di Antonio Floridia (pubblicato su "Il Manifesto" del 15/01/2016)
Il progetto di costruire un nuovo partito della sinistra italiana
procede faticosamente; da una parte, c’è un’attesa diffusa, che rischia
di essere frustrata: dall’altra, le cronache politiche si soffermano
sulle schermaglie tra i vari gruppi che dovrebbero dar vita al processo
costituente. Un osservatore esterno, per quanto partecipe, non può che
restare perplesso; e così pure le migliaia di potenziali aderenti.
Beninteso, i problemi da risolvere sono obiettivamente tanti
e complessi, ma non si può pensare di risolverli tutti e subito: un
concreto avvio del processo costituente del partito (un partito, non una
qualche altra vaga formula) appare urgente, se si vogliono incanalare
e valorizzare energie e volontà.
Tra le questioni da affrontare, ancora largamente irrisolta è quella
della cultura politica del nuovo soggetto, ossia di quell’insieme di
idee e di principi, schemi interpretativi e modelli valutativi, che
costituiscano una cornice condivisa e riconoscibile, sia per chi che al
partito aderisce, sia per coloro che ad esso possono guardare con
interesse. Il richiamo alle ragioni della sinistra, per quanto
necessario, non è sufficiente: che tipo di partito si vuole? Posto che
un partito di mera testimonianza, per quanto nobile, oggi non ha alcuna
potenzialità espansiva, quale potrebbe essere il profilo ideale,
politico e programmatico, del nuovo soggetto?
Per cominciare ad abbozzare una risposta, forse è opportuno, anche in
modo provocatorio, dare qualche modesto consiglio. Intanto, si lasci da
parte la «carta dei valori»: la si scriva pure, se si vuole, ma sapendo
che serve a poco. In genere, non la legge nessuno (qualcuno si ricorda
la carta dei valori del Pd, faticosamente elaborata nel 2006–7?). Si può
anche scrivere di riconoscersi nei valori della «libertà,
dell’uguaglianza e della fraternità», o nel «valore del lavoro»… già,
e poi? «Libertà» e «uguaglianza» sono parole terribili, che riempiono
intere biblioteche, ma resta per intero il problema di capire in che
modo, ad esempio, un ideale egualitario si possa tradurre in un
determinato programma politico.
Un partito non è una creatura effimera se è in grado di proporre un
proprio discorso pubblico, ossia un insieme di idee capaci di orientare
e formare l’opinione pubblica, di farsi «senso comune», e di misurarsi
efficacemente con altre idee. E il discorso pubblico di un partito si
articola attraverso tre livelli, tra loro strettamente legati:
1 Il primo è quello che possiamo definire una «filosofia pubblica»:
non un ideale, o un modello astratto della società futura, ma un insieme
di idee e di schemi interpretativi sulla società presente, sui suoi
conflitti, sui potenziali mutamenti. Un partito si radica e ha una
funzione se riesce ad alimentare un dibattito politico e culturale che
faccia emergere visioni alternative e diverse del «bene comune»
o dell’«interesse generale», diversi sistemi di idee e di immagini della
società e delle finalità del suo possibile sviluppo, a cui una comunità
politica può ispirarsi.
2 Il secondo è quello che possiamo definire il «profilo
programmatico», su grandi questioni e grandi aree di problemi: ad
esempio, un’idea del welfare, dei suoi principi, di come concepire
e orientare le sue finalità e la sua gestione.
3 Il terzo livello è quello delle «politiche», cioè delle specifiche
proposte con cui si articolano una «filosofia pubblica» e un
«programma».
Ebbene, il nuovo partito sarà in grado di dire qualcosa su ciascuno
di questi livelli? Certo, è un compito di lunga lena, non si può essere
troppo esigenti nell’immediato. E non bisogna cedere alla demagogia
imperante della comunicazione facile: per rispondere adeguatamente
occorrono studi, analisi, documenti anche ponderosi e faticosi. Occorre
partire da un documento politico, articolato e ben strutturato, sulle
cui singole tesi o formulazioni si possa discutere, nero su bianco,
proporre modifiche, facendo anche emergere le differenze che certo si
può facilmente prevedere esistano, ma che è bene circoscrivere dentro
una cornice condivisa. Ma, per questo, occorre predisporre subito le
sedi in cui queste cose possano essere discusse e studiate. Ed anche per
questo è necessario avere subito una qualche idea sulla forma del
partito, cioè sul modo con cui il nuovo partito discute ed elabora
«filosofie», «programmi» e «politiche»: non si può pensare che queste
idee possono essere partorite da uno stato maggiore più o meno
illuminato. Possono essere solo il frutto di una mobilitazione diffusa
di idee, reti intellettuali, competenze ed esperienze. E la
responsabilità dello «stato maggiore», da questo punto di vista,
è decisiva: nel consentire, favorire e organizzare questa mobilitazione.
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