A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

giovedì 25 agosto 2016

Futuro anteriore di un libro - Materiali Resistenti

di Amos Cecchi - pubblicato su Il Manifesto del 24/08/206

MATERIALI RESISTENTI. «Il capitale monopolistico» di Paul Baran e Paul Sweezy è stato uno dei testi simboli del Sessantotto. A cinquanta anni di distanza aiuta ancora a interpretare l’attuale crisi economica. Cinquant’anni fa viene pubblicato, negli Usa, con dedica al Che, Monopoly Capital di Paul Baran e Paul Sweezy (Il capitale monopolistico, Einaudi, 1968). In un rapporto di insoddisfazione e continuazione con le loro opere precedenti, è il risultato di una riflessione/discussione iniziata nel ’56 e interrottasi nel ’64, con l’improvvisa scomparsa di Baran. Insieme a L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse, è il testo eretico di riferimento per il movimento del Sessantotto e per la nuova generazione di sinistra, negli Usa e in Europa.
Fuori dagli schemi del marxismo allora prevalente, contrastato dall’ortodossia politica e intellettuale
di sinistra, Monopoly Capital punta a fare i conti con la società dell’opulenza, a dare spiegazione
dello sviluppo nella nuova fase del capitalismo. Svolgendo una critica profonda dell’irrazionalità del
sistema. Evidenziandone il potenziale di crisi. Dispiegando, in piena golden age, una teoria della
stagnazione come stato normale del capitalismo monopolistico.
Oggi, i principali economisti liberal sono costretti a richiamare la questione della stagnazione
secolare e a discutere del ruolo crescente del monopolio ((si trovano riferimenti anche nel testo a
firma di Pierluigi Ciocca pubblicato su il manifesto il 10 agosto). In Monopoly Capital si evidenziano
punti di spiegazione, rifacentesi in modo innovativo a Marx, importanti anche per la crisi nel
capitalismo monopolistico-finanziario.

Lo spreco necessario

Il monopolio è posto al centro dell’analisi. La concorrenza permane, ma non è più sui prezzi. Modi
nuovi di utilizzazione del prodotto dello sfruttamento, a larga incidenza di spreco – quali la
promozione delle vendite (con pubblicità e induzione dei consumi), la spesa pubblica, in specie
quella militare, e la finanza – diventano determinanti accanto ai classici (profitto, interesse e rendita in cui, sostanzialmente, Karl Marx articola il plusvalore): per evidenziarlo il surplus prende il posto
del plusvalore. La giant corporation assume un ruolo dominante. Con la sua capacità di ridurre i
costi di produzione, la sua politica di prezzi monopolistici (in grado di trattenere gran parte degli
aumenti di produttività), e, quindi, la sua incidenza nella distribuzione del prodotto, con la quota del
profitto che cresce a scapito di quella del lavoro, si dà, qui, la generazione di un surplus crescente,
sia in senso assoluto che relativo: è la legge di sistema del capitalismo monopolistico. La questione
essenziale diventa l’assorbimento del surplus.
Alla base del discorso c’è, in modo dichiarato, l’elaborazione di Michal Kalecki e di Joseph Steindl.
L’oligopolio incrementa il saggio di plusvalore. Per la sua realizzazione, nel mercato, necessita che
una domanda più elevata di investimento e consumo dei capitalisti sostituisca quella calante del
consumo operaio. Mancando ciò – in linea sempre con Marx che ha sottolineato la differenza
sostanziale fra le condizioni della produzione di plusvalore e quelle della sua realizzazione –
l’aumento del saggio di plusvalore a livello della produzione non si traduce in incremento del
plusvalore a livello della realizzazione, ma soltanto in capacità in eccesso e disoccupazione.
Nella nuova dinamica indicata da Baran e Sweezy, il funzionamento del sistema necessita di spreco:
uno dei tre modi in cui, insieme al consumo ed all’investimento dei capitalisti, può esser utilizzato il
surplus crescente. Il surplus (insieme al profitto, scopo capitalistico precipuo) può esprimersi via via
più intensamente nella misura in cui modi nuovi di sua utilizzazione vengano ad alzarne il livello di
assorbimento.
Un’espansione forte dell’economia – è il caso degli anni ’45-70 – può darsi quando intervengano
anche fattori straordinari contrastanti il trend al ristagno: epoch-making innovations (l’auto, e prima
la ferrovia) e guerre/dopoguerra. Il monopolio, strutturalmente, contiene gli sbocchi d’investimento
per l’assorbimento del surplus. La chance dell’export di capitale è più che annullata dall’import di
surplus, drenato dalle multinazionali dalle aree del sottosviluppo. In assenza, quindi, di forti impulsi
esogeni il sistema si espone alla depressione. È costituito, così, un modello teorico che, nel gioco fra dinamica sistemica endogena, tendente alla sovraccumulazione ed al ristagno, e forze che la contrastano, può spiegare sia la stagnazione che la prosperità.

L’esplosione della finanza

La definizione di surplus è parsa fin dall’inizio non chiara. L’ultima corrispondenza fra gli autori, ora
disponibile (Last Letters, Monthly Review, July-August 2012), ci consegna una discussione non
risolta sul suo significato ed uso. L’idea di Sweezy è nota: il surplus è uguale al plusvalore totale
(modi classici sommati ai modi nuovi di utilizzazione). Il surplus cui guarda Baran appare più largo
del plusvalore. Muove da un punto di vista altro (contestativo, comparativo e alternativo) rispetto al
sistema ed al suo funzionamento reale. Guarda allo spreco in forma sia effettiva che potenziale
(anche produzione perduta per disoccupazione, etc.). È evidente che lungo l’opera coesistono, in
modo non esplicitato, più accezioni, con funzioni differenti.
Un importante sviluppo di Monopoly Capital, sta nella riflessione di Sweezy (e Magdoff) riguardante, oltre al grande indebitamento, l’esplosione finanziaria, alla cui base sta una crescente
concentrazione di ricchezza e di reddito, in parallelo alla stagnazione economico-produttiva, e,
quindi, la finanziarizzazione del processo di accumulazione, con il mantenersi del capitale in forma
monetaria e l’agire dei suoi attori in modo speculativo in una sovrastruttura finanziaria grandemente espansa e con una sua vita autonoma; l’accrescersi della criticità sistemica (con un’attenzione, qui, a Hyman Minsky); l’esigenza di una più avanzata teoria che tenga insieme produzione e finanza al suo divenire il centro di gravità del sistema.
Rimane, senza dubbio, un’analisi con grandi punti di attualità. Una riflessione, in tal senso, può essere l’occasione per un aperto confronto tra gli economisti che si rifanno alla teoria marxiana e con quanti si pongano fuori dal pensiero economico mainstream. Senza ricostruzione di teoria e cultura politica, in specie per una forte offensiva contro il neo-liberismo, non può darsi una sinistra strategicamente all’altezza del compito, qui, in Europa, nel mondo.

PERCORSI. Le affinità elettive di due economisti

Paul Alexander Baran (1910-1964) ha scritto «Il surplus economico e la teoria marxista dello
sviluppo» (1957). Paul Marlor Sweezy (1910-2004), fondatore, nel 1949, insieme a Leo Huberman
(1903-1968), della rivista «Monthly Review» e suo condirettore dal 1949 al 2004, è l’autore de «La
teoria dello sviluppo capitalistico» (1942), «Il presente come storia» (1953), «Il capitalismo moderno»
(1972), «Il marxismo e il futuro» (1981). Con Harry Magdoff (1913-2006), autore de «L’età
dell’imperialismo» (1966) e condirettore di «Monthly Review» (1969-2006), ha scritto «La fine della
prosperità in America» (1977), «Deepening Crisis of Us Capitalism» (1979), «Stagnation and
Financial Explosion» (1987), «The Irreversible Crisis» (1988). In «Monopoly Capital», i riferimenti
per Michal Kalecki (1899-1970) sono a «Saggi sulla teoria delle fluttuazioni economiche» (1939),
«Studies in Economic Dynamics» (1943), «Teoria della dinamica economica» (1954) e per Josef
Steindl (1912-1993) a «Maturità e ristagno nel capitalismo americano».

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