di Alessandro Pascolini
Dipartimento di fisica e astronomia Galileo Galilei
Centro d’ateneo per i diritti umani
Università di Padova
Nella Carta
delle Nazioni Unite non vi è alcun riferimento esplicito alle armi nucleari, ma la
loro esistenza e la recente distruzione di Hiroshima e Nagasaki incombevano
sugli estensori della Carta. E certamente a tali armi anzitutto ci si riferisce al punto
4 dell’articolo 2 quando si proibisce la minaccia dell’uso della forza e al punto 1
dell’articolo 11 in cui si affida all’Assemblea Generale il compito di considerare i
principi governanti il disarmo e la regolamentazione degli armamenti.
Di fatto, la primissima
risoluzione dell’Assemblea Generale, il 24 gennaio 1946, riguarda
appunto la creazione di una “Commissione allo scopo di affrontare i problemi
generati dalla scoperta dell’energia atomica”. In particolare si richiedeva alla
Commissione di procedere con la massima celerità a esaminare tutti gli aspetti del problema e
a fornire proposte specifiche per:
a. estendere a
tutte le nazioni lo scambio delle informazioni scientifiche di base, a
scopi pacifici
b. controllare
l’energia atomica per assicurarne l’impiego per soli scopi pacifici
c. eliminare le
armi nucleari dagli arsenali nazionali
d. creare
salvaguardie efficaci per garantire la protezione degli stati da evasioni o
violazioni.
Proprio in
vista dei lavori della Commissione, nel gennaio 1946 Dean Acheson,
sottosegretario del Dipartimento di stato americano, costituì un gruppo di
cinque esperti per studiare gli aspetti internazionali dell’energia nucleare, con
la direzione di David Lilienthal e la partecipazione di Robert Oppenheimer,
che dominò i lavori del gruppo portandovi le analisi razionali del problema
elaborate dalla comunità scientifica l’anno precedente.
Il comitato
concluse[1] che un disarmo nucleare
era impossibile se ogni paese fosse libero di
sviluppare un proprio programma per applicazioni civili dell’energia nucleare e che
quindi non si poteva costruire la sicurezza universale dalla guerra nucleare
basandosi solo su controlli e ispezioni internazionali (quali allora
concepibili). La soluzione proposta distingueva fra le attività critiche per lo sviluppo di
armi da quelle che non pongono rischi significativi e permettono un facile
controllo. Le prime avrebbero dovute venir assegnate a un’agenzia internazionale
indipendente (Atomic Development Authority−ADA), concepita un po’ come una
multinazionale, cui trasferire la proprietà di tutti i giacimenti di uranio e torio, di tutti
gli impianti industriali di produzione e arricchimento dei materiali fissili, nonché
dei laboratori di ricerca per lo sviluppo scientifico e tecnologico nel settore
nucleare; l’ADA avrebbe quindi fornito ai singoli centri scientifici o industriali dei
vari paesi i materiali fissili per gli usi civili, sottoponendoli a rigorose ispezioni. Alla
creazione dell’ADA, tutte le armi esistenti dovevano venir distrutte. La commissione
dell’ONU, come noto, non riuscì a raggiungere i suoi scopi, per la volontà
americana di mantenere il monopolio nucleare più a lungo possibile e per la
determinazione sovietica di acquisire al più presto l’arma nucleare, deludendo così le
aspettative e segnando il primo di una lunga serie di fallimenti per il disarmo nucleare.
Un’eco
significativa dell’Acheson-Lilienthal Report si ritrova nella proposta
del presidente John
Fitzgerald Kennedy presentata il 18 aprile 1962 a Ginevra per un trattato di
disarmo generale da completarsi in tre stadi. […] Anche se la successiva crisi
di Cuba vanificò la prospettiva di disarmo, molti dei principi e concetti
espressi nella proposta del 1962 entrarono definitivamente nel linguaggio e
nella prassi dei successivi
rapporti negoziali.
A Mikhail
Gorbaciov è dovuto il successivo serio progetto di disarmo nucleare: il 15 gennaio 1986
lanciò l’audace proposta di un programma concreto per l’abolizione delle armi
nucleari entro il 2000, articolato in tre fasi:
1. USA e URSS
dimezzano il numero delle armi nucleari che possono raggiungere il
territorio
dell’altro paese e adottano un accordo per liberare l’Europa dai missili a medio raggio;
Francia e UK si impegnano a non accrescere i loro arsenali;
2a. le altre potenze
nucleari si uniscono al processo; USA e URSS eliminano tutte le forze nucleari
a medio raggio e congelano i sistemi tattici;
2b. dopo che
USA e URSS hanno dimezzato i loro armamenti, tutte le potenze nucleari
eliminano le loro armi tattiche; i test nucleari cessano ovunque;
3. eliminazione
di tutte le armi nucleari entro la fine del 1999, con un accordo universale per
il bando definitivo delle armi atomiche, con speciali procedure per la distruzione dei
vettori; creazione di un sistema internazionale di stretta verifica del rispetto del
disarmo e del bando di produzione di nuove armi nucleari.
[…] Nel summit
di Reykjavik (11-12 ottobre 1986) Reagan e Gorbaciov concordarono che “una
guerra nucleare non poteva essere vinta e pertanto non doveva mai essere
combattuta” e, proseguendo nei colloqui, Reagan accettò la proposta di una
totale eliminazione delle armi nucleari e di affidare “alla nostra gente a
Ginevra di preparare una bozza di trattato con questo obiettivo”. Il loro
incontro segna di fatto l’inizio di rapide e sostanziali diminuzioni nel numero
delle armi nucleari, che allora aveva raggiunto il mostruoso numero di oltre 60
mila.
Tuttavia Reagan
volle conservare lo sviluppo della sua Strategic Defense Initiative
anche oltre
alla fase di ricerca, superando i vincoli posti dal trattato ABM, che invece
Gorbaciov
intendeva conservare, considerandolo indispensabile per la stabilità dell’equilibrio
strategico, e il progetto di disarmo totale si arenò.
Così oggi ci
troviamo ancora con circa 16 mila armi nucleari (di cui 1800 pronte a essere lanciate
nel giro di qualche minuto) appartenenti a 10 diversi paesi.[2] Vi sono
inoltre enormi
quantità di materiale fissile esplosivo, non tutto adeguatamente protetto: 1400
t di uranio altamente arricchito (HUE) e 500 t di plutonio, in continua crescita.[3] Tenuto conto che una bomba
tipicamente contiene 15-25 kg di HUE e 3-4 kg di plutonio,
le scorte esistenti sono sufficienti per produrre oltre 150 mila bombe.
La situazione è
particolarmente grave, in particolare poiché tutte le attuali potenze
nucleari e i paesi della NATO sono intenti a modernizzare e sviluppare le proprie forze
nucleari e intesi a conservarle per tempi indefiniti.
[…] Anche in
questa situazione di sostanziale anarchia internazionale, di profonde
contrapposizioni
politiche e di violenti conflitti fra, e dentro, troppi paesi, la peculiarità
delle armi nucleari e la loro irrilevanza per il confronto armato rendono comunque
possibile e praticabile il disarmo nucleare totale, come ci ha magistralmente
spiegato Hans Morgenthau[4]: “Il disarmo nucleare è
totalmente differente dal
disarmo delle armi convenzionali. Infatti la dinamica che caratterizza l’equilibrio militare
convenzionale nelle politiche di potenza delle nazioni non si applica alle
armi nucleari. Un’arma nucleare non è un’arma nel senso semantico convenzionale.
Non è un mezzo razionale per un fine razionale. È uno strumento di distruzione
illimitata e universale, per cui la minaccia o l’attualizzazione di una guerra nucleare
non è uno strumento razionale di politica nazionale poiché è uno strumento di
suicidio e genocidio.”[…]
Negoziati sul
controllo degli armamenti nucleari e per la loro eliminazione possono (e
devono) quindi venir condotti disaccoppiandoli dal contesto dei conflitti e
contrapposizioni in corso, sono un capitolo a parte delle relazioni
internazionali.
L’eliminazione
delle armi nucleari garantisce la sicurezza globale, dissolvendo lo spettro che da
troppo tempo incombe su tutta l’umanità; ma rafforza anche la stessa
sicurezza delle
attuali potenze nucleari.
[…] Il disarmo
delle forze nucleari e dei materiali fissili esplosivi elimina i pericoli
dovuti a incidenti, malfunzionamenti e falsi allarmi, lanci accidentali o non
autorizzati di missili, garantisce il blocco della proliferazione di tali armi,
annulla il rischio di terrorismo nucleare, libera le potenze nucleari da enormi
e sterili spese, costringe a ripensare in termini più razionali le basi della
sicurezza nazionale e internazionale, che non può ridursi agli aspetti militari
e a rapporti di forza.
Il disarmo
nucleare rafforza l’ONU e i suoi programmi di pace e contribuisce a rendere
concreto un fondamentale punto del preambolo della Carta, che appunto mira anche a
garantire “uguali diritti per le nazioni grandi e piccole”, principio attualmente
vanificato anche nel Trattato di non proliferazione (NPT) con la grave asimmetria di
diritti e doveri fra le cinque potenze nucleari riconosciute e tutti gli altri paesi
membri. Disparità sempre meno accettata, tanto da essere stata la principale
causa del fallimento dell’ultima conferenza di revisione del trattato, la primavera
scorsa.
La transizione
dal mondo attuale in uno libero dalle armi nucleari è un processo estremamente
delicato e pone molte problematiche tecniche e politiche, che
numerose
istituzioni e centri di ricerca internazionali stanno affrontando. Le prime fasi del
processo di disarmo sono abbastanza chiare, finalizzate a una drastica riduzione delle
forze americane e russe, con una precisa ridefinizione della politica strategica dei
due paesi a minimizzare il ruolo di tali armi per la sicurezza nazionale, garantendo
l’equilibrio globale del sistema.
Estremamente
più delicati sono i passi ulteriori, per evitare i rischi dovuti a potenziali
nuovi programmi nucleari occulti, instaurare nuove forme di dissuasione di conflitti
armati, individuare mezzi di controllo e garanzie adeguati alla nuova dimensione del
problema della salvaguardie, preservare l’equilibrio internazionale in presenza
delle potenziali instabilità dei “piccoli numeri”, evitare il pericolo di una corsa agli
armamenti convenzionali e la diffusione di un regime internazionale di sospetto
reciproco sulle residue potenzialità nucleari militari, esprimibili, per esempio, sui
tempi necessari alla produzione di armi in caso di situazioni critiche o conflitti.
Il clima di
collaborazione russo-americana nel primo decennio del nuovo secolo aveva aperto la
prospettiva di un approccio razionale e concreto alla questione nucleare,
culminata con la dichiarazione congiunta dei presidenti Dmitry Medvedev e Barak Obama
il primo aprile 2009 a Londra: “Noi impegniamo i nostri due paesi a raggiungere
un mondo libero da armi nucleari, pur riconoscendo che questo obiettivo a
lungo termine richiederà una nuova enfasi sul controllo degli armamenti e su misure per
la risoluzione dei conflitti, e il pieno adempimento di tutte le nazioni interessate”.
Impegno che ha portato alla firma (Praga, 8 aprile 2010 ) del nuovo trattato Treaty between the United States of
America and the Russian Federation on measures for
further reduction and limitation of strategic offensive arms (New START), che, accanto a un piano di
riduzioni decennale, prevede lo sviluppo di un processo di riduzione
progressiva di ogni specie di armi nucleari, coinvolgendo nelle fasi successive
anche altri paesi.
L’impegno di
mirare all’eliminazione delle armi nucleari venne accolto formalmente da
tutte le parti del NPT (28 maggio 2010) quale prima fra le “azioni” da sviluppare
concretamente a partire dal 2010, ed espressamente condiviso dalle altre potenze
nucleari (risoluzione 1887 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, 24 settembre 2009,
in cui si proclama l’impegno per “un mondo senza armi nucleari”), e in
dichiarazioni politiche anche da India, Israele, Pakistan e Corea del Nord. […]
Questi
ultimissimi anni sembrano chiudere questa finestra di razionalità, rimettendo in
discussione l’obiettivo del disarmo nucleare, con il raffreddamento degli sviluppi
del New START, il potenziamento delle capacità nucleari delle attuali potenze
nucleari, la conservazione delle strutture di produzione di materiali fissili militari e
l’ambiguità mantenuta da alcuni paesi sulla consistenza delle proprie strutture
e forze nucleari.
Accanto
all’approccio razionale, e a suo complemento, occorre anche dare spazio alle emozioni e
al rifiuto morale delle armi nucleari basato su motivi umanitari, dato che il loro
impiego viola i principi fondamentali del diritto umanitario individuati dalla
giurisprudenza internazionale nel suo sviluppo dalla metà dell’ottocento: il principio della
necessità militare, il principio di distinzione, il principio di proporzionalità
e il principio di umanità.
La strada verso
un mondo libero da armi nucleari si annuncia ancora molto lunga e irta di
ostacoli, con il rischio continuo di rallentamenti, fermate e deviazioni di percorso,
anche perché sarà necessaria la costruzione di nuovo sistema di relazioni
internazionali e l’instaurazione di nuovi concetti di sicurezza nazionale, come
immediatamente compreso da Albert Einstein: “La prima bomba atomica ha distrutto ben
più che la città di Hiroshima. Ha fatto esplodere le nostre superate idee politiche,
quali le abbiamo ereditate”. “Come abbiamo cambiato il nostro modo di pensare nel
mondo della scienza pura per abbracciare concetti più nuovi ed utili, così dobbiamo
cambiare il nostro modo di pensare nel mondo della politica. È troppo tardi
per commettere errori”.
[1] Acheson-Lilienthal Report, 1946, A
Report on the International Control of Atomic Energy, prepared for
the
Secretary of State's Committee on Atomic Energy (The
Acheson-Lilienthal Report, Washington, D.C.,
March 16, 1946), Doubleday, New York
[2] Per una stima delle attuali
forze nucleari mondiali vedi Status of world nuclear forces, Federation
of
Atomic Scientists, September 28, 2015,
disponibile sul sito www.fas.org/issues/nuclearweapons/
status-world-nuclear-forces
[3] International Panel on Fissile Materials,
2013, Global Fissile Material Report 2013: Increasing
Transparency
of Nuclear Warhead and Fissile Material Stocks as a Step toward Disarmament, IPFM,
Princeton;
International Panel on Fissile Materials, 2015, Plutonium Separation in
Nuclear Power
Programs. Status, Problems, and Prospects of Civilian Reprocessing
Around the World, IPFM, Princeton
[4] H. Morgenthau, 1972, The fallacy of
thinking conventionally about nuclear weapons, in D. Carlton and
C.
Schaerf (eds), 1977, Arms control and technological innovation, Croom
Helm, Londra, pp. 256-64.
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