A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



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poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

lunedì 22 dicembre 2014

Botteghe storiche fiorentine: quale tutela?

di Vittorio Chirli

L'attuale Sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha recentemente rilanciato l'intenzione di adottare norme per la tutela delle cosiddette "botteghe storiche" ancora attive in città. Si tratta di un annuncio non nuovo, peraltro in continuità con precedenti dichiarazioni e atti promossi dallo stesso Nardella all'epoca in cui era membro della Camera dei Deputati. Il Sindaco sembra intenzionato ad introdurre norme di natura edilizio-urbanistica nel "Regolamento urbanistico comunale" (quello che un tempo era chiamato "Piano regolatore generale"), adottato dal Consiglio comunale il 25 marzo 2014 ed il cui procedimento di approvazione deve essere ancora concluso.
Vittorio Chirli solleva dubbi e perplessità - specie sotto il profilo degli effetti economici - in merito ai propositi del Sindaco.

La tutela delle “botteghe storiche” è un tema che riemerge periodicamente a Firenze. Muovendo dalla pura propaganda e dalle buone intenzioni si dovrebbe però riflettere su come rendere operativo tale proposito e sui suoi possibili effetti, intenzionali e non.
Rimandando a dopo la definizione di “bottega storica”, si assuma per adesso di avere già pronta la lista degli esercizi da tutelare.
Pare di capire che questi esercizi non dovrebbero essere costretti a cessare l’attività e dovrebbero essere quindi “tutelati” in qualche maniera.
Se queste attività sono in attivo non hanno bisogno di tutela, ça va sans dire.
Il caso si limita logicamente a “tutelare” i negozi storici non in attivo affinché non cessino l’attività. Per questo occorrono delle risorse. Dove reperirle?
Prima soluzione: fondi pubblici. Ma in base a quale criterio di equità e/o di efficienza pubblico denaro dovrebbe essere trasferito, in qualunque forma, ai gestori di tali esercizi e non usato per gli asili o il canile o l'illuminazione stradale? O restituito ai cittadini che pagano le imposte? Mistero.
Firenze: la gastronomia "Procacci" in via Tornabuoni,
fondata nel 1885 e classificata come "esercizio storico".
Seconda opzione: fondi privati. L'operatore pubblico potrebbe ad esempio introdurre dei price-cap per gli affitti delle botteghe storiche per abbattere i loro costi. Ma anche qui, quali sarebbero i criteri di equità e/o di efficienza che giustificherebbero un trasferimento coatto di reddito da un privato (il proprietario del fondo) a un altro privato (il gestore della bottega storica)? Altro mistero. Fra l'altro tale provvedimento lederebbe anche i diritti di un gestore alternativo (non-storico, ovviamente), disposto a pagare un prezzo più alto del price-cap per avere la disponibilità del fondo. Ancora, se un proprietario di fondo si rifiuta di affittare o di rinnovare il contratto, al prezzo imposto dall’operatore pubblico cosa succede? Il negozio rimane vuoto con evidente perdita di reddito per tutti? Oppure l'operatore pubblico, in uno scenario da dispotismo asiatico, impone prezzo e controparte al proprietario del fondo? A margine rimane da segnalare il rischio che si sviluppi un mercato degli affitti fuorilegge (almeno per la parte eccedente il price-cap) che tali provvedimenti amministrativi sempre generano.
Qualunque soluzione implica comunque un trasferimento di reddito assolutamente ingiustificato.
Le botteghe storiche possono essere “tutelate” anche in altro modo. Si può impedire il cambio di destinazione. Una drogheria deve rimanere una drogheria ad aeternum. Ma se non si trova nessuno disposto a rilevare una drogheria, magari in perdita? Si tiene chiuso? Ovvia e assolutamente arbitraria perdita di reddito per il proprietario del locale vuoto e per il potenziale imprenditore che magari ci potrebbe aprire una ferramenta in attivo e dei commessi che ci lavorerebbero.
Si può permettere il cambio di destinazione della attività, ma imporre di non modificare le caratteristiche del negozio; anche in questo caso si impone un costo aggiuntivo al proprietario ed al gestore.
Nel caso si pensi che una bottega storica crei davvero del valore aggiunto in termini di clienti e di reddito si potrebbero tassare gli altri esercenti della strada per garantirne l’esistenza.
Ancora, si può impedire che la grande distribuzione o i canali elettronici vendano una serie di articoli da “bottega storica”. In altre parole si può dare il monopolio di dati articoli ai negozi storici. Mossa classica. Un concorrente è più efficiente? Si attiva una qualche lobby per imporgli dei gravami o precludergli certe attività. Ovvi anche qui i risvolti a danno dei consumatori e dei rivenditori non tradizionali.
In breve, l’operatore pubblico ha il coraggio politico e la decenza di impegnare pubblico danaro e/o trasferire reddito da un privato ad un altro senza ragione apparente, se non qualche vago criterio estetico?
La tutela pubblica delle botteghe storiche potrebbe essere al limite giustificata solo se tale provvedimento creasse delle esternalità positive e un vantaggio sociale superiore a quelli privati nel caso di non intervento pubblico. Non si capisce però come si possano misurare le esternalità positive delle botteghe storiche, sempre ammesso che esistano. In fondo a qualcuno potrebbero piacere le strade popolate di botteghe nuove invece che di botteghe storiche. Il fatto è che gli incumbent hanno sempre lobby già formate e ben attive che invece non hanno i potenziali innovatori.
Ma si ammetta pure di aver risolto il problema di come assicurare tutela alle botteghe storiche, che resta comunque un provvedimento di puro arbitrio.
Rimane adesso da definire cosa è una “bottega storica”, cioè definire la lista degli esercizi da tutelare. E qui si innestano altri evidenti e giganteschi elementi di arbitrio. Una bottega è storica se è gestita da più di X anni dalla stessa persona? Oppure se da più di X anni vende le stesse cose? O se risiede in locali costruiti prima di una certa data o è situata in una certa strada? Qualunque definizione crea degli abissi di iniquità. Perché tutelare una bottega che ha 21 anni e non una che ne ha 19? Mistero. Oppure tutelare qualcuno che ha bottega a via del Corso e non qualcuno che ha bottega in via di Peretola? In base a quale criterio?
Ancora. Chi redige la lista? Comune? Confcommercio? Provincia? Le botteghe storiche sono iscritte una volta per sempre in una sorta di "Libro d’Oro" oppure l'elenco può essere aggiornato?
Un ultimo appunto: se il gestore di una bottega storica volesse chiudere e andare in pensione e non trovasse un soggetto disposto a rilevare l'attività sarebbe obbligato a continuare a stare in negozio fino al decesso?
Si può anche pensare a un meccanismo su base volontaria, in cui certi esercizi, pur di essere ammessi a un dato registro di botteghe storiche, si sottopongono volontariamente a dati vincoli. Sfugge però il motivo in base al quale qualcuno si dovrebbe sottoporre a vincoli, che hanno comunque un costo, semplicemente per avere il “bollino” di bottega storica.
Il logo degli esercizi storici fiorentini.
Resta da aggiungere che tutte le considerazioni di cui sopra hanno carattere statico e si tralasciano, per amore di brevità, le considerazioni dinamiche degli effetti sullo sviluppo di una comunità determinati da provvedimenti tesi a mettere in cornice il passato invece che ad incentivare l’innovazione. Considerazioni che sarebbero comunque rilevanti. Chi fosse interessato a questi problemi può leggere “Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity, and Poverty”, di Daron Acemoglu e James A. Robinson.
In conclusione, le precedenti riflessioni sono a volte provocatorie e paradossali, ma servono comunque a mostrare come certi provvedimenti di cui si parla di tanto in tanto, soprattutto davanti a certe platee, siano di complicatissima attuazione e comunque vadano a mettere le mani nelle tasche di qualcuno in maniera del tutto arbitraria e quindi ingiustificabile.
Tutte domande a cui chi propone la “tutela delle botteghe storiche” dovrebbe comunque essere pronto a rispondere. Peccato che non ci sia nessuna risposta equa ed efficiente. O più semplicemente, non ci sia nessuna risposta sensata. Qualunque provvedimento avrebbe enormi e ingiustificabili elementi di arbitrio ed implicherebbe trasferimenti di reddito impossibili da giustificare fra attori pubblici e/o privati.
Detto questo vado a prendere il caffè in una bottega storica che prediligo e che, avendo la fila fuori dalla porta, si tutela da sé.


Il Comune di Firenze ha istituto fin dal 1999, con apposito regolamento, l'Albo degli esercizi storici e tradizionali, ovvero quelli "che svolgono attività di rilevante valore artistico, storico, ambientale e documentario, al fine di valorizzare, tutelare e sostenere l'immagine culturale tradizionale della città e quelle attività che contribuiscono a mantenerla". L'Albo è pubblico e ad adesione volontaria; l'inserimento nell'Albo, ammesso previa accettazione da parte degli esercenti di alcune prescrizioni (mantenimento dell'attività, delle insegne e arredi, ecc.), è valutata da un'apposita Commissione nominata dal Sindaco; gli esercizi che ne fanno parte possono ottenere talune agevolazioni tributarie e burocratiche da parte dell'Amministrazione. Attualmente ne fanno parte 300 esercizi, suddivisi in quattro categorie (storici di pregio, storici, tradizionali, tipici).
L'Albo era in sostanza previsto dal previgente Piano regolatore generale del Comune di Firenze, adottato nel 1993 ed approvato definitivamente nel 1998, che includeva già una norma specifica per la tutela dei "negozi di interesse storico, artistico e documentario", per i quali non era "ammessa la modificazione degli arredi, delle vetrine e delle mostre", pur essendo ammessa "la modificazione della destinazione d’uso purché compatibile con arredi, vetrine e mostre" (art. 27 delle Norme tecniche di attuazione).
Il Regolamento urbanistico del Comune di Firenze adottato nel 2014 include ancora una norma generale con la quale,  per "gli esercizi commerciali storici e cinematografici, i teatri e le librerie", vengono previste "forme di speciale tutela e promozione per consentirne la permanenza e lo sviluppo", da individuarsi con un atto successivo (art. 32 delle Norme tecniche di attuazione); la stessa norma impone anche una tutela specifica per via Tornabuoni e Ponte Vecchio (il cosiddetto "salotto buono" della città), dove sono ammesse solo alcune tipologie di attività commerciali.
A tale quadro normativo locale occorre aggiungere il Codice dei beni culturali e del paesaggio che, con una recente modifica (risalente all'ottobre 2013), ha esteso ai "locali storici tradizionali" la tutela inizialmente stabilita solo per l'esercizio del commercio "in aree di valore culturale" (D.Lgs. n. 42/2004, art. 52, comma 1-bis). Il Codice attualmente stabilisce che i "comuni, sentito il soprintendente, individuano altresì i locali, a chiunque appartenenti, nei quali si svolgono attività di artigianato tradizionale e altre attività commerciali tradizionali, riconosciute quali espressione dell'identità culturale collettiva ... al fine di assicurarne apposite forme di promozione e salvaguardia, nel rispetto della libertà di iniziativa economica di cui all'articolo 41 della Costituzione". Si tratterà, dunque, di vedere se e come il Comune di Firenze intenderà dare attuazione alle dichiarazioni del Sindaco alla luce delle nuove norme nazionali, nella consapevolezza tuttavia che proprio sulla nuova formulazione dell'art. 52 del Codice risulta pendente un ricorso presso la Corte Costituzionale presentato dalla Regione Campania.


Per saperne di più
- Librerie ed esercizi storici. Una legge per salvarli, sono come monumenti (Dario Nardella, 16.6.2013)
- Continua la battaglia in difesa degli esercizi storici (Dario Nardella, 17.10.2013)
- Negozi, Nardella lancia il piano "salva tradizioni" (la Repubblica, 16.8.2014)
- Nardella: «Faremo delle norme per tutelare le botteghe storiche» (Corriere fiorentino, 10.11.2014)
- “Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity, and Poverty”, di Daron Acemoglu e James A. Robinson, Crown Business, 2012 (ISBN 0307719219)
- Regolamento urbanistico del Comune di Firenze, adottato il 25.3.2014: Norme tecniche di attuazione
- Regolamento per l'Albo degli esercizi storici e tradizionali del Comune di Firenze (Deliberazione del Consiglio comunale n. 1317/185 del 25.10.1999)
- Norme tecniche di attuazione (NTA) del Piano regolatore generale (PRG) del Comune di Firenze (Deliberazione del Consiglio comunale n. 141 del 9.2.1998)
- Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 "Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137": art. 52 - Esercizio del commercio in aree di valore culturale e nei locali storici tradizionali
- Ricorso per legittimità costituzionale n. 102, depositato il 18 dicembre 2013 dalla Regione Campania

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