convenzionali e la diffusione di un regime internazionale di sospetto reciproco sulle residue potenzialità nucleari militari, esprimibili, per esempio, sui tempi necessari alla produzione di armi in caso di situazioni critiche o conflitti.
Il clima di collaborazione russo-americana nel primo decennio del nuovo secolo aveva aperto la prospettiva di un approccio razionale e concreto alla questione nucleare, culminata con la dichiarazione congiunta dei presidenti Dmitry Medvedev e Barak Obama il primo aprile 2009 a Londra: “Noi impegniamo i nostri due paesi a raggiungere un mondo libero da armi nucleari, pur riconoscendo che questo obiettivo a lungo termine richiederà una nuova enfasi sul controllo degli armamenti e su misure per la risoluzione dei conflitti, e il pieno adempimento di tutte le nazioni interessate”. Impegno che ha portato alla firma (Praga, 8 aprile 2010 ) del nuovo trattato Treaty between the United States of America and the Russian Federation on measures for further reduction and limitation of strategic offensive arms (New START), che, accanto a un piano di riduzioni decennale, prevede lo sviluppo di un processo di riduzione progressiva di ogni specie di armi nucleari, coinvolgendo nelle fasi successive anche altri paesi.

L’impegno di mirare all’eliminazione delle armi nucleari venne accolto formalmente da tutte le parti del NPT (28 maggio 2010) quale prima fra le “azioni” da sviluppare concretamente a partire dal 2010, ed espressamente condiviso dalle altre potenze nucleari (risoluzione 1887 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, 24 settembre 2009, in cui si proclama l’impegno per “un mondo senza armi nucleari”), e in dichiarazioni politiche anche da India, Israele, Pakistan e Corea del Nord. […]
Questi ultimissimi anni sembrano chiudere questa finestra di razionalità, rimettendo in discussione l’obiettivo del disarmo nucleare, con il raffreddamento degli sviluppi del New START, il potenziamento delle capacità nucleari delle attuali potenze nucleari, la conservazione delle strutture di produzione di materiali fissili militari e l’ambiguità mantenuta da alcuni paesi sulla consistenza delle proprie strutture e forze nucleari.
Accanto all’approccio razionale, e a suo complemento, occorre anche dare spazio alle emozioni e al rifiuto morale delle armi nucleari basato su motivi umanitari, dato che il loro impiego viola i principi fondamentali del diritto umanitario individuati dalla giurisprudenza internazionale nel suo sviluppo dalla metà dell’ottocento: il principio della necessità militare, il principio di distinzione, il principio di proporzionalità e il principio di umanità.
La strada verso un mondo libero da armi nucleari si annuncia ancora molto lunga e irta di ostacoli, con il rischio continuo di rallentamenti, fermate e deviazioni di percorso, anche perché sarà necessaria la costruzione di nuovo sistema di relazioni internazionali e l’instaurazione di nuovi concetti di sicurezza nazionale, come immediatamente compreso da Albert Einstein: “La prima bomba atomica ha distrutto ben più che la città di Hiroshima. Ha fatto esplodere le nostre superate idee politiche, quali le abbiamo ereditate”. “Come abbiamo cambiato il nostro modo di pensare nel mondo della scienza pura per abbracciare concetti più nuovi ed utili, così dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare nel mondo della politica. È troppo tardi per commettere errori”.





[1] Acheson-Lilienthal Report, 1946, A Report on the International Control of Atomic Energy, prepared for
the Secretary of State's Committee on Atomic Energy (The Acheson-Lilienthal Report, Washington, D.C.,
March 16, 1946), Doubleday, New York
[2] Per una stima delle attuali forze nucleari mondiali vedi Status of world nuclear forces, Federation of
Atomic Scientists, September 28, 2015, disponibile sul sito www.fas.org/issues/nuclearweapons/
status-world-nuclear-forces
[3] International Panel on Fissile Materials, 2013, Global Fissile Material Report 2013: Increasing
Transparency of Nuclear Warhead and Fissile Material Stocks as a Step toward Disarmament, IPFM,
Princeton; International Panel on Fissile Materials, 2015, Plutonium Separation in Nuclear Power
Programs. Status, Problems, and Prospects of Civilian Reprocessing Around the World, IPFM, Princeton
[4] H. Morgenthau, 1972, The fallacy of thinking conventionally about nuclear weapons, in D. Carlton and
C. Schaerf (eds), 1977, Arms control and technological innovation, Croom Helm, Londra, pp. 256-64.

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