A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

lunedì 18 agosto 2014

Carcere: quale Italia e quale modello sociale

di Stefano Anastasia (*)

Apparentemente più tranquilli, siamo andati in vacanza con 55mila detenuti: 10mila in meno di quando siamo stati condannati dalla Corte europea dei diritti umani, 10mila più di quanti le nostre carceri ne potrebbero ospitare secondo gli ordinari parametri di abitabilità degli immobili. Siamo a metà del guado ed il Consiglio d’Europa ce l’ha riconosciuto, rinviandoci a una nuova valutazione da qui a un anno. Respiriamo, ma non possiamo mollare. Intanto perché nella violazione dei diritti umani vale il motto dei moschettieri del Re, “uno per tutti, tutti per uno”: ogni detenuto in condizioni inumane o degradanti, fosse pure solo uno, merita l’attenzione di tutti, e se il sovraffollamento resta, con esso resta anche il rischio di una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. E poi non si può mollare perché il risultato è ancora incerto e tutt’altro che stabilizzato. Ci sono voluti quattro decreti-legge (Severino, Cancellieri 1 e Cancellieri 2, Orlando), due leggi ordinarie (Alfano e depenalizzazione e messa alla prova per gli adulti) e una storica sentenza della Corte costituzionale (quella che ha abrogato la legge Fini-Giovanardi) per raggiungere questo risultato, ma - al di là delle singole disposizioni contenute in ciascuno di quei provvedimenti - bisogna avere la consapevolezza che poggia su piedi di argilla.
Detenuti nelle carceri italiane: andamento dal 1991 al 2013
(rilevazioni del Ministero della Giustizia al 31 dicembre di ogni anno;
per "imputati" si intendono i detenuti in attesa di giudizio ed i condannati in primo e secondo grado).

Chiunque conosca il sistema penitenziario italiano sa che la sua trasformazione, a partire dai primi anni Novanta, è dipesa da scelte politiche di criminalizzazione di condotte ed esistenze marginali (il consumo e lo spaccio di droghe, l’irregolarità del soggiorno degli stranieri in Italia), cui si sono aggiunti gli echi delle politiche di tolleranza zero nei confronti dei recidivi (anch’essi frequentemente “marginali”) e l’abuso tutto italiano della detenzione in attesa di giudizio. Non un accidente, dunque, ma il conseguente risultato di una politica criminale e della sua corrispondente idea di società. Il sovraffollamento penitenziario italiano, quello inglese (che sta esplodendo in questi giorni), l’incarcerazione di massa negli Stati uniti, e via elencando, sono il prodotto di una ideologia e di un modello sociale che ha deliberatamente abbandonato le opzioni solidariste e inclusive della seconda metà del Novecento per mettere in conto la programmatica esclusione sociale (o la inclusione subalterna) di una parte della popolazione: irregolare, indisciplinata, socialmente pericolosa.
Il gran lavoro che è stato fatto in questi anni, sotto lo sprone del Presidente della Repubblica, per rientrare dal sovraffollamento penitenziario non ha fatto i conti fino in fondo con questi orientamenti strutturali, condivisi da gran parte del ceto politico perché ampiamente diffusi nella società. Per questo, mi permetto di dissentire da quanto ha scritto su questo blog Massimiliano Annetta il 18 aprile scorso: è vero, il sovraffollamento penitenziario è una spia del cattivo funzionamento della giustizia, ma esso non richiede scelte (e riforme) “ordinamentali”, relative al rapporto tra gli attori del sistema di giustizia penale o tra sistema politico e sistema giudiziario. Poi, in altra sede, potremo discutere della separazione delle carriere tra giudici e Pubblici Ministeri, del rapporto tra Consiglio Superiore della Magistratura e responsabilità politica nel garantire i mezzi adeguati all’esercizio della giurisdizione, o dell’obbligatorietà dell’azione penale; ma mi permetto di azzardare che nessuna di queste o simili riforme, auspicabili o meno che siano, potrà cambiare una virgola nel sistema dell’esecuzione penale italiano. Questa è l’agenda della giustizia vista dai suoi piani alti. Punto di vista legittimo, ma non esclusivo. Se invece si guarda alla condizione delle carceri, l’agenda della giustizia va vista da quel fondo di bottiglia in cui si depositano i residui di quel modello sociale e di quella politica criminale. Si scoprirà, allora, che il problema nel ventennio trascorso non è stato quello del conflitto tra politica e giustizia, ma la mancanza di reali alternative nelle scelte politiche che, quando più, quando meno, hanno insistito nella stessa direzione: dalle ubriacature securitarie nel governo delle città alla produzione emozionale e propagandistica di norme penali incriminatrici o incarceratrici.
Così come non abbiamo alcuna primogenitura nella esplosione del penitenziario, allo stesso modo non siamo i soli a dover fare i conti (oggi, dopo la crisi economico-finanziaria del 2008 e l’impossibilità di continuare a finanziare in deficit-spending la crescita del sistema penitenziario), con la necessità di una sua riduzione entro limiti che garantiscano (almeno) il rispetto di standard nazionali e internazionali di umanità nelle condizioni di detenzione. Gli Stati Uniti di Obama, preso atto della insostenibilità ulteriore delle politiche volute da Nixon e da Reagan (e proseguite da Bush padre, Clinton e Bush figlio), hanno deciso di prendere il toro per le corna e di lavorare (tanto a livello federale che a livello statale) a una revisione delle leggi sulla droga. Anche da noi si potrebbe partire da qui, sperimentando forme più ampie di depenalizzazione e di legalizzazione dell’uso di sostanze stupefacenti. E se proprio si vuol mettere mano a riforme ordinamentali, si provi a pensare a qualcosa di nuovo, oltre la debole combinazione di difesa d’ufficio e gratuito patrocinio, che assicuri un effettivo diritto alla difesa per i poco o per nulla abbienti. Lì c’è un altro buco nero del sistema giudiziario italiano che produce carcerazione.
Insomma, sì, guardando al penitenziario l’Europa ci chiede di cambiare il nostro modo di far giustizia, ma l’agenda che ci viene da quel fondo di bottiglia non è quella di cui fieramente (e vanamente) si è discusso negli ultimi vent’anni, ma quella dell’Italia che verrà e del modello sociale cui vorrà ispirarsi.

* Stefano Anastasia è presidente onorario di Antigone, associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”


Al 31 luglio 2014 nelle carceri italiane erano detenute 54414 persone (di cui 17423 straniere), a fronte di una capacità di accoglienza pari a 49402 posti; i detenuti in attesa di primo giudizio erano 8665, quelli condannati con sentenza definitiva 36415 (dati ufficiali del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria).

Vedi anche: La "sentenza Torregiani" e la situazione delle carceri italiane: la necessità della riforma della giustizia (18 aprile 2014)

Per saperne di più
> Corte Costituzionale - sentenza 12 febbraio 2014, n. 32 (illegittimità della "legge Fini-Giovanardi" sulla tossicodipendenza)
> Consiglio d'Europa - Il Segretario generale, Thorbjørn Jagland, si congratula con l’Italia per gli sforzi nell’eliminare il sovraffollamento delle carceri (5.6.2014)
> Consiglio d'Europa: il comunicato ufficiale del 5 giugno 2014 sulla situazione delle carceri italiane, alla luce della "sentenza Torregiani"
> "Decreto Orlando": Decreto-Legge 26 giugno 2014, n. 92 "Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al Codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile"
> Osservatorio carcere dell'Unione delle Camere Penali Italiane - La tortura no (21 luglio 2014)

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